Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 24 novembre 2014, n. 24939

Considerato in fatto

M.E. e C.G. , ciascuna con più separati ricorsi regolarmente notificati e depositati dinanzi all’Ufficio di Giudice di Pace di Trento, proponevano opposizione avverso più Verbali di Accertamento elevati dalla Polizia Municipale di Trento, nei quali si contestava loro la reiterata sosta delle proprie vettura in zona a pagamento senza esposizione di quietanza o altro titolo autorizzativo. Le opponenti domandavano in via preliminare la sospensione dell’esecuzione dei verbali opposti; quindi, nel merito, acquisite in sede istruttoria le delibere comunali istitutive della sosta a pagamento ed accertatane l’illegittimità per violazione dell’art. 7, 8 comma del Codice della Strada, disporsi l’annullamento dei sopra menzionati verbali, in quanto emessi in attuazione delle delibere suddette; infine, in via subordinata, in caso di rigetto del ricorso, applicarsi la sanzione amministrativa pecuniaria nel minimo edittale. Il Comune di Trento resisteva, chiedendo, in sede istruttoria, acquisirsi atti e documenti depositati, ammettersi la prova testimoniale sui capitoli 1, 2 e 3 della ricostruzione di fatto, nonché disporsi consulenza tecnica d’ufficio su temi e quesiti da determinare, con contestuale indicazione di consulenti tecnici di parte.
Il Giudice di Pace, rigettata l’istanza di sospensione cautelare, con le sentenze numeri da 567 a 590 rigettava l’opposizione, confermando i verbali in questione.
Avverso tali decisioni, la M. e la C. proponevano appello, eccependo, in via preliminare, la nullità delle sentenze impugnate, per vizi del contraddittorio consistenti nella celebrazione dell’udienza dell’11-09-2009, con assunzione di prova testimoniale richiesta da controparte, nell’iniziale assenza delle opponenti e dei loro difensori (impegnati in distinti procedimenti dinanzi al Tribunale tridentino), con contestuale rigetto dell’istanza di fissazione di un congruo termine a difesa; quindi lamentando erronea interpretazione dal giudice medesimo dell’art. 7, 8 comma del Codice della Strada in ordine al concetto di “stallo libero”. Costituitosi, il Comune di Trento insisteva per il rigetto, domandando, in via pregiudiziale di rito, dichiararsi l’inammissibilità, l’irricevibilità, o comunque l’improcedibilità dei gravami, ampliate le richieste istruttorie già formulate in primo grado con domande di assunzione di testimonianza sul fatto ex par. 7.11 della comparsa di costituzione e risposta in appello e di acquisizione di documenti sopravvenuti.
Il Tribunale di Trento, riunite le impugnazioni, con sentenza n. 586/2011, assorbita l’eccezione pregiudiziale dedotta dall’appellato e accolte le istanze istruttorie, rigettava comunque i gravami, statuendo che l’art. 7, 8 comma del Codice della Strada, pur nell’erronea interpretazione fornita dal giudice di prime cure, era stato rispettato dalle delibere comunali sulla sosta a pagamento, sufficientemente motivate con riferimento alla deroga all’obbligo di predisposizione di parcheggi senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta.
Per la cassazione di tale ultimo provvedimento, M.E. e C.G. propongono ricorso affidato ad un unico motivo:
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, 8 comma del Codice della Strada, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.; nonché vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c..
Il Comune di Trento resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale condizionato, articolato nei seguenti tre motivi:
1. Nullità della sentenza per omessa pronunzia, in violazione degli artt. 112 e 323 e seguenti c.p.c., in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c.; nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 157 del Codice della Strada, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c..
2. Nullità della sentenza per omessa pronunzia ex art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c.; nonché violazione o falsa applicazione degli artt. 7 e 157 del Codice della Strada in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c..
3. Nullità della sentenza per omessa pronunzia ex art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c.; nonché violazione o falsa applicazione degli artt. 7 e 157 del Codice della Strada, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c..
