La massima
Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti (nella specie, consistenti nell’avere accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire determinate imprese nell’aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest’ultima quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
ORDINANZA 3 maggio 2013, n.10299
Ritenuto in fatto
Con atto del 16.11.2010, in esito ad un’indagine condotta dalla Guardia di finanza, la Procura regionale della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per il Veneto citò in giudizio, unitamente ad alcuni amministratori del Comune di Verona, alcuni componenti del consiglio di amministrazione della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti s.p.a., interamente partecipata dal Comune, chiedendone la condanna al pagamento di oltre 1.094.000 Euro, “quale danno pubblico cagionato ad AMT spa o in subordine ed in via indiretta al Comune di Verona”, in relazione alla costituzione nell’aprile 2001, da parte di AMT e sotto le direttive del Comune, di una società mista, la SI.TRA.M. s.r.l. (con prevalente capitale della AMT ed il residuo della società privata francese R.A.T.P. International) per la realizzazione di compiti già affidati alla società costituente.
La progettazione e la realizzazione del trasporto tramviario urbano era, infatti, uno dei compiti affidati dal Comune alla municipalizzata AMT in base ad una convenzione risalente a tre mesi prima della costituzione di SI.TRA.M.; costituzione consentita in base alla menzionata convenzione, ma rivelatasi inutilmente costosa: SITRAM era stata infatti posta in liquidazione volontaria nel 2004, dopo che nel marzo del 2003 il Comune aveva deciso di procedere allo scioglimento del rapporto tra AMT e SITRAM a seguito delle irregolarità di gestione rilevate dal collegio sindacale.
La relazione della Guardia di finanza aveva evidenziato che SITRAM aveva svolto attività, direttamente o per il tramite di AMT, esclusivamente per il Comune e solo per il progetto tramvia, con personale in parte trasferito da AMT e in parte direttamente assunto, al pari di quanto avrebbe peraltro potuto fare la società controllante, che aveva pagato le prestazioni di SITRAM con il ricarico applicato da quest’ultima in funzione del proprio obiettivo di profitto.
Secondo quanto evidenziato nella citata relazione, si sarebbe così realizzato di fatto un sistema finalizzato non già, come sostenuto dai convenuti, ad evitare consulenze esterne, bensì ad intermediarle, in quanto diretto esclusivamente ad erogare compensi a terzi, aggirando le regole di evidenza pubblica ed eludendo le esigenze di trasparenza. Il tutto con l’ulteriore anomalia della duplicazione degli incarichi e dei compensi a favore delle stesse persone fisiche chiamate a rivestire cariche direttive e gestionali in entrambe le società, pur a dispetto dell’evidente conflitto di interessi.
2.- Nella pendenza del giudizio contabile di responsabilità sono stati proposti due coevi regolamenti preventivi di giurisdizione: l’uno (iscritto al n. 9472/2011 del ruolo generale) da Z.S. , presidente del Consiglio di amministrazione di AMT, da A.F. , D.V.C. , D.M.U. e Sa.Ca. , tutti consiglieri di AMT, nonché da S.M.M. , sindaco pro tempore di XXXXXX dal 1994 al 2002; l’altro (iscritto al n. 9583/2011 del ruolo generale) da T.R. , anch’egli consigliere di AMT, con i quali si sostiene che, trattandosi di presunto danno cagionato direttamente alla privata società partecipata AMT, e solo indirettamente al socio Comune, la relativa azione di responsabilità sarebbe soggetta alla giurisdizione ordinaria e non a quella del giudice contabile, secondo il sistema desumibile dal complessivo assetto ordinamentale, in particolare codicistico, non soggetto a deroghe espresse.
Ricorre incidentalmente anche Za.Gu. , direttore generale di SI.TRA.M., sostanzialmente facendo proprie le tesi contenute nel primo dei due ricorsi per regolamento, in particolare sottolineando sia la mancanza di un obbligo di apporto finanziario volto a ripianare i debiti di AMT sia l’impossibilità di qualificazione in house della stessa società per il difetto di un obbligo statutario di partecipazione totalitaria, e non solo oltre il 50%.
