Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 16 ottobre 2014, n. 21939
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6823/2013 proposto da:
(OMISSIS) ((OMISSIS)) nella sua qualita’ di titolare della ditta individuale ” (OMISSIS)”, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
e contro
CURATELA FALLIMENTO DELLA DITTA (OMISSIS) DI (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 184/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del 15/01/2013, depositata il 31/01/2013;
“Il Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati:
RILEVATO.
Che (OMISSIS) ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi avverso la sentenza n. 184/13 con cui la Corte d’appello di Firenze rigettava il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento, ritenendo che, nonostante la mancata trasmissione della relazione proveniente dalla Guardia di Finanza, non poteva assumersi violato il diritto di difesa del ricorrente, e che, inoltre, la soglia di fallibilita’, seppur di poco, risultava superata, ne’ poteva escludersi lo stato di insolvenza del ricorrente, ai fini della dichiarazione di fallimento;
che la curatela fallimentare e (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva.
OSSERVA.
Con il primo motivo di ricorso viene censurata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 101 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per non essere mai stata comunicata all’odierno ricorrente la relazione sugli accertamenti dei requisiti di fallibilita’ resa dalla GdF contrariamente a quanto disposto dal Giudice Delegato con ordinanza.
Il motivo appare inammissibile e per certi versi infondato.
La Corte d’appello, da un lato, afferma che il reclamante, una volta messo in condizione di conoscere il contenuto di detta relazione, non aveva espresso osservazioni. Parte ricorrente, dal canto suo, sostiene che anche solo scorrendo l’atto di appello il reclamante abbia (rectius aveva) indicato non solo motivi di fatto e diritto che contrastavano le deduzioni contenute nella relazione della GdF ma altresi’ indicato che la conoscenza tempestiva della detta relazione avrebbe comportato quanto meno la richiesta di una CTU atta a determinare la fondatezza della relazione de qua. Di tali circostanze, pero’, il ricorrente non indica specificamente la collocazione nell’atto di appello, viziando, in tal modo, il motivo per mancanza di autosufficienza, il cui principio e’ sancito dall’articolo 366 c.p.c., n. 6, secondo il quale e’ necessario che nel detto ricorso incombe sul ricorrente l’onere di indicare non solo l’atto cui si riferisce ma anche il suo contenuto, trascrivendolo o riassumendolo (Cass. 20535/09; Cass. sez. un. 7161/10), circostanza che nella specie non e’ avvenuta.
Inoltre, sotto il profilo dell’infondatezza del motivo, e’ bene rammentare che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato che nel procedimento camerale e sommario che precede la dichiarazione di fallimento, una volta che il debitore sia stato informato dell’avvio della procedura nei suoi confronti e sia stato posto in condizione di svolgere le sue difese, e’ suo onere quello di seguire lo sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine sia alle eventuali informazioni richieste d’ufficio dal tribunale sulle condizioni soggettive ed oggettive dell’impresa, sia alle eventuali ulteriori pretese creditorie inserite nel coacervo delle istanze e delle prove a suo carico, essendo sufficiente, ai fini della tutela del diritto di difesa, che il debitore sia gia’ stato posto nella condizione di chiarire tempestivamente al giudice ogni elemento utile per valutare la sua situazione e restando a suo carico l’onere di seguire gli sviluppi del procedimento (Cass. 7757/90; e piu’ di recente Cass. 6191/08).
Peraltro, vi e’ da dire che non si esclude, ai sensi del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 15, la sussistenza di spazi residuati di verifica officiosa da parte del tribunale, che puo’ assumere informazioni urgenti, utili al completamento del bagaglio istruttorio e non esclusivamente strumentali all’adozione di un’eventuale misura cautelare, in quanto il procedimento, pur essendo espressione di giurisdizione oggettiva perche’ incide su diritti soggettivi, consacrando il potere dispositivo delle parti, nel contempo tutela interessi di carattere generale ed ha attenuato, ma senza eliminarlo, il suo carattere inquisitorio. (Cass. 13086/10; Cass. 17281/10).
