Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza del 16 marzo 2015, n. 11079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. MICCOLI G. – rel. Consigliere –
Dott. DE MARZO Giusepp – Consigliere –
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Z.S. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 90/2012 CORTE APPELLO di TRENTO, del 25/09/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MICCOLI GRAZIA;
Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott. DELEHAYE Enrico, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
Per il ricorrente, l’avv. ————, in sostituzione del difensore di fiducia avv.————-, ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 25 settembre 2013 la Corte d’Appello di Trento, in parziale riforma della pronunzia di primo grado del Tribunale di Rovereto, rideterminava la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni in favore di ciascuna delle parti civili e confermava nel resto le statuizioni di affermazione della responsabilità di Z.S. per i reati di minaccia, ingiuria e lesioni personali, con il vincolo della continuazione, in danno di F.L. e di M.S., per averli aggrediti, in data (OMISSIS), con l’espressione, rivolta al F., agitando un pezzo di legno, “devi morire stronzo fannullone”, per aver colpito quest’ultimo all’avambraccio con il pezzo di legno e al viso con un pugno, nonchè per aver colpito M.S. con un calcio al ginocchio destro e all’avambraccio sinistro.

2. Ha proposto ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, proponendo i seguenti motivi.

2.1.Violazione di legge in relazione all’art. 49 c.p., comma 2 e art. 594 c.p., nonchè del principio “costituzionalmente tutelato di offensività e dannosità sociale del fatto”. Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare in maniera autonoma i reati contestati e in particolare di verificare se le frasi pronunziate durante la lite con il F. potessero rilevare penalmente ai sensi dell’art. 594 c.p.. Gli epiteti “stronzo, fannullone” sarebbero talmente di lieve entità e comuni nel gergo quotidiano da escludere qualsiasi tipo di reale offensivita nei confronti dell’onore e decoro della persona cui sono rivolti.

2.2. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di lesioni aggravate. La Corte territoriale – secondo il ricorrente- ha omesso di valutare che le lesioni alla M. non sono state provocate volontariamente, perchè quest’ultima si è inserita nel litigio solo per dividere i due contendenti. Analoghe censure sono state fatte in ordine alla motivazione della sentenza relativa alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 582 c.p., in danno del F., avendo la Corte ritenuto che esso fosse provato solo dal fatto che quest’ultimo era stato colpito e subito lesioni.

2.3. Vizio di motivazione in punto di valutazione delle prove offerte dalla difesa. La Corte territoriale -secondo il ricorrente- ha omesso di riportare le ragioni che l’hanno indotta a ritenere non attendibili le prove a discarico, nonostante fossero della stessa natura e consistenza delle prove offerte a carico della parti offese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato e, di conseguenza, ne va dichiarata l’inammissibilità.

1. Il primo motivo non risulta essere stato dedotto in appello.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perchè non devolute alla sua cognizione (Sez. 2^, n. 22362 del 19/04/2013 – dep. 24/05/2013, Di Domenica, Rv. 255940).

2. Gli altri due motivi di ricorso sono del tutto generici e senza alcuna correlazione con la motivazione della sentenza impugnata;

peraltro reiterano pedissequamente i motivi già dedotti con l’appello e che la Corte territoriale ha specificamente valutato.

Va a tal proposito rammentato il principio di diritto secondo il quale la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che comporta, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. e) l’inammissibilità (Sez. 5^, n. 28011 del 15/02/2013 – dep. 26/06/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4^, 18.9.1997 – 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Sez. 5^, 27.1.2005 -25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Sez. 5^, 12.12.1996, n. 3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).

Va ricordato, inoltre, che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e); la modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa, si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione. Più approfonditamente, si è affermato che la specificità dell’art. 606 c.p.p., lett. e), dettato in tema di ricorso per Cassazione al fine di definirne l’ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l’utilizzazione del vizio di violazione di legge di cui al citato articolo, lett. e). E ciò, sia perchè la deducibilità per Cassazione è ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, sia perchè la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicchè il concetto di mancanza di motivazione non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione od errore che concernano l’analisi di determinati, specifici elementi probatori (Sez. 3^, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).

Tanto premesso, occorre rilevare che i motivi proposti dal ricorrente si limitano a censurare proprio la sussistenza di prove a suo carico.

Quanto dedotto è però -come si è detto- del tutto generico e le censure sono formulate in modo stereotipato, senza alcuna considerazione degli elementi evidenziati e degli argomenti spesi nella sentenza impugnata e in quella di primo grado, cui la Corte territoriale ha anche fatto specificamente e legittimamente rinvio.

L’assenza di un collegamento concreto con la motivazione della sentenza impugnata impedisce di ritenere rispettati i requisiti di forma e di contenuto minimo voluti per il ricorso di legittimità, che deve rivolgersi al provvedimento e non può invocare una mera rilettura dei fatti. Peraltro, l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione del giudice d’appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, anche nella valutazione dell’attendibilità della persona offesa. A tal proposito, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente chiarito che “le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).

Nè va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata in punto di responsabilità ha confermato quella di primo grado, sicchè vanno ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4^, n. 4060 del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2015

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