3.- Il Procuratore regionale presso la locale sezione giurisdizionale della Corte dei conti osserva in contrario, con controricorso, che gli indici pubblicistici del rapporto contrattuale societario possono coerentemente costituire base per una riqualificazione pubblica di AMT e, in particolare, che il rapporto di affidamento del servizio pubblico a detta società integra, in realtà, un rapporto sostanziale di concessione.
4.- Il Procuratore generale ha chiesto, nelle sue conclusioni scritte, che sia affermata la giurisdizione della Corte dei conti.
5.- Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.
6.- La trattazione in camera di consiglio dei ricorsi riuniti, già fissata per 17.1.2012, s’è svolta il 26.2.2013 a seguito di ordinanza interlocutoria volta all’acquisizione di una relazione di approfondimento da parte dell’Ufficio del ruolo e del massimario alla luce del dibattito giurisprudenziale e dottrinale seguito all’arresto di cui alla sentenza di queste Sezioni unite n. 26806/2009.
Considerato in diritto
1.- I ricorsi vanno riuniti.
2.- A sostegno della carenza di giurisdizione della Corte dei conti e della sussistenza di quella del giudice ordinario i ricorrenti invocano le disposizioni normative di cui agli artt. 102 e 103 Cost., 2393 e 2393 bis cod. civ., 53 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nonché il principio enunciato da Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26906 (e dalla successiva conforme giurisprudenza) nel senso che ‘spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti (nella specie, consistenti nell’avere accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire determinate imprese nell’aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest’ultima quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio’.
3.- Il principio è stato reiteratamente ribadito (da Cass., sez. un., nn. 519/2010, 4309/2010, 10063/2011, 14655/2011, 14957/2011, 20941/2011, 3692/2012) dando luogo ad un consolidato orientamento del quale la Procura contabile sollecita la revisione.
Rappresenta come condizionamenti di carattere politico finiscano col rendere altamente improbabili iniziative degli organi societari davanti al giudice ordinario, dando luogo ad un sostanziale esonero da responsabilità di soggetti che pure arrecano danno a società sostanzialmente pubbliche, in quanto totalmente partecipate dai Comuni, di cui costituiscono longa manus per l’attuazione delle relative decisioni strategiche ed operative.
Richiama tra l’altro:
– i riferimenti alle società in house da parte dell’art. 25, comma 1, nn. 5 e 6, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), il cui art. 1 prevede la responsabilità amministrativa in caso di stipulazione, da parte di talune società a totale partecipazione pubblica, di contratti conclusi in violazione delle previste modalità di approvvigionamento;
– l’art. 4, comma 12, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, recante: ‘Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica…’), laddove stabilisce che ‘le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati’;
– l’art. 6, commi 3 e 4, del citato d.l. n. 95/2012, che estende alle società a totale partecipazione pubblica il potere ispettivo attribuito agli organi statali nei confronti delle amministrazioni pubbliche (comma 3) e prevede che comuni e province alleghino al rendiconto della gestione una nota informativa contenente la verifica dei crediti e dei debiti reciproci tra ente e società partecipate e, in caso di discordanze, adottino senza indugio i provvedimenti necessari ai fini della riconciliazione delle partite debitorie e creditorie (quarto comma);
– l’art. 3 del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (convertito in legge dalla L. 7 dicembre 201, n. 213, che ha inserito l’art. 147 ter nel testo unico degli enti locali, prevedendo penetranti controlli da parte dell’ente pubblico partecipante ed un bilancio consolidato riguardante le ‘aziende non quotate partecipate’.
Tutto ciò – conclude in memoria la Procura contabile – dovrebbe indurre a ritenere ‘irragionevole che siano sottoposti alla giurisdizione contabile gli amministratori di un’azienda speciale, quelli di una società concessionaria, la giunta comunale ed i consiglieri comunali che approvano il conto consolidato e controllano la società partecipata e non anche coloro che l’hanno gestita causando direttamente un danno erariale’.
