Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 19 giugno 2015, n. 25958

Premesso

che con la decisione indicata in epigrafe il G.U.P. del Tribunale di Avellino ha disposto non doversi procedere nei confronti di A.G. in ordine al reato di tentata concussione perché il fatto non sussiste;
che l’imputazione veniva contestata al G. con riferimento agli artt. 56 e 317 c.p. perché questi, nel corso della campagna elettorale per il rinnovo dei Consiglio Comunale di Solofra, abusando della sua qualità di Sindaco ancora in carica, telefonava a B.S. e, per costringerlo a non sostenere una lista avversaria, lo minacciava di un male ingiusto dicendogli: “Sono T. G., ancora per cinque giorni Sindaco di Solofra, volevo parlarti del tuo orientamento politico su N.D.S. (per il quale il B. stava facendo campagna elettorale), devi assolutamente modificarlo per il tuo bene presente e futuro”, nel prosieguo della medesima telefonata, e per la stessa finalità, minacciava ancora il B. dicendogli più volte che in caso negativo egli avrebbe riferito alla di lui suocera di una relazione extraconiugale da questi intrattenuta, con tale condotta ponendo in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere il B. a promettere indebitamente un’utilità per sé o per altri, consistente nel non sostenere la campagna elettorale della principale lista avversaria di quella da lui appoggiata, evento non verificatosi per la reazione del B., che denunciava il fatto alla polizia giudiziaria;

Rilevato

che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino ha presentato ricorso per cassazione deducendo: 1) travisamento della prova e illogicità della motivazione per avere la sentenza impugnata preso in considerazione unicamente la minaccia di rivelare alla suocera del B. una presunta relazione extraconiugale, così ritenendo che il G. abbia agito unicamente quale privato e senza nessun riferimento alla sua qualità di Sindaco, alla quale pure l’imputato aveva fatto espresso e preciso riferimento nella prospettazione, seppur implicita, di un male futuro a quella funzione collegato; 2) Violazione di legge e contraddittorietà della motivazione per avere il giudice di merito ritenuto che per integrare la concussione per abuso di qualità sia necessario che la minaccia del pubblico ufficiale si concreti con l’adozione di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, allorché il reato può in tal caso essere integrato anche da condotta che prescinda dalle competenze proprie del soggetto attivo, purché l’abuso si manifesti attraverso la strumentalizzazione della posizione di preminenza ricoperta dal pubblico ufficiale rispetto al privato; 3) violazione della legge penale poiché la sentenza impugnata esclude la configurabilità, in alternativa alla tentata concussione, del reato di tentata violenza privata aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9) c.p., erroneamente argomentando che la telefonata di scuse intercorsa dopo un’ora dalla prima impedisse di rinvenire nella duplice minaccia contestata la volontà di costringere il B. a far venir meno il suo sostegno elettorale per la lista avversaria, dovendosi invece considerare quella condotta, con giudizio di prognosi postuma, del tutto idonea a cagionare la costrizione descritta nell’imputazione e univocamente a ciò finalizzata, ovvero della fattispecie di reato di cui all’art. 88 D.P.R. 570/1960, almeno nella forma del reato elettorale dei privato cittadino;
RITENUTO che, ai fini della configurabilità del delitto di concussione, la nozione di abuso della qualità postula una condotta che, indipendentemente dalle competenze proprie del soggetto attivo, si manifesti quale strumentalizzazione della posizione di preminenza dallo stesso ricoperta nei confronti del privato, e che tale forma di strumentalizzazione debba d’altro canto comunque attenere ad un possibile (e pure prospettato) esercizio abusivo da parte dell’agente dei suoi poteri di pubblico ufficiale (Sez. 6, 12.2.2014, Ramello);
che nel caso di specie il fatto contestato non è frazionabile e individua un’unica condotta minacciosa consistente nella prospettazione della rivelazione alla suocera della persona offesa di una presunta relazione extraconiugale da questi intrattenuta;
che, in assenza della prospettazione di un male futuro diverso da quello sopra descritto, all’evidenza esorbitante dalla carica pubblica ancora per pochi giorni ricoperta dall’imputato, il riferimento fatto alla carica di sindaco non rappresenta univoca espressione di abuso della qualità, sicché non sono nel caso di specie configurabili né il delitto di tentata concussione, né l’aggravante di cui all’art. 61, n. 9 c.p.;
che peraltro, come indicato nel terzo motivo di ricorso, la sopra descritta minaccia, esplicitamente formulata al fine di modificare le scelte e l’azione politica della vittima, appare astrattamente idonea a configurare il reato di cui agli artt. 56 e 610 c.p.; che l’idoneità ed univocità degli atti rilevante ai fini della configurabilità del tentativo va intesa nel senso della loro potenziale adeguatezza a causare l’intimidazione funzionale al conseguimento dell’utilità perseguita e va accertata secondo il criterio della cosiddetta “prognosi postuma”, ossia un giudizio svolto in concreto ed ex ante, riportandosi cioè al momento in cui l’imputato ha posto in essere la sua condotta, e valutando se, sulla base delle circostanze concrete al momento esistenti, essa appariva idonea a cagionare l’evento o, comunque, la sua adeguatezza allo scopo criminoso (ex multis, Sez. 1, n. 32851 del 10.6.2013, rv. 256991);
che la successiva telefonata di scuse, concretandosi in un post factum, non può quindi incidere sul giudizio di idoneità e univocità della condotta, mentre la refrattarietà del soggetto passivo a intimorirsi, la sua mancanza di soggezione e perfino la sua decisione di denunciare immediatamente il fatto all’autorità giudiziaria non escludono la sussistenza dei reato, essendo sufficiente che la condotta abbia determinato una situazione idonea in astratto a ingenerare quel timore;
che alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Avellino perché, in coerente applicazione dei sopra enunciati principi di diritto, proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati colmando – nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito – le indicate lacune e discrasie della motivazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Avellino.

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