CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 30 luglio 2014, n. 17403

Svolgimento del processo

1. – S.A. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1620 del 10.11.11 della Corte di appello di Torino, con la quale è stato respinto il suo appello avverso,la reiezione, per riconosciuta prescrizione, della sua domanda di condanna del Ministero della Salute al risarcimento dei danni patiti per lesioni da emotrasfusione. L’intimato non svolge attività difensiva in questa sede ed il difensore della ricorrente compare alla pubblica udienza di discussione del 22 maggio 2014.

Motivi della decisione

2. — La ricorrente (che risulta avere presentato l’istanza di indennizzo ex L. 210/92 il 25.3.96 ed intentato l’azione con citazione in primo grado notificata il 16.1.04) sviluppa tre motivi di ricorso:
– con un primo, di violazione o falsa applicazione di norme di diritto e plurimo vizio motivazionale, contesta l’esclusione del perfezionamento di una transazione con il Ministero, incorporando al ricorso numerosissimi documenti;
– con un secondo, di violazione o falsa applicazione, di norme di diritto, lamenta l’esclusione della durata decennale del termine prescrizionale, dovendo nella specie ravvisarsi una responsabilità contrattuale da c.d. contatto sociale;
– con un terzo, di violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizio motivazionale, censura l’omessa considerazione dell’interruzione della prescrizione o della rinuncia ad essa, nonché dell’incompiuto decorso del termine quinquennale e dell’esatta decorrenza di esso o del suo computo.
3. – Il primo motivo è manifestamente infondato.
Con motivazione congrua e logica — che si sottrae pertanto a censura in questa sede di legittimità — la corte territoriale ha escluso qualsiasi accettazione della domanda di transazione da parte del Ministero convenuto, anche per la necessità della stipula della transazione stessa da parte della competente Direzione generale e della rinunzia di controparte alle azioni.
La materia è regolata da disposizioni legislative che prevedono stanziamenti di fondi e fissazione di criteri guida per la stipula delle transazioni con soggetti danneggiati da emoderivati infetti, che abbiano in corso con lo Stato un giudizio di risarcimento dei relativi danni; e, da ultimo, dall’art. 3 del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 novembre 2007 n. 222, nonché dai commi da 361 a 365 dell’art. 1 della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — legge finanziaria 2008).
Tali disposizioni non innovano in nulla, però, ai principi generali in tema di contratti della Pubblica Amministrazione.
Tra questi principi è del tutto consolidato quello in forza del quale è per tali contratti sempre indispensabile, al di là degli atti preparatori o prodromici, la forma scritta ad substantiam in un unico contesto e con l’intervento degli organi della P.A. abilitati ad impegnarne la volontà: sul principio, confermato anche per le transazioni (Cass. 29 novembre 2005, n. 26047; Cass. 6 giugno 2002, n. 8192), basti un richiamo a Cass. 6 luglio 2007, n. 15296, ovvero a Cass., ord. 9 dicembre 2011, n. 26461, ovvero ancora a Cass. 17 gennaio 2013, n. 1167, che rimarcano come la forma scritta sia infatti ineludibile strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, sia della collettività, agevolando l’espletamento defila funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost., pure sottolineando come non siano ammessi equipollenti al documento scritto, in particolare non potendo operare, se non a certe condizioni nel caso -che qui neppure ricorre – dei contratti con imprese commerciali (tra le altre, v. Cass. 18 aprile 2006 n. 8950), il consueto meccanismo dello scambio di proposta ed accettazione e tanto meno in assoluto quello della conclusione per facta concludentia (per tutte, v. Cass. 19 ottobre 2006 n. 22501).
Del resto, la struttura stessa della normativa in tema di transazione in materia di danni da emotrasfusioni infette – articolata sul previo riscontro della sussistenza di criteri medici prefissati e la comparazione stessa fra situazioni di diversa gravità al fine di regolamentare l’accesso alle risorse – presuppone una complessa fase istruttoria, che impone di acquisire idonea documentazione sulla sussistenza degli elementi fattuali della controversia, rispetto ai quali valutare l’interesse a reciproche concessioni con controparte; e, poiché una tale valutazione presuppone pur sempre una discrezionalità in capo ad entrambi i potenziali paciscenti, sia in ordine all’an che in ordine al quantum di quelle concessioni, ne resta esclusa l’obbligatorietà della transazione: infrangendosi tale tesi contro l’intuitiva insopprimibile libertà di ciascuna delle parti del rapporto di addivenire o meno alle indicate concessioni reciproche, soprattutto se, in quanto a carico del pubblico erario, quelle della parte pubblica siano soggette a particolari condizioni di rito e di merito.
4. – Il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