4.- Il ricorso, nella misura in cui invoca l’applicazione al caso di specie dei principi già enunciati dalla giurisprudenza di questa corte nelle citate decisioni delle Sezioni unite nn. 26806/2009, 519/2010, 4609/2010, 10063/2011, 14655/2011, 14957/2011, 20941/2011 e 3692/2012 (cui adde, da ultimo, l’ordinanza n. 8352/2013), appare fondato.
Infatti, alla luce di quei principi, che non occorre qui ripetere essendo stati già dianzi richiamati, non è dato ravvisare la giurisdizione della Corte dei conti in controversie che abbiano ad oggetto la responsabilità per mala gestio imputabile ad amministratori di società a partecipazione pubblica, ove il danno di cui si pretende il ristoro sia riferito al patrimonio sociale, cioè ad un patrimonio che, non potendosi quello della società confondere con quello dei soci, appartiene alla società medesima, la quale non diviene essa stessa un ente pubblico sol per il fatto di essere partecipata da un ente pubblico.
La sollecitazione rivolta dalla Procura contabile a questa corte affinché riveda il proprio suaccennato orientamento, quando la società di cui si tratta abbia le caratteristiche della c.d. società in house providing, non può trovare riscontro in questa sede, per l’assorbente ragione che lo statuto della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti s.p.a., allegato agli atti di causa, non evidenzia caratteristiche di tal genere. È vero infatti che, secondo un orientamento da tempo affermatosi (benché a fini diversi da quelli della disciplina del riparto tra giurisdizioni) nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, e talora richiamato anche dalla Corte costituzionale (si veda, in particolare, da ultimo, la sentenza n. 46 del 2013), le società in house costituirebbero null’altro che una longa manus dell’amministrazione; ma ciò in quanto vi si ravvisi la contemporanea presenza di tre condizioni: a) l’essere la società a totale partecipazione pubblica, b) la sua destinazione statutaria ad operare in via esclusiva o prevalente in favore dell’amministrazione pubblica partecipante, c) l’esistenza di quello che si è ormai soliti definire come ‘controllo analogo’, ossia una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria, da parte della pubblica amministrazione partecipante, analoga a quella che la medesima amministrazione eserciterebbe su una propria articolazione interna.
Nel caso in esame lo statuto della società prevede che la partecipazione del Comune di Verona al capitale sociale non possa essere inferiore al 51%, ma non che debba essere totalitaria. L’oggetto sociale, pur facendo riferimento a ‘servizi pubblici’, non implica che l’impresa possa operare solo nei confronti della pubblica amministrazione partecipante (comprendendo invece, ad esempio, anche l’attività di trasporto turistico privato). I poteri di gestione dell’impresa, al pari di quelli di vigilanza sulla medesima gestione e sulla contabilità, sono attribuiti ai competenti organi sociali secondo criteri del tutto corrispondenti a quelli di regola previsti nelle normali società azionarie di diritto privato, con la sola previsione, quanto ai budgets, ai prezzi ed alle tariffe, di un generico riferimento ad un documento di indirizzo approvato dal Consiglio comunale di Verona; riferimento che evidentemente non vale ad integrare gli estremi del ‘controllo analogo’ cui sopra si è fatto cenno.
Per il resto le argomentazioni svolte nelle difese della Procura contabile non offrono elementi decisivi, tali da indurre a modificare l’indirizzo giurisprudenziale già menzionato, alla stregua del quale, peraltro, non v’è ragione per dubitare della giurisdizione del giudice contabile in ordine all’azione proposta nei confronti del sindaco e dell’assessore comunale, restando evidentemente poi rimessa a quel medesimo giudice, in sede di merito, ogni valutazione circa la possibilità d’individuare nel caso di specie un danno imputabile ad azioni o omissioni di quei soggetti e riferibile (non già al patrimonio della società partecipata, bensì) direttamente all’ente pubblico comunale.
5. In conclusione, pertanto, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti dei convenuti diversi dal sindaco e dall’assessore sopra menzionati.
Sussistono giusti motivi per compensare tra tutte le parti le spese del regolamento.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, pronunciando sui ricorsi riuniti, dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei convenuti diversi da S.M.M. e D.G.L. ;
compensa le spese del regolamento.
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