Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 20 novembre 2014, n. 48036
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa il 27.11.2012 il Tribunale di Pescara ha assolto D.G.B. e C.B. dal reato di cui all’art. 323 c.p. loro rispettivamente ascritto perché il fatto non sussiste. L’accusa mossa agli imputati, nella rispettiva qualità di direttore generale e presidente del consiglio di amministrazione dell’Azienda Comprensoriale Acquedottistica (ACA) s.p.a. in (…), società gestore del servizio idrico integrato nell’A.T.O. n. 4 di Pescara, è quella di aver assunto, con rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione a progetto, una serie di soggetti senza previo esperimento di procedure concorsuali o di selezione, in violazione dell’art. 97 Cost. e 35 e 36 d.leg.vo n. 165/2001, in totale carenza di una pianta organica dell’ente e con notevole aggravio di costi nei bilanci della società, arrecando un ingiusto vantaggio patrimoniale ai soggetti privati assunti, in molti casi soggetti legati da rapporti di parentela o amicizia ad esponenti politici locali. In (…), in periodo compreso tra il (omissis) ed il (…).
2. Avverso la sentenza propone ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara deducendo l’infondatezza della ricostruzione normativa operata dai giudici di merito evidenziando la valenza immediatamente precettiva degli obblighi di buon andamento ed imparzialità discendenti dall’art. 97 Cost. e dell’obbligo per le società costituite per la gestione di servizi pubblici del rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente ( art. 7 comma secondo lett. f) l.r. n. 23/2004), secondo i criteri direttivi fissati dagli artt. 35 e 36 d.leg.vo n. 165/2001. Nella specie nulla di tutto ciò era stato fatto, né valendo la considerazione del Tribunale secondo la quale le procedure concorsuali dovevano essere attuate unicamente per le qualifiche per le quali non era richiesto “il solo requisito della scuola dell’obbligo”, posto che in tali casi i lavoratori da assumere dovevano essere comunque scelti “mediante l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente” e non, come era accaduto, costituendo un rapporto di lavoro con persone individuate, ad libitum, dal Direttore dell’ente.
3. È pervenuta memoria difensiva nell’interesse di C.B. che evidenzia:
3.1. l’inammissibilità del ricorso del P.G. fondato su argomentazioni di mero fatto diverse da quelle della sentenza impugnata;
3.2. l’infondatezza della censura relativa alla inapplicabilità dell’art. 97 Cost., avendo la sentenza, per di più, puntualmente motivato in ordine alla impossibilità di ravvisare una lesione del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione nella condotta dell’imputato.
3.3. l’infondatezza della censura relativa alla inapplicabilità degli artt. 35 e 36 d.leg.vo 165/2001, posto che art. 1 del d.leg.vo 165/2001 non comprende le società per azioni in house providing come la ACA spa né gli enti pubblici economici. E tale esclusione di evince – in via definitiva – dall’art.18 della legge 133 del 2008 che impone alle società che gestiscono servizi pubblici solo di adottare regolamenti per il reclutamento del personale ispirati all’art. 35 del d. leg.vo n. 165 del 2001.
3.4. l’infondatezza della censura relativa alla inapplicabilità della L.R. Abruzzo n. 23/2004, in ogni caso non oggetto di contestazione come correttamente rilevato dalla sentenza che – peraltro – si spinge ad escludere la applicabilità della normativa in questione nel caso di specie e con un giudizio esente da vizi e solo genericamente ed in fatto contestato dal ricorrente.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile perché generico.
1. Innanzitutto, va rilevato che in tema di abuso d’ufficio, se il requisito della violazione di legge può essere integrato anche dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A. nella parte in cui, esprimendo il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi, impone al pubblico ufficiale e all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione (Sez. 6, n. 34086 del 26/06/2013 Rv. 257036 Bessone e altro) purtuttavia tale profilo, valorizzato dal ricorrente pubblico, si palesa eccentrico rispetto alla stessa pregante ipotizzata violazione di norme specificamente destinate allo svolgimento delle procedure di assunzione dei soggetti presso l’ente in questione richiamate attraverso gli artt. 35 e 36 del d.leg.vo n. 165/2001.