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Ritenuto in diritto

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con l’unico motivo del ricorso principale, la M. e la C. si dolgono innanzitutto dell’interpretazione fornita dal giudice d’appello circa il concetto di stallo o parcheggio libero. Infatti, ad avviso delle ricorrenti, all’espressione in questione dovrebbe attribuirsi, anche alla luce della richiamata sent. Cass., SS.UU., 09-01-2007, n. 116, il senso di luogo idoneo alla sosta privo di qualsivoglia regolamentazione, e non quello, adottato dal giudice a quo, di luogo idoneo alla sosta non soggetto a controlli di durata o a vincoli di custodia, ma pur sempre riservabile a particolari categorie di automobilisti, o allo svolgimento di particolari attività o a sosta turnaria (c.d. disco orario). Tale scorretta interpretazione avrebbe determinato un errore di sussunzione della fattispecie concreta nell’ipotesi derogatoria di cui al secondo periodo dell’art. 7, 8 comma del Codice della strada. In relazione a tale censura, la ricorrente denunzia anche un vizio di motivazione, omessa e contraddittoria, consistente nella sostituzione del giudice d’appello all’amministrazione comunale nella valutazione sia della sussistenza di ragioni idonee alla deroga all’obbligo di istituzione di parcheggi liberi, sia della vicinanza di altre aree a sosta libera al luogo dell’infrazione, con argomentazioni inesistenti ed illogiche.
Si precisa preliminarmente che, nell’ambito di un pur ammissibile motivo misto, la doglianza congiunta di motivazione omessa e contraddittoria è affetta da insanabile contrasto logico, non potendo il primo di tali vizi coesistere con l’altro, in guanto, come desumibile dalla formulazione alternativa e non congiuntiva delle ipotesi ex art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c., una motivazione mancante non può essere contraddittoria, mentre la contraddittorietà presuppone che una motivazione, della quale appunto ci si duole, risulti comunque formulata (cfr. Cass. Civ., sez. III, 14-06-2007, n. 13954; Cass. Civ., sez. II, 26-01-2004, n. 1317). Pertanto, la censura avanzata nel caso di specie, in quanto enunciata contemporaneamente nelle forme e dell’omissione e della contraddittorietà/illogicità della motivazione della sentenza impugnata, non può considerarsi ammissibile, avendo ad oggetto la medesima questione, cioè l’interpretazione dell’art. 7, 8 comma del Codice della Strada.
Per quanto attiene, invece, al profilo relativo alla violazione di legge, deve ricordarsi che per corrente avviso giurisprudenziale la questione della possibilità riconosciuta al Giudice Ordinario di accertare in via incidentale la legittimità dell’atto amministrativo, al fine della sua eventuale disapplicazione in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, non si risolve in un problema di individuazione dei limiti esterni alla sua giurisdizione. Al contrario, il potere-dovere di disapplicare o meno l’atto amministrativo per vizi di legittimità presuppone nel Giudice Ordinario la competenza giurisdizionale a conoscere della controversia nel cui ambito il problema di detta illegittimità (per incompetenza, violazione di legge od eccesso di potere) si innesta; esso si risolve pertanto in un potere processuale che dalla predetta competenza giurisdizionale trae origine e giustificazione. Infatti, ai fini della disapplicazione in via incidentale dell’atto emesso da un organo della Pubblica Amministrazione, il sindacato consentito al Giudice Ordinario, pur estendendosi a tutti i possibili vizi del provvedimento, compreso quello di eccesso di potere, trova un limite invalicabile nell’impossibilità di riesame e di censura delle valutazioni di merito (cfr. Cass. Civ., SS.UU, 09-01-2007, n. 116; Cass. Civ., SS.UU., 04-12-1984, n. 6348; ed ancor di più Cass. Civ., SS.UU., 11-07-1994, n. 6532; Cass. Civ., SS.UU., 09-06-1989, n. 2773).
Nel caso di specie, la questione interpretativa del concetto di stallo libero si risolve in un vizio di falsa applicazione dell’art. 7, 8 comma, 2 periodo del Codice della strada, che, tuttavia, non appare in concreto esistente. La norma appena richiamata impone ai Comuni l’obbligo di individuare, in parte delle aree destinate a sosta con dispositivi di controllo della durata o nelle immediate vicinanze delle stesse, adeguati spazi destinati a parcheggio non soggetto alle limitazioni suddette. Tale dovere, tuttavia, può subire deroghe ove ricorra una qualsiasi tra le ipotesi elencate dalla disposizione in esame.
