Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 22 marzo 2016, n. 12280
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n.2582/2015 Reg.Sent. del 12/06/2015 ha confermato la condanna a pena detentiva sostituita con pena pecuniaria che il 17/10/2013 il Tribunale di Termini Imerese ha inflitto a F.A. per il reato di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina ex art. 571 cod. pen. (in particolare inducendo l’allieva E.C. a definirsi “bulla” di fronte ai compagni per i suoi comportamenti prepotenti verso altro compagno), ma riducendo la somma liquidata quale risarcimento del danno in favore della persona offesa minorenne.
2. Nel ricorso presentato per conto di A. F. si chiede l’annullamento della sentenza della Corte di appello deducendo: a) violazione degli artt.511 e 525, comma 2, cod.proc.pen.. nel giudizio di primo grado in quanto, essendo state tutte le prove raccolte in dibattimento davanti allo stesso giudice che ha emesso la sentenza, questo stesso giudice avrebbe dovuto rinnovare il dibattimento poichè medio tempore (essendo egli impegnato quale componente della commissione del concorso per la magistratura) era stato sostituito da altro giudice che si era immediatamente astenuto senza compiere altri atti; b) violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. per mancata assunzione di una prova decisiva, per non avere la Corte di appello accolto la istanza di riapertura della istruttoria disponendo perizia psicologica volta a accertare se la minorenne persona offesa avesse corso il pericolo di subire una malattia psichica a causa della condotta dell’imputata; c) vizio di motivazione relativamente alla mancata assoluzione, con particolare riferimento, quanto alla ricostruzione dei fatti, alla mancata valorizzazione dei testi della difesa e, quanto alla qualificazione delle condotte, alla mancata valutazione della proporzione fra il mezzo educativo descritto nell’imputazione e lo scopo pedagogico perseguito nel concreto contesto della vicenda con particolare riferimento alla condizione di vessazione del minorenne Richiuso destinatario di atti di prevaricazione da parte della minorenne persona offesa nel presente procedimento; d) per carenza di motivazione, nonché violazione di legge in relazione alla entità della pena irrogata, alla mancata concessione all’imputata delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena.; e) violazione dell’art. 185 cod. pen. e dell’art. 2043 cod. civ.. per essere la misura del risarcimento del danno eccessiva e sproporzionata.
Considerato in diritto
1. L’argomento addotto a sostegno dei primo motivo di ricorso risulta inconsistente. Come già rilevato dalla Corte di appello, tutte le prove utilizzate per la decisione sono state acquiste davanti al giudice che ha emesso la sentenza, sicchè si è determinata una situazione aderente al dettato dell’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. perché la deliberazione è stata adottata dallo stesso giudice che ha acquisito le prove nel dibattimento.
2. II secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Nell’art. 571 cod. pen., la nozione di pericolo di una malattia nella mente è più ampia di quelle di imputabilità o di lesione personale, perché comprende ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica dei soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e dei comportamento (Cass. pen.: Sez. 3, n. 49433 del 22/10/2009; Rv. 245753; Sez. 6, n. 16491, Rv. 231452). Ne deriva che il pericolo non va accertato necessariamente con una perizia medico-legale, ma desumersi anche dalla natura stessa dell’abuso, secondo massime di comune esperienza, e può ravvisarsi quando la condotta dell’agente presenti connotati tali da risultare idonea a produrre malattia di mente. Nè occorre che questa si sia realmente verificata, perché l’abuso oggetto dei primo comma dell’art. 571 cod. pen. è reato di pericolo, mentre l’esistenza di una lesione personale è elemento costitutivo della ipotesi, diversa e più grave, prevista dal secondo comma (Cass. pen., Sez. 6, n. 6001 del 01/04/1998, Rv 210535). Posto questo, deve rilevarsi che la motivazione della sentenza esamina analiticamente le conseguenze dell’accaduto sulla minorenne persona offesa (pagg.11-12):
3. II terzo motivo di ricorso concerne genericamente tutti i passaggi della decisione che, in realtà, non manca di valutare sia la proporzione fra il mezzo educativo utilizzato e lo scopo pedagogico perseguito (pag.11 della sentenza), sia rapporti fra la persona offesa e l’altro minorenne (Rinchiuso Davide) interessato dalla vicenda.
4. II quarto motivo di appello è manifestamente infondato.
Quando la pena è inflitta in misura prossima al minimo edittale l’obbligo dì motivazione si attenua, bastando il richiamo a criteri di adeguatezza, nei quali sono impliciti gli elementi ex art. 133 cod. pen. (Cass. pen., Sez.1, n. 24213 dei 13/03/2013, Rv. 255825). Nel caso in esame, la Corte di appello – dopo articolata disamina del caso – ha confermato la pena (20 giorni di reclusione sostituiti con pena pecuniaria) prossima al minimo edittale.
II riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è giudizio lasciato alla discrezionalità dei giudice, che deve solo motivare l’adeguatezza della pena alla gravità del reato e alla personalità dei reo (Cass. pen.: Sez. 6, n.41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, 46954 del 04/11/2004, Rv. 230591). Nel caso in esame, la Corte di Appello ha spiegato le ragioni del suo diniego con l’assenza di revisione critica delle condotte da parte dell’imputata.
Il giudice di appello può &a concedere d’ufficio (art. 597, comma 5, cod. proc. pen.) la sospensione condizionale della pena, ma l’obbligo di motivarne il diniego sorge solo nel caso in cui l’imputato ne abbia chiesto il riconoscimento con specifico motivo d’appello o nelle conclusioni, anche in via subordinata (Cass. pen.: Sez. 6, n. 26539 del 09/06/2015, Rv.263917; Sez.6, n.30201 dei 27/06/2011, Rv.256560). Nel caso in esame non è indicato dal ricorrente, né altrimenti risulta, che in sede di appello sia stata chiesta la sospensione condizionale della pena: in realtà il punto non è coltivato neanche nel ricorso in oggetto, che si limita a dolersi del mancato riconoscimento dei beneficio, sicchè non ricorre violazione di legge o mancanza di motivazione (Cass. pen., Sez. 4, n. 43113 del 18/09/2012, Rv. 253641).
5. Il quinto motivo di ricorso è generico. In realtà la Corte di Appello, espressamente accogliendo la richiesta dell’appellante, ha ritenuto equo ridurre la misura del risarcimento dei danno (equitativamente liquidato) in favore della minorenne da 5000 a 2000 euro, “tenuto conto del carattere transitorio del disagio psicologico dalla stessa sofferto”.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.
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