Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 5 novembre 2014, n. 23528

Svolgimento del processo

I. – E stata depositata in cancelleria relazione, resa ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. e datata 11.6.14, regolarmente notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso il decreto della corte di appello di Napoli n. 119 cron. del 15.2.14, in causa n. 522/13 ruolo v.g., del seguente letterale tenore:
“1. – A.G. ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione del provvedimento in epigrafe indicato, con cui è stato rigettato il suo reclamo avverso il decreto dichiarativo della inammissibilità della sua domanda ex L. 117/88, dispiegata in relazione ad ingiusta attività giudiziaria espletata dal giudice del tribunale di Salerno, da cui era derivata l’illegittima restrizione della propria libertà personale. Resiste con controricorso l’intimata Presidenza.
2. – Di tale ricorso deve proporsi la trattazione in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., essendo soggetto alla disciplina dell’art. 360-bis cod. proc. civ., parendo potervi essere rigettato.
3. – Il ricorrente agisce – notificando l’atto di citazione il 16.1.13 – ai sensi degli artt. 2 ss. legge 13 aprile 1988, n. 117, per il risarcimento dei danni da illegittima restrizione della sua libertà personale a causa di un errore giudiziario; e, al riguardo (tralasciando alcuni aspetti di una vicenda processuale ancor più complessa ed intricata, ricavabili soltanto dalla diretta lettura del decreto qui impugnato), riferisce:
– di avere riportato, con sentenze tra il 16.12.99 ed il 16.11.05 (esecutive tra il 30.5.01 ed il 21.11.07), tre condanne per complessivi anni 2, mesi 7 e giorni 25 di reclusione;
– di avere chiesto l’unificazione di tali pene con istanza al tribunale di Salerno in data 15.1.08;
– di aver patito l’esecuzione, a partire dal 6.8.08, dell’ordine di carcerazione del 29.7.08 della Procura Generale presso la corte di appello di Salerno, con cui la pena da scontare era determinata in anni 3, mesi 1 e giorni 17 di reclusione;
– che era poi stata accolta la sua istanza di unificazione delle pene dal tribunale di Salerno solo all’esito dell’ud. 24.11.08, ma senza la conseguente concreta rideterminazione delle pene stesse;
– di avere instato per la correzione di tale omissione, cui ovviava solo all’ud. 15.10.09 lo stesso g.o.t. di quel tribunale, rideterminando la pena in totali anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione;
– che, su ricorso del p.m. presso il tribunale di Salerno, tale provvedimento era stato annullato dalla corte di cassazione, con rimessione degli atti alla corte di appello di quel capoluogo;
– che quest’ultima aveva infine rideterminato, in data 7-17.10.11, le pene in complessivi anni 1, mesi 4 e giorni 25 di reclusione.
4. – Il qui gravato decreto della corte di appello di Napoli – pur rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici per valutare la tardività dell’azione, oltre al diniego di giustizia l’A. aveva effettivamente dedotto anche la responsabilità del magistrato ex art. 2 della legge 117/88 – ha respinto il reclamo, ribadendo la declaratoria di inammissibilità della domanda:
– per tardività, ancorando il dies a quo del relativo termine biennale al provvedimento giudiziario correttivo, pure seguito al primo che aveva omesso la rideterminazione della pena;
– per manifesta infondatezza, ravvisando la causa dell’indebita protrazione della privazione della libertà personale nei reiterati errori dello stesso A. , per essersi dapprima rivolto a giudice incompetente, per non averlo posto in condizioni di affrontare da subito la questione preliminare di rito, per non avere poi desistito dall’originario ricorso dopo l’impugnazione da parte del P.G. presso la Corte di appello di Salerno.
5. – Col ricorso, irritualmente notificato all’Avvocatura Distrettuale, anziché a quella Generale, dello Stato il 18.3.14, l’A. si duole: col primo motivo (di violazione degli artt. 2, 3 e 5 legge 117/88), della reputata manifesta infondatezza della domanda; col secondo motivo (di violazione degli artt. 4 e 5 L. 117/88), della reputata tardività.
Dal canto suo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dichiarando di costituirsi oltre il termine in dipendenza della nullità della notifica all’Avvocatura Distrettuale anziché a quella Generale dello Stato, ribadisce le ragioni già poste dalla corte territoriale a base del rigetto del reclamo avverso la declaratoria di inammissibilità per tardività e manifesta infondatezza.
