Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 1 ottobre 2014, n. 40541

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio – Presidente
Dott. GRILLO Renato – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato al (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS)

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 11/02/2013 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. DI NICOLA Vito;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto dei ricorso;

uditi per gli imputati l’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di’ Firenze, con sentenza emessa in data 11 febbraio 2013, ha confermato la pronuncia resa dal tribunale della medesima citta’, sezione distaccata di Empoli, con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) vennero ritenuti colpevoli dei reati loro ascritti, unificati dal vincolo dello continuazione, e, qualificato il reato di cui al capo b) come violazione degli articoli 110 e 481 c.p. e articolo 61 c.p., n. 2, furono condannati, unitamente a (OMISSIS) dichiarato colpevole del solo reato a lui ascritto al capo a), alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 6 di reclusione ciascuno, (OMISSIS) e (OMISSIS), e alla pena di mesi 3 di arresto ed euro 12.000 di ammenda, (OMISSIS).
1.2. Agli imputati erano contestati il reato (articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 29 e articolo 44, lettera b) e comma 2 bis) per aver (il (OMISSIS) quale proprietario dell’immobile e committente dei lavori, il (OMISSIS) quale direttore dei lavori ed il (OMISSIS) quale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori) realizzato (capo a) in localita’ Pino Alto, in totale difformita’ dal permesso di costruire n. 26 del 2006, opere tali da comportare nel complesso e funzionalmente la realizzazione di un edifico diverso e quindi un’evidente trasformazione urbanistica ed edilizia dei luoghi (rialzamento del piano di calpestio con conseguente aumento di volume; realizzazione di un locale seminterrato posto in adiacenza al fabbricato principale con conseguente aumento di volume dell’immobile concessionato; chiusura della loggia in progetto sul fronte principale del fabbricato traslazione dell’intero edificio in costruzione rispetto a quanto rappresentato nella pratica edilizia n. 26 dei 2006 e nella sanatorie n. 227 del 2009, fatto accertato il 21 ottobre 2009) nonche’ il reato (articoli 110, 481 e 483 c.p. e articolo 61 c.p., n. 2) per avere (capo b) il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), in concorso tra loro e nelle qualita’ sopraindicate, attestato falsamente nella richiesta di permesso a costruire in sanatoria n. 227 del 2009 presentata al comune di Certaldo la consistenza delle opere abusive realizzate e cio’ omettendo di evidenziare e rappresentare la realizzazione del locale seminterrato e la traslazione dell’edificio (fatto commesso il (OMISSIS)).
1.3. Nel pervenire alla suddetta conclusione, i Giudici del merito hanno ritenuto che il (OMISSIS) (proprietario del manufatto e committente dei lavori), (OMISSIS) (legale rappresentante dell’impresa che aveva eseguito le opere) ed il geom. (OMISSIS) (direttore dei lavori) avessero concorso nell’esecuzione delle opere edilizie indicate nell’imputazione realizzandole in totale difformita’ dal permesso di costruire n. 26 del 2006 che era stato rilasciato in funzione della trasformazione di una rimessa agricola in civile abitazione.
1.3.1. L’esecuzione delle opere in totale difformita’ dal permesso di costruire n. 26 rilasciato dal comune di Certando il 20 luglio 2006 e’ stata ritenuta sul rilievo che:
1) il piano di calpestio del manufatto era stato rialzato (rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire) di m. 1,40, cosi’ realizzando una maggiore volumetria rispetto a quanto assentito (volumetria che e’ stata poi stimata dall’arch. (OMISSIS), consulente dell’imputato (OMISSIS), in 71 me);
2) era stato realizzato un locale seminterrato non previsto (difatti il permesso di costruire prevedeva soltanto la realizzazione di una cantina interrata posta esattamente sotto l’edificio principale, e quindi avente le dimensioni di questo, mentre sul posto era stato rilevato un ulteriore locale seminterrato, delle dimensioni di m. 3,00 X 5,90, posto a fianco di detta cantina e quindi esterno alla sagoma dell’edificio principale);
3) era stata, inoltre, “chiusa” una loggia esterna (la chiusura incideva sulle distanze dai confini, che risultavano essere inferiori al minimo prescritto);
4) infine l’intero edificio era stato traslato sul terreno, in definitiva venendo ad essere costruito in una posizione diversa rispetto a quanto rappresentato nella pratica edilizia del 2006 (seppure la traslazione era “di modesta entita’” perche’ l’area di sedime coincideva con quella prevista all’origine in una misura di circa il 50%).