2. Premessa in fatto del ragionamento che ha determinato la decisione liberatoria impugnata è quella secondo la quale, nella specie si tratta dell’assunzione di 81 lavoratori già alle dipendenze delle disciolte società Risorse Idriche s.p.a., Hydrowatt Abruzzo s.p.a. e Hydros s.p.a. che gestivano il servizio idrico in alcuni comuni ricompresi nell’A.T.O. 4; di 22 lavoratori già alle dipendenze del Comune di Pescara già addetti ai servizi comunali di fognature e depurazione; di sette lavoratori disabili assunti ex l.n.68/99; di otto stagisti con contratto di lavoro a tempo determinato per un anno; di due impiegati con contratto di collaborazione a progetto e poi con contratto di lavoro a tempo determinato per un anno; di 63 lavoratori con contratto di collaborazione a progetto.
3. In diritto, la sentenza ha osservato che la legge l.n. 36/1994, in relazione alla dotazione dei soggetti gestori del servizio idrico integrato, con l’art. 12 demandava alle regioni la disciplina di forme e modalità del trasferimento a detti soggetti del personale appartenente alle amministrazioni comunali, dei consorzi, delle aziende speciali e di altri enti pubblici già adibiti ai servizi di cui all’art. 4 comma 1, lettera f) della stessa legge, prevedendo – altresì – che tale trasferimento avvenisse nella posizione giuridica rivestita dal personale presso l’ente di provenienza, richiamando, infine, l’art. 2112 cod. civ. in tema di trasferimento di azienda. L’ACA, già consorzio gestore, si è trasformata in s.p.a. ex l.n. 448/01 e poi in società “in house providing” ex d.leg.vo 152/2006 e l.r. Abruzzo n. 37/07, ricevendo in tale qualità l’affidamento del servizio idrico integrato dall’autorità d’ambito ed ha progressivamente assorbito i servizi già affidati ad altri consorzi o s.p.a. sopra individuati e le relative dotazioni ed infrastrutture.
4. In tale contesto la sentenza individua le riassunzioni alle dipendenze dell’ACA del personale già in carico ai precedenti gestori del servizio “adempimento dello specifico obbligo” in applicazione delle previsioni della l.n. 36/94 e delle disposizioni regionali di cui alla l.n.2/97, esplicativi del principio generale di continuazione dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 cod. civ..
5. Quanto alle assunzioni di lavoratori disabili, di rapporti di lavoro a tempo determinato ex l. 368/2000 o di rapporti di collaborazione a progetto ex d.leg.vo 276/2003 ed altri rapporti a tempo indeterminato e di collaborazione coordinata e continuativa, il Tribunale esclude potesse applicarsi la disciplina ex artt. 35 e 36 d.leg.vo 165/2001 in ragione della non appartenenza dell’ACA alle amministrazioni pubbliche, essendo sottoposta al solo obbligo previsto dall’art. 7 co. 4 lett. f) l.r.n.23/04 che, ancorché non oggetto di contestazione, purtuttavia si applica – secondo il Collegio del merito – solo per l’instaurazione dall’esterno di rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, e solo per l’adibizione a mansioni proprie di qualifiche professionali e profili per i quali sono richiesti requisiti professionali ulteriori rispetto all’assolvimento dell’obbligo scolastico, laddove l’assunzione a qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo avviene mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collegamento, in base a procedure selettive. Quanto alle assunzioni di lavoratori appartenenti alle categorie protette, risulta prevista ex art. 11 l.n. 68/99 la possibilità di stipula con i datori di lavoro convenzioni che prevedono la scelta nominativa dei lavoratori da assumere. Così, in applicazione di detti principi il Tribunale ha affermato la legittimità delle assunzioni dei lavoratori disabili in relazione alla convenzione ex art. 11 l.n. 68/99 in data 27.1.2005 tra l’ACA e l’Amministrazione provinciale di Pescara; di quelle dei lavoratori assunti a tempo indeterminato in ragione delle qualifiche che lo consentivano; quelle dei lavoratori a tempo determinato perché erano state comunque svolte procedure selettive effettuate a seguito di offerta pubblica di lavoro (che peraltro avevano preceduto anche le assunzioni a tempo indeterminato per profili professionali tecnici); quelle relative ai lavoratori utilizzati con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, legittime in ragione della natura privata dell’ACA e, in ogni caso, in relazione alle modalità di scelta dei lavoratori risultava anche che la selezione era avvenuta mediante apposito bando pubblico.
6. La sentenza, infine, ritiene che la sussistenza di rapporti di parentela tra alcuni assunti o impiegati ed alcuni consiglieri comunali o altri esponenti politici dei comuni ricompresi nell’A.T.O. 4 – evenienza frequente per le piccole o piccolissime dimensioni dei paesi interessati – o l’aver ricoperto taluni lavoratori cariche politiche elettive, non indiziavano di per sé favoritismi in ragione della assenza di altre ragioni di illegittimità dell’impiego del personale considerato nonché di rapporti, di alcun genere, tra esponenti politici e gli imputati.
