Il testo integrale
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 11 luglio 2013 n. 29789[1]
Così, rientrano nello schema concettuale degli elementi costitutivi, materiale e psicologico, del reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, di cui all’art. 319, primo comma, cod. pen., la dazione e la promessa di denaro e altre utilità effettuate nei confronti di consiglieri comunali affinché costoro, compiendo un atto contrario al loro dovere di votare nei consiglio comunale in piena libertà, secondo scienza e coscienza, esprimano un voto già determinato e precostituito.
Ebbene, la Corte territoriale si è posta nell’alveo del richiamato concorde orientamento correttamente qualificando l’esercizio del voto da parte del ricorrente come contrario ai doveri di ufficio trovando la sua causa nel patto illecito che ha realizzato l’asservimento del munus publicum all’interesse privato.
E a tal fine anche considerando – con incensurabile valutazione in fatto delle emergenze dichiarative ed intercettive – l’assenza di lecite ragioni del voto espresso dal ricorrente e la condotta da questi tenuta nei confronti del dissenziente gruppo di appartenenza, verificando l’assenza di qualsiasi considerazione da parte del ricorrente dell’interesse pubblico nell’esercizio della propria funzione pubblica.
Infine, in relazione all’esercizio della pubblica funzione legislativa, è stato affermato che può ipotizzarsi il mercanteggiamento della funzione, qualora venga concretamente in rilievo che la scelta discrezionale non sia stata consigliata dal raggiungimento di finalità istituzionali e dalla corretta valutazione degli interessi collettività, ma da quello prevalente di un privato corruttore
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