1.3.2. La Corte territoriale ha ricordato che, nel corso del dibattimento, l’architetto (OMISSIS) (tecnico che, per incarico del proprietario dell’immobile (OMISSIS), aveva predisposto la pratica di sanatoria presentata nel 2011) aveva confermato tali difformita’, che risultavano anche dalla documentazione acquisita.
1.3.3. Per rendere nuovamente legittimo il manufatto si era reso necessario presentare una nuova istanza di sanatoria (dopo quella del 16 giugno 2009 stimata ideologicamente falsa).
A seguito di questa seconda istanza il Comune di Certaldo aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 60 del 28 settembre 2011, permesso tuttavia condizionato alla realizzazione degli interventi di “modifica” del manufatto, modifiche previste proprio dall’architetto (OMISSIS).
Cio’ rendeva evidente, secondo i Giudici del merito, che la sanatoria non avesse l’efficacia estintiva prevista dall’articolo 45 d.P.R. 380 del 2001, perche’ faceva difetto il requisito della “doppia conformita’” delle opere abusive realizzate.
In sostanza per ottenere la sanatoria il (OMISSIS) aveva dovuto prevedere un insieme di opere di rimessione in pristino del manufatto: era stata prevista una diversa sistemazione esterna del piano di campagna, in modo da eliminare il rialzamento del piano di calpestio dell’edificio; a cio’ si aggiungeva la totale eliminazione del locale seminterrato non previsto nel progetto assentito con il permesso di costruire risalente al 2006; infine si era dovuta prevedere l’eliminazione dei muri gia’ edificati al posto della loggia.
Di fatto quasi tutte le opere abusivamente realizzate non erano state sanate, bensi’ completamente eliminate.
1.3.4. Le opere abusive, nel loro complesso, portavano, secondo i Giudici del merito, alla realizzazione di un edificio integralmente diverso da quello autorizzato con la concessione del 2006 (edificio piu’ alto, con maggiore volumetria, con una sagoma diversa a causa della chiusura della loggia, con una diversa localizzazione sul terreno) con la conseguenza che era dunque integrata la fattispecie prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b), della quale tutti gli imputati, nelle loro rispettive qualita’, dovevano rispondere.
1.3.5. Sussisteva, inoltre, il reato di falsita’ ideologica di cui al capo b). L’esame delle planimetrie allegate alla domanda di sanatoria presentata dal committente (OMISSIS) e dal tecnico geom. (OMISSIS) il 16 giugno 2006 rendeva evidente che in esse non veniva rappresentata la gia’ avvenuta costruzione del locale seminterrato e neppure la traslazione del manufatto.
La relazione allegata alle planimetrie dimostrava che tale omissione non era involontaria ma era voluta, dal momento che tali difformita’ non si menzionavano affatto e non se ne richiedeva la sanatoria, comportandosi come se esse non fossero presenti.
Nella domanda di sanatoria gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano, dunque, autocertificato lo stato attuale dell’immobile in modo non veritiero.
Rilevante era ritenuto anche il contenuto di un appunto sequestrato al geometra (OMISSIS) nel corso di una perquisizione disposta dal pubblico ministero ed effettuata in data 20 luglio 2009. (OMISSIS) scriveva ad un collaboratore dello studio, evidentemente incaricato di realizzare una serie di tavole progettuali, che nella richiesta di sanatoria “occorre anche far vedere il terreno pertinenziale con la strada privata di accesso al garage (anche se ora il garage non si fa vedere)”.