6. – Deve rilevarsi, in disparte anche i seri dubbi sull’ammissibilità del ricorso indotti dalla carente trascrizione degli atti e dei provvedimenti del procedimento in cui si è estrinsecata l’attività giurisdizionale addotta come dannosa, che l’argomento della tardività, posto dalla corte di appello partenopea a fondamento del rigetto del reclamo e quindi della conferma della dichiarata inammissibilità dell’azione, è – nel suo complesso e, se del caso, con adeguata correzione della motivazione – fondato, mentre quello della manifesta infondatezza, sia pure limitatamente ad uno solo dei profili esaminati, non è attinto da valida censura in questa sede e, comunque, poggerebbe anch’esso su presupposti non seriamente contestabili.
6.1. È inoppugnabile la non configurabilità della fattispecie di diniego di giustizia, come in origine invocata dall’A. e prevista dall’art. 3 della legge 117/88, essendo mancata la specifica istanza ivi prevista: sicché occorre valutare esclusivamente la sussistenza dell’ipotesi di colpa grave del magistrato decidente, di cui al precedente art. 2, co. 3.
Al riguardo, va esclusa la tempestività dell’azione risarcitoria, dovendo tale presupposto processuale autonomamente riscontrarsi – col solo limite, che qui non ricorre, di una positiva opposta statuizione dei giudici del merito mai nel frattempo impugnata – e ricostruirsi anche in sede di legittimità e, in particolare, nella fattispecie in esame con correzione, per quanto possa occorrere, della motivazione sul punto resa dal qui impugnato decreto.
6.2. Infatti, il mero – benché effettivamente abnorme – intervallo tra data di presentazione dell’istanza ed il solo valido provvedimento di rideterminazione delle pene non rileva di per sé solo, attesa la corretta esclusione, nella fattispecie, dell’ipotesi di diniego di giustizia: pertanto, va ricercato quale sia l’unico provvedimento ascrivibile, in tesi, alla colpa grave del decidente.
E l’unico provvedimento sicuramente errato, conformemente del resto a quanto pare aver prospettato fin dall’inizio l’odierno ricorrente (stando all’incompleto e carente riferimento, in ricorso, all’atto introduttivo della domanda risarcitoria), è quello col quale il giudice del tribunale di Salerno in data 24.11.08 ha omesso la determinazione delle pene l’istanza di unificazione delle quali era stata comunque contestualmente accolta.
I successivi sviluppi del procedimento di correzione dell’errore materiale (i soli di cui vi è chiara menzione nel ricorso per cassazione) sono invece manifestamente inidonei a fondare la colpa grave invece indispensabile per la norma in esame: e tanto per l’opinabilità delle determinazioni in punto di competenza e per la discrezionalità delle valutazioni sul merito, già poste in luce nel qui gravato decreto e non rese oggetto di una specifica impugnazione (quelle scarne contestazioni articolandosi sul rilievo di incongruità dell’attribuzione dell’errore alla condotta del medesimo condannato).
6.3. Se così è, la circostanza che il condannato, anziché impugnare il primo provvedimento nelle forme consentite dal codice di rito penale, abbia poi avviato un successivo ed autonomo procedimento di correzione dell’errore materiale in cui tale omissione è stata sussunta non vale a spostare in avanti la decorrenza del termine biennale previsto dall’art. 4 della richiamata legge 117 del 1988. Tale norma, com’è noto, prevede che “l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno”; e che “la domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni, che decorrono dal momento in cui l’azione è esperibile”.
Ma il procedimento di correzione dell’errore materiale non è un mezzo di impugnazione, sicché per fare valere l’ingiustizia, ascrivibile a colpa grave, del primo provvedimento del 24.11.08 l’azione risarcitoria intentata nel gennaio 2013 è con tutta evidenza successiva di ben oltre i due anni di decadenza, anche a voler considerare il termine di autonoma impugnabilità di quel primo provvedimento; mentre nessuna ingiustizia, per le riscontrate ragioni, avrebbe potuto fare fondatamente valere per i provvedimenti e gli sviluppi del successivo procedimento di correzione.
6.4. In conclusione, il profilo di colpa consistente nell’omessa originaria determinazione delle pene riunificate è inammissibile per tardività, mentre quello consistente nella complessiva protrazione dei tempi è inammissibile per manifesta infondatezza, una volta esclusa la configurabilità del diniego (o ritardo) di giustizia e non adeguatamente impugnato il qui gravato decreto (oltre che quanto al profilo dell’attribuzione di efficienza causale agli errori del condannato, effettivamente opinabile per la particolare cautela e incisiva rapidità richieste nell’espletamento della funzione giurisdizionale in tema di libertà personale) pure in ordine alla discrezionalità delle valutazioni sulla competenza e sul merito della concessione della riunificazione e della rideterminazione delle pene, sulla quale è stata pure esclusa – e non infondatamente, per come la questione è stata impostata – la gravità della colpa.
7. – Salvo diverso avviso del Collegio, deve allora proporsi il rigetto del ricorso”.