7. Osserva la Corte che il generico approccio del ricorrente ai temi di diritto sottesi alla fattispecie in esame rispetto alla articolata motivazione offerta dalla sentenza non inficia la proposizione del ricorso che devolve comunque la questione di diritto in ordine alle regole che presiedono la assunzione di personale presso le società in house, risultando – invece – esiziale per il ricorso la sua genericità rispetto al profilo soggettivo richiesto dalla ipotesi abuso in contestazione.
8. Quanto al primo aspetto ritiene la Corte che errata è la ragione in diritto sulla quale poggia la decisione liberatoria secondo la quale alla ACA s.p.a., a capitale interamente pubblico, società in house providing non si debbano applicare – in tema di reclutamento del personale – le procedure ad evidenza pubblica previste dagli artt. 35 e 36 d.leg.vo n. 165/2001 in quanto non rientra negli enti pubblici indicati dall’art. 1 comma 2 d.legs. n. 165/2001.
9. È costante insegnamento di questa Corte quello secondo il quale i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici. (Fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio all’amministratore di una società per azioni, operante secondo le regole privatistiche, ma partecipata da un consorzio di enti pubblici ed avente ad oggetto la gestione di un servizio di pubblico interesse, quale la raccolta o lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani). (Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257384).
10. Come hanno chiarito le Sezioni Unite civili in tema di società in house con sentenza del 25.11.2013 n. 26283, che “pur trattandosi all’origine di una figura di stampo eminentemente giurisprudenziale, la società in house non ha tardato ad acquisire cittadinanza anche nella legislazione nazionale. Se ne trova menzione in molteplici sparse disposizioni normative, talvolta con mero richiamo alle caratteristiche richieste dalla citata giurisprudenza Europea, altre volte con più specifica indicazione dei requisiti occorrenti perché tale figura ricorra. Particolare risalto assume, in questo contesto, il disposto dell’art. 113, comma 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti a locali (D.Lgs. n. 267 del 2000), come riformulato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 14, (convertito con modificazioni dalla L 24 novembre 2003, n. 326), che, in presenza di determinate condizioni, consente espressamente l’affidamento di servizi pubblici, anziché ad imprese terze da individuare mediante procedure di evidenza pubblica, a società di capitali costituite per quello scopo e partecipate totalitariamente da soci pubblici, purché esse realizzino la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che le controllano e purché questi ultimi esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. È dunque possibile considerare ormai ben delineati nell’ordinamento i connotati qualificanti della società in house, costituita per finalità di gestione di pubblici servizi e definita dai tre requisiti già più volte ricordati: la natura esclusivamente pubblica dei soci, l’esercizio dell’attività in prevalenza a favore dei soci stessi e la sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”. Cosicché le società in house hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Gli organi delle società in house sono preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, sicché è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall’ente pubblico”.
11. Tale pregnante connotazione pubblicistica della società in house providing, quale è indiscussamente la A.C.A. s.p.a., impone nell’ambito del reclutamento del personale il regime pubblicistico previsto dal d.leg.vo n. 165/2001. Per escludere il quale la sentenza erroneamente ritiene che assunzioni di personale già in carico ai precedenti disciolti soggetti gestori del servizio (Risorse Idriche s.p.a., Hydrowatt Abruzzo s.p.a. e Hydros s.p.a.) costituisse “adempimento di obblighi di legge” valorizzando la provenienza dei soggetti da assumere dalle precedenti società e richiamando il regime del trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 cod. civ.. Invero, la previsione dell’art. 12 l.n. 36/1994 alla quale il Giudice pescarese fa riferimento, non solo non ha introdotto alcuna disciplina immediatamente applicabile in tale senso, prevedendo soltanto i criteri della emananda disciplina regionale, ma ha considerato il personale appartenente ad “amministrazioni comunali, consorzi, aziende speciali e di altri enti pubblici già adibito ai servizi di cui all’art. 4 comma 1 lettera f) della stessa legge”, rispetto ai quali la sentenza impugnata non effettua alcuna verifica in relazione ai preesistenti predetti enti gestori del servizio. Né alcuna disciplina è contenuta nella L.R. Abruzzo n. 2 del 1997 che nelle disposizioni in materia di riscorse idriche di cui alla precedente legge 36 del 1994, in tema di trasferimento del personale di cui all’art. 12 comma 3 della legge n. 36 del 1994 ai soggetti gestori del servizio idrico integrato, rimanda alla emanazione di una successiva apposita legge. Infine, anche la legge regionale