Lo scritto dimostrava, secondo i Giudici del merito, che l’omessa rappresentazione della volumetria seminterrata fosse frutto di una scelta consapevole.
2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorrono per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deducendo:
(OMISSIS) e (OMISSIS) tre motivi:
1) violazione degli articoli 36 e 45 TUE (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in punto di esclusione della estinzione del reato per intervenuta sanatoria; violazione degli articoli 22 e 32 TUE e della Legge Regionale Toscana n. l del 2005, articolo 133, nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
2) Erronea qualificazione giuridica del fatto e sussistenza degli elementi per ritenere l’abuso edilizio sussumibile nella fattispecie prevista dell’articolo 44, lettera a), TUE; violazione degli articoli 22 e 32 TUE e della Legge Regionale Toscana n. 1 del 2005, articolo 133 (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b);
3) Insussistenza del reato di falso ideologico e carenza dell’elemento psicologico. Erronea applicazione della Legge Regionale Toscana n. 1 del 2005, articolo 82, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b);
Contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti del processo. Travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie tradottesi in vizio logico della sentenza desumibile dal testo della stessa (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
(OMISSIS) due motivi:
1) violazione degli articoli 36 e 45 TUE (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in punto di esclusione della estinzione del reato per intervenuta sanatoria; violazione degli articoli 22 e 32 TUE e della Legge Regionale Toscana n. 1 del 2005, articolo 133, nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
2) Erronea qualificazione giuridica del fatto e sussistenza degli elementi per ritenere l’abuso edilizio sussumibile nella fattispecie prevista dalla lettera a) dell’articolo 44 TUE; violazione degli articoli 22 e 32 TUE e della Legge Regionale Toscana n. 1 del 2005, articolo 133, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b).
3. Con memoria depositata in data 30 maggio 2014 (OMISSIS) e (OMISSIS) eccepiscono la prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
2. Quanto al primo ed al secondo motivo di gravame, comune a tutti i ricorrenti, essi possono essere congiuntamente esaminati essendo tra loro strettamente collegati.
Per entrambi, le ragioni della doglianza fondano su un ritenuto travisamento delle risultanze istruttorie e l’evidente erronea applicazione della normativa di settore.
2.1. Si assume come, da un lato, la sanatoria non sia affatto passata attraverso la completa eliminazione di quasi tutte le opere difformi (posto peraltro che anche la realizzazione dell’autorimessa interrata era consentita dagli strumenti urbanistici vigenti nella zona attinta dall’intervento edilizio e che il progetto di sanatoria ne aveva previsto la demolizione, non anche la sanatoria, soltanto per ragioni di opportunita’ e, in particolare, per non affrontare le difficolta’ relative all’impatto estetico ambientale della rampa di accesso) con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere l’effetto estintivo ex articolo 45 TUE e come, dall’altro, l’esame delle singole difformita’ contestate, pur senza voler eludere il principio della valutazione unitaria dell’intervento edilizio, avrebbe dovuto portare alla conclusione che, tenuto conto della proiezione finalistica nella quale si sarebbero dovuti valutare taluni interventi, le singole difformita’ non fossero tali da comportare la realizzazione di un edificio integralmente diverso da quello assentito, con la conseguenza che gli interventi stessi avrebbero dovuto essere valutati, anche alla luce della legislazione regionale, come variazioni non essenziali del progetto e suscettibili, come tali, di integrare, a tutto concedere, la fattispecie di cui dell’articolo 44 TUE, lettera a).
2.2. I riassunti rilievi, formulati nei medesimi termini con l’atto di appello, sono stati disattesi dalla Corte territoriale avendo l’istruttoria dibattimentale dimostrato come il manufatto fosse stato realizzato in modo del tutto diverso, per caratteristiche planovolumetriche rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire rilasciato dall’autorita’ amministrativa nel 2006.