Motivi della decisione

II. – Non sono state presentate conclusioni scritte, né le parti hanno depositato memoria, benché il difensore del ricorrente sia comparso in camera di consiglio per essere ascoltato.
III. – A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di non poterne fare proprie le conclusioni, per il preliminare ed assorbente rilievo dell’assoluta irritualità della procura al difensore del ricorrente.
Infatti, come lo stesso ammette nel tenore testuale del ricorso, la procura azionata è quella “a margine dell’atto di citazione introduttivo del giudizio”: e cioè, secondo il significato letterale dell’espressione, a margine dell’atto di citazione e quindi di quello di primo grado. E, del resto, coerentemente con quanto indicato nella chiara intestazione del ricorso, nessuna procura, di alcun tipo, risulta a margine del ricorso introduttivo del giudizio di legittimità presente agli atti.
Ma è noto che, ai sensi dell’art. 365 cod. proc. civ., la procura rilasciata all’avvocato iscritto nell’apposito albo e necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, con specifico riferimento alla fase di legittimità, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, sicché è inidonea allo scopo, e, come tale, determina l’inammissibilità del ricorso, la procura apposta in margine od in calce all’atto introduttivo del giudizio di merito, ancorché conferita per tutti i gradi e le fasi del giudizio, perché da essa non solo non è dato evincere il suo conferimento in epoca successiva alla sentenza impugnata e il suo riferimento al giudizio di legittimità (per tutte: Cass. Sez. Un., 13 luglio 2000, n. 488; Cass. 14 agosto 2001, n. 11109; Cass. 30 luglio 2012, n. 13558), ma anzi si evince il conferimento necessariamente in data anteriore al provvedimento impugnato, per essere stato conseguito quest’ultimo in base ad un atto di impulso – sul quale sarebbe apposta la procura – a sua volta necessariamente anteriore.
IV. – Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va dichiarato inammissibile per tale assorbente e preliminare ragione ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di legittimità.
Non può, infine, trovare applicazione l’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione (in termini: Cass., ord. 19 giugno 2014, n. 13985): infatti, tale aumento non si applica quando il processo è già esente da tale contributo (Cass. Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26280) ed il giudizio ai sensi della legge 13 aprile 1988, n. 117, è appunto esente, ai sensi dell’art. 15 di quest’ultima (come sostituito dall’art. 300, comma sesto, del d.P.R. 115/02 già citato, che dispone l’applicazione, nei limiti della compatibilità, dell’articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, sostituito dall’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, a sua volta articolato sulla previsione di esenzione degli atti del processo, “senza limiti di valore o di competenza, dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna A.G. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in pers. del Presidente pro tempore, liquidate in Euro 6.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito ed accessori come per legge; rilevato che dagli atti il processo risulta esente, da atto che non si applica l’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02.

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