Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 27 gennaio 2014, n. 1696
Fatto e diritto
Rilevato che in data 22 ottobre 2013 è stata depositata relazione ex art. 380 bis che qui si riporta:
1. Il Tribunale di Pescara con sentenza del 22 febbraio – 7 marzo 2005 ha dichiarato la separazione personale dei coniugi F.G. e G.G. addebitando a quest’ultima la separazione e ponendo a carico del F. un assegno mensile di 400 Euro a titolo di contributo al mantenimento dei due figli V. e L. .
2. Ha proposto appello la G. contestando la dichiarata responsabilità della separazione e chiedendo che la stessa venisse invece posta a carico del F. . Ha insistito per la imposizione di un assegno di mantenimento in suo favore e ha chiesto altresì che fosse aumentato l’assegno di mantenimento in favore dei figli.
3. L’appello è stato accolto dalla Corte di appello de L’Aquila, con sentenza del 18 luglio 2006, limitatamente alla misura del contributo al mantenimento dei figli.
4. Ha proposto ricorso per cassazione la G. e la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4540 del 24 febbraio 2011, ha accolto il ricorso ribadendo il principio secondo cui, ai fini della pronuncia di addebito, non è sufficiente la sola violazione dei doveri previsti a carico dei coniugi dall’art. 143 c.c. ma occorre verificare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, cosicché in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tenuto da uno o da entrambi i coniugi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito (cfr. fra le molte Cass. civ. I sezione n. 8512 del 12 aprile 2006 e n. 9074 del 20 aprile 2011). La Corte di Cassazione ha anche censurato la motivazione della Corte di appello rilevando che l’intollerabilità della convivenza che cagiona tale violazione (consistita nella specie nell’allontanamento dalla residenza familiare attuato unilateralmente senza il consenso dell’altro coniuge) non deve manifestarsi in atti di violenza essendo sufficiente un contesto di vicendevole intolleranza.
5. Hanno riassunto la causa davanti alla Corte di appello de L’Aquila sia il F. che la G. insistendo nelle richieste di addebito e quest’ultima anche nella richiesta di attribuzione di un assegno di mantenimento di 250 Euro mensili o della misura ritenuta equa dalla Corte territoriale.
6. La Corte di appello con la sentenza n. 3/2013 ha respinto le richieste di addebito e ha posto a carico del F. un assegno di mantenimento in favore della G. in misura di 150 Euro mensili.
7. Ricorre per cassazione il F. affidandosi a due articolati motivi di impugnazione con i quali deduce: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 151, secondo comma, c.c., in relazione all’art. 143, secondo comma, c.c.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione; c) vizio di falsa applicazione dell’art. 156 c.c..
8. Si difende con controricorso la G. .
Ritenuto che:
9. Il ricorso appare inammissibile o comunque palesemente infondato in quanto ripropone le stesse considerazioni di merito già valutate nei precedenti gradi di giudizio senza addurre alcuna valida argomentazione circa la pretesa violazione delle norme indicate e senza cogliere alcun vizio di insufficienza o incongruità logica della motivazione.
La Corte condivide pienamente tale relazione e rileva, anche in considerazione di quanto ripetuto, da parte della difesa del ricorrente, nella memoria difensiva, che il ricorso ripropone un’antagonista versione dei fatti, che dovrebbero condurre alla cassazione della pronuncia di rigetto della richiesta di addebito della separazione, senza individuare se non con asserzioni meramente apodittiche l’insufficienza e illogicità della motivazione laddove in base al nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis alla controversia, la ricorribilità per cassazione è limitata all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente propone inoltre una ricostruzione dell’istituto dell’addebito del tutto contrastante al dato normativo e alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. civ., sezione I, n. 10719 dell’8 maggio 2013 secondo cui il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata). Più in generale deve ribadirsi che può sussistere l’addebito della separazione non quando il legame si rompe senza una giusta causa (sul punto si veda fra le altre la sentenza della I sezione della Corte di Cassazione n. 18853 del 15 settembre 2011 secondo cui il vigente diritto di famiglia è contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell’altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all’art. 2 Cost.) ma quando l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza dipende dalla violazione da parte di uno dei coniugi dei doveri derivanti dal matrimonio. Nella specie la Corte di appello ha accertato, basandosi, in particolare, sulle stesse dichiarazioni dell’odierno ricorrente e sulla deposizione del figlio L. , che il rapporto era da tempo entrato in crisi e che lo stesso F. aveva proposto alla G. la separazione e il suo allontanamento dalla casa coniugale e conseguentemente ha ritenuto che non sussistono i presupposti per la richiesta addebitabi1ita della separazione alla G. . Per quanto riguarda la contestazione della imposizione al F. di un assegno di mantenimento la Corte vi è pervenuta con una quantificazione del tutto modesta a seguito di una valutazione del tenore di vita familiare, della sperequazione dei redditi, non contestati, delle parti a favore del F. e della necessità per la G. di prendere in locazione un immobile a residenza propria e dei figli.
Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002 deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo del contributo dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.500 Euro di cui 200 per esborsi in favore della controricorrente. Da atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115/2002, per il versamento da parte del ricorrente F.G. dell’ulteriore importo del contributo dovuto. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
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