Cio’ e’ stato ritenuto in considerazione del fatto che il rialzamento del piano di calpestio ha comportato, di per se’ stesso, un consistente incremento volumetrico, rispetto a quanto assentito dal Comune, incremento esattamente quantificato in circa metri cubi 71 (per la precisione me. 70,96), pari al 40% del volume assentito (volume oggetto di concessione: me. 168,56; volume realizzato: me. 239,52) ed il dato probatorio e’ stato acquisito anche attraverso la deposizione dell’arch. (OMISSIS), tecnico incaricato dal proprietario (OMISSIS) di predisporre una seconda pratica di sanatoria, dopo quella del 16 giugno 2009, dalla quale e’ scaturita l’imputazione di falsita’ ideologica ex articolo 481 c.p..
A questa difformita’, come emerso sempre dalla deposizione dell’arch. (OMISSIS), va aggiunta quella relativa alla realizzazione dell’autorimessa seminterrata, estranea al permesso di costruire, consistente in un locale esterno alla sagoma del fabbricato, autonomamente accessibile (attraverso una rampa carrabile), che aveva una superficie di circa 17 mq. per una altezza di m. 2,50 con conseguente ulteriore volumetria non assentita di circa 40 me.
Altra difformita’ e’ stata desunta dalla chiusura della loggia prevista sul fronte principale del fabbricato, chiusura che ha inciso, secondo la Corte territoriale, non soltanto sulla disciplina delle distanze ma anche sulla sagoma e sui prospetti dell’immobile in corso di realizzazione, prospetti che con detta trasformazione sono stati modificati in modo sensibile.
Infine, e’ stata ritenuta pacifica la difformita’ relativa alla realizzazione del manufatto in una posizione diversa, sia pure di pochi metri, da quella prevista nel permesso di costruire del 2006.
2.3. Al cospetto di tali complete valutazioni, pienamente logiche e conformi alle risultanze di causa, supportate da una doppia conforme decisione, la doglianza dei ricorrenti circa l’illogicita’ della motivazione per travisamento delle risultanze istruttorie difetta di qualsiasi fondamento e ignora, per questa parte, che il giudizio di legittimita’ rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non puo’ costituire un terzo grado di giudizio diretto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.
Peraltro i vizi logici devono essere manifesti, non potendo essere ravvisati nel fatto che il ricorrente abbia ritenuto non soddisfacenti le argomentazioni con le quali la sentenza impugnata ha risposto ai rilievi formulati nei motivi di gravame.
Questa Corte ha affermato che puo’ aversi vizio di travisamento della prova quando l’errore sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione e che questo puo’ avvenire solo nei casi in cui si introduce in motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, oppure si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione (Sez. 2 , n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaioli, RV 236893; Sez. 1 , n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, RV 237207).
Nulla di tutto cio’ e’ riscontrabile nell’apparato argomentativo della Corte territoriale la cui motivazione si segnala anche per la corretta applicazione della legge sostanziale.
2.4. Sul punto, quanto alla doglianza circa la negata valenza del permesso in sanatoria come causa estintiva del reato urbanistico, la Corte di appello si e’ attenuta alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale non determina l’estinzione del reato edilizio, ai sensi del combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articoli 36 e 45, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o, ancora, subordinato all’esecuzione di opere, atteso che cio’ contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformita’, i quali presuppongono la gia’ avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformita’ alla disciplina urbanistica (Sez. 3 , n. 19587 del 27/04/2011, Montini ed altro, Rv. 250477).
Nella specie, il permesso di costruire in sanatoria e’ stato concesso con specifiche prescrizioni, e’ poi pacifico che l’autorimessa seminterrata, ipoteticamente sanabile, sia stata esclusa dalla sanatoria stessa, essendone stata prevista la demolizione e, a dimostrazione dell’inammissibilita’ di una sanatoria parziale o condizionata alla demolizione di una parte degli interventi, la Corte di appello ha anche correttamente rilevato come, dall’esame della pratica di sanatoria, anche altre opere siano state sottratte all’accertamento di conformita’ essendo stata prevista anche l’eliminazione dei muri di chiusura della loggia e la risistemazione esterna del terreno, cosi’ da incidere sull’altezza del piano di calpestio del fabbricato rispetto al piano di campagna.