4.1. È ben vero che sussisteva a carico del Ministero della sanità (oggi Ministero della salute), anche prima dell’entrata in vigore della legge 4 maggio 1990, n. 107, un obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico; sicché il giudice, accertata l’omissione di tali attività con riferimento alle cognizioni scientifiche esistenti all’epoca di produzione del preparato, ed accertata l’esistenza di una patologia da virus HIV, HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento (per tutte: Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576); sicché, per l’unicità dell’evento lesivo – infezione da HBV, HIV, HCV – derivato dall’emotrasfusione (Cass. 29 agosto 2011, n. 17685; Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576), la responsabilità può agevolmente ricavarsi nell’omissione, da parte del Ministero, dei controlli, consentiti dalle conoscenze mediche e dei più datati parametri scientifici del tempo, sull’idoneità del sangue ad essere oggetto di trasfusione (tra le altre: Cass. 14 luglio 2011, n. 15453), in epoca anche anteriore alla più risalente delle scoperte dei mezzi di prevenibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978.
4.2. La responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è però chiaramente di natura extracontrattuale, non configurandosi un contatto sociale tra il Ministero ed i singoli individui sottoposti a trasfusione, ma, a tutto concedere, tra quelli e le singole strutture in cui la trasfusione è operata; né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime, i cui elementi materiali sono esclusi; e non rilevando ipotesi accusatorie penali non consacrate in condanne definitive e nei confronti di soggetti il cui operato non possa sicuramente ascriversi all’intimato, ove neppure esso risulti coinvolto nel relativi procedimenti penali); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale.
4.3. Tale termine decorre poi, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, a tal fine coincidente di norma non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all’art. 4 della legge n. 210 del 1992, bensì al più tardi con la proposizione della relativa domanda amministrativa (Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. 23 maggio 2011, nn. 11301 e 11302; Cass., ord. 5 luglio 2011, n. 14694; Cass. 13 luglio 2011, n. 15391; Cass. 14 giugno 2013, n. 14931; Cass. 18 giugno 2013, n. 15206; Cass. 30 agosto 2013, n. 19997).
Infatti, il termine di presentazione della domanda di indennizzo ai sensi della legge 210 del 1992 è quello ultimo e più favorevole per il danneggiato, essendo evidente che, a quella data, si è conseguito un apprezzabile grado di consapevolezza (non essendo richiesta la certezza) sugli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria configurabile, cioè il danno, l’evento produttivo del medesimo ed il nesso causale, mentre la colpa dell’amministrazione può in modo del tutto adeguato essere prefigurata in base agli elementi a disposizione nel momento in cui si insta per fare valere un quadro patologico chiaramente riferito alla somministrazione di sangue infetto.
In altri termini, la personalizzazione degli accertamenti di fatto sulla consapevolezza del danneggiato, effettivamente oggetto della stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, non può mai – in altri termini – spostare ulteriormente in avanti l’exordium praescriptionis, ma solo rilevare in peius per il danneggiato, ove sia positivamente provato che egli abbia avuto una chiara consapevolezza del danno, del nesso causale con Temo trasfusione e della colpa della controparte anche in tempo anteriore.
La data di presentazione della domanda di indennizzo rappresenta quindi – per così dire — la barriera preclusiva finale, oltre la quale la consapevolezza del danneggiato deve presumersi corrispondente all’id quod plerumque acddit e con quel grado non già di certezza assoluta, ma di rilevante e plausibile completezza sufficiente per intraprendere un’azione per danni.
4.4. Infine, il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992 (Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 584; Cass. 23 maggio 2011, n. 11302; Cass., 17 gennaio 2012, n. 532): pertanto, l’ontologica differenza tra le due prestazioni, quella indennitaria e quella risarcitoria, esclude che il riconoscimento dei presupposti per conseguire la prima possa valere come ammissione dei ben diversi presupposti indispensabili per la seconda, di natura aquiliana e incentrata anche e quanto meno pure – oltre, cioè, che sul nesso causale — sulla colpa del preteso danneggiante.
5. – Correttamente escluso il perfezionamento della transazione con il Ministero, nel caso di specie è rigorosamente motivato dalla corte territoriale il vano spirare del termine prescrizionale quinquennale dalla data di presentazione della domanda dj indennizzo il 25.3.96, essendo stata intentata l’azione con citazione in primo grado notificata il 16.1.04. La sentenza gravata si sottrae, così, alle censure mossele ed il ricorso va rigettato.
Tuttavia, quanto alle spese del giudizio di legittimità, la procedura transattiva prevista dalla l. 29 novembre 2007 n. 222, di conversione del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159 e dalla l. 24 dicembre 2007, n. 244, per il componimento dei giudizi risarcitoli per effetto di trasfusioni con sangue infetto (pur lasciando, per quanto più su detto, libera la P.A. di valutare se pervenire alla transazione) denota un sostanziale trend legislativo di definizione stragiudiziale del contenzioso (da ultimo confermato dal d.m. 4.5.12, pubbl. in G.U. 13.7.12) e tanto integra giusto motivo di compensazione delle spese processuali, a norma dell’art. 92 cod. proc. civ., nella formulazione — applicabile alla fattispecie – anteriore alla modifica di cui all’art. 2, co. 1, l. n. 263/ 2005.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

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