Tali principi sono coerenti con l’impostazione improntata alle esigenze di speditezza che connotano il procedimento camerale per la dichiarazione del fallimento, e, nel caso di specie, il debitore risulta essere stato messo in condizione di chiarire ogni elemento utile in relazione alla sua situazione.
Con il secondo motivo di ricorso viene censurata la violazione e falsa applicazione della L.F., articolo 1, e articolo 2, lettera B, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto assoggettabile al fallimento il ricorrente in quanto piccolo imprenditore.
Il motivo appare infondato e inammissibile per certi versi.
Innanzitutto introduce valutazioni sulla possibilita’ o meno che i ricavi della gestione di videogiochi siano ricompresi nei ricavi dell’attivita’ di impresa, che in questa sede di legittimita’ non possono essere proposte, chiedendosi a questa Corte di effettuare un non consentito accertamento in punto di fatto, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione.
Inoltre, quanto all’infondatezza del motivo, e’ bene richiamare il principio giurisprudenziale secondo il quale, contrariamente a quanto affermato nel ricorso dalla parte, la L.F., articolo 1, comma 2, nel testo modificato dal Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di prossimita’ della prova, pone a carico del debitore l’onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei tre parametri dimensionali ivi prescritti, ed escludendo quindi la possibilita’ di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell’articolo 2083 c.c., il cui richiamo da parte dell’articolo 2221 c.c., non spiega alcuna rilevanza; il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell’imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all’organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull’altrui lavoro. (Cass. 13086/10; Cass. 23052/10).
Pertanto, nel caso di specie, mancando da parte ricorrente la prova di essere esente dal fallimento, e tenuto conto dei principi fin qui esposti, correttamente la Corte d’appello ha deciso per l’assoggettabilita’ al fallimento dell’imprenditore in questione.
Ove si condividano i teste’ formulati rilievi, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’articolo 375 c.p.c..
Roma 15.5.14.
Il Cons. Relatore”.
Vista la memoria del ricorrente; considerato:
che quanto, quanto all’infondatezza del motivo di ricorso volto a sostenere l’errata valutazione dei ricavi lordi, e’ da osservare che questa Suprema Corte ha affermato il principio secondo il quale in tema di requisiti dimensionali di esonero dalla fallibilita’ di cui alla L.F., articolo 1, comma 2, lettera b, (nel testo risultante dalla riforma di cui al Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169), per l’individuazione dei “ricavi lordi”, che vanno considerati ricavi in senso tecnico, occorre fare riferimento alle voci n. 1 (“ricavi delle vendite e delle prestazioni”) e n. 5 (“altri ricavi e proventi”) dello schema obbligatorio di conto economico previsto dall’articolo 2425 c.c., lettera A. (Cass. 28667/13; Cass. 24630/10);
che correttamente, pertanto la Corte d’appello ha ritenuto che nella voce ricavi “ricavi lordi” fosse compreso anche l’aggio riconosciuto al titolare per la’ gestione dei videogiochi comprendendo la detta voce a tutte le componenti positive derivanti dalla attivita’ d’impresa poiche’, essendo consentita la tenuta di videogiochi nell’ambito degli esercizi quale quello gestito dal ricorrente, non e’ dubbio che tale attivita’ non sia estranea all’impresa ma costituisca una delle sue componenti;
che, quanto al verbale della Guardia di Finanza,la sentenza impugnata da atto che lo stesso era stato comunicato al ricorrente e che trattasi di un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede di legittimita’ tanto piu’ che il ricorrente si limita a contestare siffatta comunicazione ma nulla concretamente deduce a sostegno della propria tesi; che quanto al resto non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto il ricorso va rigettato senza condanna al pagamento delle spese di giudizio non avendo gli intimati svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente del doppio dei contributi ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 quater.
Leave a Reply