2.5. Corretto deve ritenersi anche l’approdo cui i Giudici dell’appello sono pervenuti nel ritenere configurata la fattispecie della difformita’ totale procedendo ad valutazione concernente l’opera nel suo insieme e stigmatizzando il contrario approccio pronosticato dai ricorrenti e diretto a valutare singolarmente le varie difformita’ parcellizzando l’esame critico degli interventi.
Dalla valutazione unitaria dell’immobile realizzato, la Corte ha tratto corretto e logico argomento per desumere la realizzazione di un organismo integralmente diverso da quanto previsto nell’atto di assenso sul rilievo del macroscopico incremento volumetrico comportante la realizzazione di un immobile di dimensioni molto piu’ ampie, traslato sul terreno, con un’autorimessa seminterrata non prevista dal permesso di costruire.
Il concetto della totale difformita’ e’ antitetico rispetto a quello della parziale difformita’ e cio’ giustifica il diverso approccio valutativo e comparativo per la riconoscibilita’, che deve essere eseguita su base normativa, dell’una o dell’altra tipologia di difformita’ edilizia.
La nozione della parziale difformita’ evoca un intervento costruttivo, specificamente individuato, che, quantunque contemplato dal titolo abilitativo, venga tuttavia realizzato secondo modalita’ diverse da quelle fissate a livello progettuale.
Il concetto di totale difformita’ presuppone invece un intervento costruttivo che esclude una valutazione frammentaria di esso e che percio’ va riguardato unitariamente e nel suo complesso posto che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, descrive le opere eseguite in totale difformita’ dal permesso di costruire come quelle “erte comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso…”.
Come e’ stato esattamente evidenziato, l’articolo 31, comma 1, TUE richiama un concetto di “totale difformita’” ancorato, piu’ che al confronto tra la singola difformita’ e le previsioni progettuali dell’intervento edilizio, alla comparazione sintetica tra l’organismo programmato nel progetto assentito e quello che e’ stato realizzato con l’intervento edilizio scaturito dall’attivita’ costruttiva, con la conseguenza che, mentre il metodo valutativo utilizzabile per definire il concetto di “parziale difformita’” ha carattere analitico, quello destinato ad accertare la “totale difformita’” si fonda su una valutazione di sintesi collegata alla rispondenza o meno del risultato complessivo dell’attivita’ edilizia rispetto a quanto e’ stato rappresentato nelle previsioni progettuali, le uniche prese in considerazione in fase di assenso amministrativo.
A tale significativa conclusione era infatti gia’ pervenuta la giurisprudenza di questa Corte quando, nel previgente e non antitetico assetto normativo, aveva chiarito che si ha difformita’ totale di un manufatto edilizio allorche’ i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione: diversa per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione; mentre si configura la difformita’ parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Sez. 3 , n. 1060 del 07/10/1987, dep. 30/01/1988, Ferrari Rv. 177490).
2.6. A questo punto, appare chiaro come sia del tutto irrilevante il richiamo nelle doglianze dei ricorrenti alla legislazione regionale per desumere, rispetto alle singole difformita’ e non alle anomalie nel loro complesso, il carattere di variazione non essenziale dei singoli interventi (come ad esempio dell’autorimessa) e cio’ sulla base del disposto dell’articolo 32 TUE e del rinvio alla legislazione regionale integrativa.
Nel caso di specie, attesa la clausola di salvezza posta in apertura delle disposizione, l’articolo 32 TUE non e’ applicabile stante la natura totale delle difformita’ edilizie unitariamente riguardate e di conseguenza alcun effetto giuridico produce la legislazione regionale nella determinazione integrativa delle variazioni essenziali in presenza appunto di conclamate totali difformita’.
