Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 18 giugno 2015, n. 25746

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 17.7.12 la Corte di Appello di Ancona confermava a carico di C.P. la sentenza emessa dal Tribunale di Pesano, in data 2.2.2011 con la quale l’imputato era stato condannato quale responsabile del reato di cui agli artt. 216, n.2 parte seconda e 223 RD.16.3.1942 n.267, alla pena di anni tre e mesi tre di reclusione, e alle pene accessorie di legge, per aver tenuto – nella qualità di amministratore unico della rsl. LTP dichiarata fallita in data 16.6.2006 – le scritture contabili obbligatorie in modo da non consentire la ricostruzione degli affari.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:
1- violazione di legge, in relazione alla mancata derubricazione del reato in quello previsto dall’art. 217 L.F..
La difesa censura la valutazione resa dalla Corte territoriale, che aveva evidenziato il comportamento tenuto dall’imputato, che nei primi anni aveva tenuto regolarmente le scritture contabili, ed aveva omesso di osservare tale obbligo nei tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento.
Ad avviso della difesa non ricorrevano i presupposti atti ad integrare il reato dal momento che la mancata tenuta della documentazione contabile sarebbe derivata dallo stato di dissesto nel quale si era venuta a trovare l’impresa, onde il giudice di merito avrebbe dovuto escludere la sussistenza del dolo nella condotta dell’imputato.

Rileva in diritto

Il ricorso è privo di fondamento.
Invero deve evidenziarsi che dal testo della sentenza impugnata si evince la corretta analisi della fattispecie ascritta all’odierno ricorrente, e la adeguata valutazione resa dalla Corte territoriale, che aveva evidenziato il comportamento dell’imputato, che nei primi anni aveva tenuto regolarmente le scritture contabili, e successivamente aveva omesso di osservare tale obbligo nei tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento.
Deve ritenersi correttamente affermata la responsabilità del prevenuto ravvisando la consapevolezza dello stesso che, nella qualità di amministratore unico della srl. dichiarata fallita nel giugno del 2006, aveva tenuto, nel periodo antecedente al fallimento, le scritture contabili obbligatorie in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della impresa, relative agli anni dal 2004 al 2006.
Il reato di bancarotta documentale, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sancito da questa Corte, v. Cass. V – 7.6.2010, n. 21588 e precedenti conformi – sussiste non soltanto quando la costruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono tenute, ma anche quando gli accertamenti da parte degli organi, fallimentari siano ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza.
Il dolo è generico(v. Sez. V 22.8.2001, n. 31356 ed altre conformi, tra cui Sez. V – 8/6/2010, n. 21872 – ove si stabilisce che ai fini dell’integrazione del reato di bancarotta documentale di cui all’art. 216, primo comma n. 2 seconda ipotesi, della legge fallimentare (che prevede la condotta di chi tiene i libri e le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari) è sufficiente il dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza che la confusa e caotica tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio Dal testo della motivazione si evince che nella specie risulta bene individuato l’elemento psicologico del reato de quo, desunto dal comportamento tenuto dall’imputato, che – come specificato dalla Corte di Appello con logiche argomentazioni non smentite da ulteriori elementi addotti dalla difesa – dopo avere osservato gli obblighi derivanti dalla qualifica di amministratore, aveva omesso di tenere i libri contabili proprio in riferimento ai tre anni precedenti alla dichiarazione di fallimento, con evidente consapevolezza della impossibilità di ricostruire i movimenti patrimoniali della società fallita, come evidenziato in base alla relazione redatta dal curatore fallimentare.
I motivi di ricorso appaiono pertanto privi di fondamento, e va pronunziato il rigetto del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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