n. 23 del 5 agosto 2004 – all’art. 7 comma 4 lett. f) ed in relazione a società a capitale interamente pubblico – prevede solo in via generale che “è obbligatorio per le società così costituite il rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente”, così richiamando gli artt. 35 e 35 e 36 del d.leg.vo 165/2001, la cui violazione è stata specificamente contestata dall’Accusa. La Corte Costituzionale è stata investita dal Governo della questione di costituzionalità del predetto art. 7 comma 4 lett.f) l.r. n. 23 del 2004 in quanto, nel prevedere che la società a capitale interamente pubblico, affidatane del servizio pubblico sono obbligate al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente, pone a carico di società private obblighi e oneri non previsti per l’instaurazione dei rapporti di lavoro nel settore privato ed invade quindi la competenza esclusiva statale nella materia “ordinamento civile” (art. 117, secondo comma, lettera I, della Costituzione). La Corte con sentenza n. 29 del 1.2.2006 ha ritenuto la questione non fondata in quanto “la disposizione in esame non è volta a porre limitazioni alla capacità di agire delle persone giuridiche private, bensì a dare applicazione al principio di cui all’art. 97 della Costituzione rispetto ad una società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici. D’altronde, questa Corte, sulla base della distinzione tra privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale, e dunque con riferimento al suindicato principio, ha riconosciuto la legittimità della sottoposizione al controllo della Corte dei Conti degli enti pubblici trasformati in società per azioni a capitale totalmente pubblico (sentenza n. 466 del 1993)”.
12. In conclusione, è illegittima la sottrazione operata dalla sentenza della società in house providing in questione al regime pubblicistico fissato dagli artt. 35 e 36 d.leg.vo n. 165/2001 in tema di reclutamento del personale.
13. Purtuttavia, i presupposti richiesti per l’integrazione del reato di abuso di ufficio contestato non si esauriscono nella violazione della regola esaminata. Invero, ai fini del perfezionamento del reato di abuso d’ufficio non assume alcun rilievo, stante la sua natura di reato di evento, l’adozione di atti amministrativi illegittimi da parte del pubblico ufficiale agente, ma unicamente il concreto verificarsi (reale o potenziale) di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo procura con i suoi atti a sé stesso o ad altri, ovvero di un ingiusto danno che quei medesimi atti procurano a terzi (Sez. 6, n. 36020 del 24/05/2011, Rossattini, Rv. 250776). È, quindi, necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Ne consegue che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l’ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata esistenza dell’illegittimità della condotta. (Sez. 6, n. 35381 del 27/06/2006 Rv. 234832 Moro); in particolare, la violazione di legge cui fa riferimento l’art. 323 cod. pen. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche le condotte che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione (Sez. 6, n. 43789 del 18/10/2012, Contiguglia ed altri, Rv. 254124) rispetto alla quale si configura l’elemento soggettivo del dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito (Sez. 6, n. 35859 del 07/05/2008 Rv. 241210 Pro; Sez. 5, n. 3039 del 03/12/2010, Maretta e altri, Rv. 249706).
14. La prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto. Tale certezza non può provenire esclusivamente dal comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, quali la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed i rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno. (Fattispecie relativa all’adozione di una delibera di collocamento in disponibilità di dipendenti comunali, senza la preventiva adozione del regolamento degli uffici e dei servizi). (Sez. 6, n. 35814 del 27/06/2007, Pacia e altri, Rv. 237916); ancora, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto e tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, che evidenzino la effettiva “ratio” ispiratrice del comportamento, quali, ad esempio, la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed il tenore dei rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento stesso ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno. (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla e altri, Rv. 255368).
15. Nella specie, la valorizzazione come fine pubblico perseguito dagli agenti della necessità di ricollocare i dipendenti delle società estinte e l’assenza di altri elementi sintomatici ha fatto ritenere che i ricorrenti non avessero perseguito favoritismi personali, escludendo il dolo intenzionale richiesto dalla fattispecie contestata. Rispetto a detta esclusione il ricorso è assolutamente privo di specificità evocando soltanto una generica ed inconcludente arbitrarietà di comportamenti che non attinge in alcun modo la giustificazione resa dalla sentenza impugnata sul decisivo profilo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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