3. Anche il terzo motivo di gravame, comune ai soli ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), e’ manifestamente infondato.
Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere la grossolanita’ e/o l’innocuita’ del falso contestato nonostante la presentazione delle integrazioni successive alla domanda di sanatoria del giugno 2009, integrazione che rendeva ormai del tutto inoffensiva la condotta per la sua evidente riconoscibilita’, da un lato, e per la sua assoluta inidoneita’, dall’altro, a ledere l’interesse protetto dall’incriminazione.
Tuttavia i ricorrenti, nell’esporre la propria tesi, ancora una volta ed inammissibilmente invitano il giudice di legittimita’ a rileggere diversamente gli atti di causa per pervenire ad una ricostruzione dei fatti diversa da quella posta, senza vizi logici e giuridici, a base del convincimento del giudice del merito.
Il quale ha spiegato come il reato di falso fosse gia’ consumato prima del deposito delle variazioni integrative alla domanda di sanatoria ideologicamente falsa e come dette variazioni fossero state significativamente prodotte solo dopo la perquisizione del 20 luglio 2009 nel corso della quale presso lo studio professionale del (OMISSIS) fu sequestrato l’appunto che comprovava, sia dal punto di vista dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato, la falsita’ contestata.
Ne’ poteva assumere alcun rilievo l’eventuale conoscibilita’ dello stato dei luoghi da parte dell’autorita’ comunale che, in precedenza, aveva effettuato un accesso in loco nel mese di marzo 2009.
Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte che ha ritenuto che per potersi parlare di “falso innocuo”, occorre (nel falso ideologico) che l’infedele attestazione sia del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto (ex multis, Sez. 5 , n. 2809 del 17/10/2013, dep. 21/01/2014, Ventriglia, Rv. 258946), mentre il falso e’ grossolano quando sia immediatamente percepibile da chiunque e dunque inidoneo a ledere il bene giuridico protetto, occorrendo che la immutatio veri risulti riconoscibile “ictu oculi”, ovvero in base alla mera disamina dello stesso (Sez. 2, n. 5687 del 06/12/2012, dep. 05/02/2013, P.G. in proc. Rahman Ataur, Rv. 255680).
Nella specie la Corte territoriale ha correttamente ritenuto l’insussistenza delle predette condizioni, attenendo la falsa attestazione, da un lato, al contenuto essenziale dell’atto (posto che la finalita’ della certificazione richiesta nel presentare la domanda di sanatoria e’ proprio quella di garantire l’esatta indicazione della consistenza del manufatto, a prescindere da ogni eventuale verifica) e non potendosi sostenere, dall’altro, che il falso potesse definirsi grossolano soltanto perche’ sarebbe stato possibile rilevare la falsita’ comparando il contenuto della domanda di sanatoria con quanto risultava all’autorita’ comunale dall’accertamento effettuato in loco nel precedente mese di marzo 2009, ovvero dalla variante in corso d’opera depositata dal (OMISSIS) nell’ottobre 2008 e successivamente respinta (posto che il fatto stesso di dover ricorrere ad una comparazione tra atti esclude la grossolanita’ del falso per non essere l’immutatio veri immediatamente riconoscibile dalla semplice disamina del documento oggetto di falsita’).
4. L’inammissibilita’ dei ricorsi esclude che possa dichiararsi la prescrizione del reato urbanistico perche’, tenuto conto dell’evento sospensivo del corso della prescrizione (dal 5 luglio 2011 al 13 ottobre 2011 per un rinvio richiesto dai difensori), la causa estintiva sarebbe maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata e i ricorsi, stante la loro inammissibilita’, non hanno percio’ instaurato un valido rapporto giuridico processuale di un nuovo grado di giudizio e cio’ impedisce il vaglio, anche ufficioso ex articolo 129 c.p.p., della prescrizione maturata tra la pronuncia della sentenza impugnata e la definizione del gravame (ex multis, Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266).
5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che le parti abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, alla declaratoria della inammissibilita’ medesima segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.

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