Il primo caso previsto dalla norma è quello delle aree pedonali e delle zone a traffico limitato, definite rispettivamente dall’art. 3 numeri 2 e 54 del Codice della Strada zona interdetta alla circolazione dei veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza, i velocipedi e i veicoli al servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché eventuali deroghe per i veicoli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter essere assimilati ai velocipedi e area in cui l’accesso e la circolazione veicolare sono limitati ad ore prestabilite o a particolari categorie di utenti e di veicoli. Alla luce delle nozioni suddette e della ricostruzione della quaestio facti operata nei precedenti gradi di giudizio, risulta invero evidente l’inesistenza dei caratteri propri dell’area pedonale o della zona a traffico limitato nella strada di consumazione delle infrazioni contestate. Segue, quindi, quale seconda ipotesi derogatoria, quella delle parti di territorio comunale interessati da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale, ai sensi del richiamato art. 2 lett. a) del D.M. Lavori Pubblici n. 1444/1968. Anche in questo caso non è possibile rinvenire nel luogo delle commesse violazioni al Codice della Strada i caratteri sopra indicati, per le ragioni già esposte.
Tuttavia, l’ultima parte dell’art. 7, 8 comma, 2 periodo del Codice della Strada prevede un’ultima ipotesi derogatoria per le “altre zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla giunta, nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico. Si tratta di una previsione ampia, tendenzialmente inclusiva di qualsiasi valutazione discrezionale dei Comuni, purché motivata, in ordine all’importanza delle singole aree nel sistema viario cittadino. In tal senso, non appare assolutamente contraria al dettato codicistico la delibera della Giunta Comunale di Trento n. 290/2006, di cui l’attuale ricorrente ha chiesto ed ottenuto la disapplicazione in primo grado. In essa, infatti, la deroga all’obbligo di istituzione di zone di sosta libere appare ampiamente motivata dalla qualificazione della via delle accertate infrazioni quale strada satura. Con tale espressione l’amministrazione tridentina ha inteso indicare qualsiasi via in cui si preveda un’offerta di stalli di parcheggio inferiore alla loro domanda, in ragione della presenza di non trascurabili attrattori di traffico, quali, nel caso di specie, la sede della BAI, del Comando di Polizia Municipale, della Polizia di Stato, dei Servizi Socio-Assistenziali del Comune, della Circoscrizione, di un importante sindacato agricolo, oltre che di numerosi esercizi commerciali e artigianali e di banche. La scelta discrezionale compiuta, quindi, è sorretta, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 241/1990, da un’adeguata motivazione, idonea ad escludere qualsiasi vizio di violazione di legge. Alla luce di ciò, la ricorrente sembra in realtà contestare le scelte di merito compiute dal Comune nell’individuazione delle aree di cui sopra, inammissibili in sede di legittimità. Ne consegue che la censura effettivamente mossa concerne non tanto la presunta sostituzione della Corte Distrettuale all’amministrazione comunale nella valutazione della sussistenza di ragioni idonee alla deroga in esame, quanto, piuttosto, il mancato svolgimento da parte del giudice a quo, in contrasto con il giudice di prime cure, di un sindacato sugli apprezzamenti di merito effettuati dall’amministrazione tridentina. Tuttavia, come già in precedenza illustrato, il riconoscimento in capo all’Autorità Giudiziaria Ordinaria di un potere di sindacato incidentale dei provvedimenti amministrativi limitato alla mera legittimità, e non anche esteso al loro merito, osta all’accoglimento della doglianza proposta.
Per questi motivi, si ritiene di concludere, ai sensi dell’art. 375, n. 5 c.p.c., per la manifesta infondatezza del ricorso principale, da cui deriva, pertanto, l’assorbimento dell’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dal Comune di Trento”.
Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, e pertanto il ricorso principale va respinto, conseguentemente dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato;
condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui 6.100,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori come per legge.

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