Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 30 agosto 2013, n. 20001
Svolgimento del processo
1. È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. e datata 8.11.12, regolarmente comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti, sul ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta n. 227 del 2.12.10:
“1. – L’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale, accolto solo in punto di quantum il suo appello avverso la condanna al risarcimento dei danni patiti da F.B. per essere scivolata su di una macchia di gelato sul pavimento dell’Ospedale S. Elia di (omissis) , è stata comunque confermata la sua declaratoria di responsabilità per il sinistro. Resiste l’intimata con controricorso.
2. — Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio — ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., essendo oltretutto soggetto alla disciplina dell’art. 360-bis cod. proc. civ. — per essere ivi rigettato.
3. — La ricorrente si duole: con un primo motivo, di violazione di norme di diritto, dell’applicazione dell’art. 2051 cod. civ., anziché dell’art. 2043 cod. civ., non potendo configurarsi una “insidia e/o trabocchetto”, per l’ampiezza e la visibilità delle macchie di gelato; con un secondo motivo, di violazione dell’art. 2051 cod. civ., per la mancata considerazione della repentinità dell’alterazione della cosa custodita in rapporto alla notevole estensione dell’azienda ospedaliera ed all’impossibilità di un più pronto intervento per l’eliminazione della causa del sinistro; con un terzo motivo, di violazione dell’art. 2051 cod. civ., della non imputabilità a fatto dell’azienda ospedaliera della presenza, sul pavimento, del materiale sdrucciolevole, ma a quello di un terzo, integrante una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa custodita; con un quarto, di vizio motivazionale, per la contraddittorietà tra la riconosciuta imputabilità della causa del danno al fatto di un terzo e la pronuncia di responsabilità di essa ricorrente.
4. — La controricorrente eccepisce l’inammissibilità dei singoli motivi di ricorso, anche nella parte in cui mirano a sollecitare una rivalutazione del merito della controversia, ma non manca di contestarne comunque la fondatezza.
5. — Per trattare i quattro motivi tra loro congiuntamente, siccome intimamente connessi, deve rilevarsi che, in un caso singolarmente analogo a quello in esame, sia pure simmetricamente deciso con opposta pronuncia di merito appunto per questo cassata, è stata affermata la responsabilità di chi aveva in custodia la cosa, le cui condizioni, alterate rispetto a quelle che normalmente dovevano essere attese dai fruitori, avevano cagionato il danno (Cass. 24 febbraio 2011, n. 4476, in relazione ad una caduta dovuta alla presenza di liquido saponoso sul pavimento di un supermercato, con affermazione del principio per il quale “la responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva e presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza d’un nesso causale tra la cosa ed il danno, sicché è esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può sì rientrare anche la condotta della stessa vittima, ma, nella valutazione dell’apporto causale da quest’ultima fornito alla produzione dell’evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione”).
6. — A tanto si aggiunga che, con valutazione di mero fatto e pertanto — in carenza di evidenti vizi logici o giuridici — incensurabile in sede di legittimità, la corte territoriale ha anche acclarato che una segnalazione dell’alterazione (presenza di macchia di gelato, di cui è stata invece accertata la non immediata percepibilità, ad esempio per dello stato della cosa, un pavimento in prossimità di ascensore all’interno di ospedale e quindi, per ciò stesso, soggetto a continuo transito di persone) era stata tempestivamente, anche in rapporto al momento di verificazione del sinistro, operata a personale dipendente dell’azienda ospedaliera e quindi del custode, che risponde anche dei fatti di questo. Pertanto, rimane in concreto esclusa anche l’astratta possibilità di un’elisione del nesso causale dovuto al fatto di un terzo, come pure resta escluso, per il riscontrato difetto di prova sulla manifesta visibilità delle condizioni anormali della cosa, il concorso del fatto colposo del danneggiato.
7. – Pare quindi correttamente applicato alla fattispecie il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., ord. 30 dicembre 2011, n. 30434), per il quale la responsabilità per le cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva e necessita, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento e tale da prescindere dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussistere in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito (per tutte, v. Cass. 22 marzo 2011, n. 6550, Cass. 7 aprile 2010, n. 8229, Cass. 5 dicembre 2008, n. 28811) ed alla sola condizione che il danneggiato adempia l’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cass., 6 sez., ord. 11 marzo 2011, n. 5910), salva comunque la possibilità di valutare in concreto l’apporto (o il concorso) causale della condotta del danneggiato o di terzi; infatti, la corte territoriale ha appunto sancito l’esistenza di tale nesso ed escluso qualunque fatto altrui come idoneo ad interromperlo o anche solo ad attenuarlo.
8. — Deve, pertanto, proporsi il rigetto del ricorso”.
Motivi della decisione
2. Non sono state presentate conclusioni scritte, ma la ricorrente ha depositato memoria, pur non avendo alcuno chiesto di essere ascoltato in camera di consiglio.
3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dalla ricorrente. In particolare, la considerazione complessiva dei quattro motivi di ricorso bene esime questa Corte dalla disamina particolareggiata di ognuno di essi, in applicazione di principi a dir poco consolidati: neppure essendo tenuto alcun giudice — e tanto meno questa Corte — a dare compiuto conto di ognuna delle argomentazioni difensive di una parte, per confutarla partitamente, ove la decisione complessiva possa ricavarsi ed attagliarsi al merito di quanto chiesto ed eccepito. Ed al riguardo ritiene il Collegio trattarsi di una valutazione in fatto, sia sulle condizioni dei luoghi che quanto alla precedente (ma vanamente) intervenuta segnalazione dell’anomalia al custode: sulla quale, siccome scevra da vizi logici e giuridici, si infrangono le censure della ricorrente.
4. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va rigettato; e la sua soccombenza impone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di controparte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, in pers. del leg. rappr.nte p.t., al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controparte, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
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