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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 28 aprile 2015, n. 17774

Fatto e diritto

1. Con ordinanza emessa in data 8 aprile 2014 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha accolto l’istanza di ricusazione presentata da D.C. nei confronti dei componenti il collegio del Tribunale nel processo n. 1215/2012 R.G.T. a carico dello stesso C. e di altri, avente ad oggetto la seguente imputazione : “delitto p.e p. dagli artt. 112 co. 1 n. 1,416 bis co. 1,2,3,4,5,6 e 8 c.p., perché rivestendo i ruoli di seguito meglio specificati fanno stabilmente parte della struttura organizzativa dell’associazione di tipo mafioso ed armata …. denominata ‘ndrangheta presente nel territorio della provincia di Reggio Calabria, sul territorio nazionale ed estero … ed in particolare della sua articolazione territoriale denominata < cosca T.> prevalentemente operante nel locale di Archi di Reggio Calabria, della cui forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della rilevante condizione di assoggettamento e di omertà… si avvalgono per commettere una serie di delitti …. C. D., F. M., F. R. che rispondono dell’ipotesi di cui all’art. 416 co. 2 c.p. , quali organizzatori dell’articolazione territoriale dell’associazione di tipo mafioso ed armata indicata in premessa…]”. Nel corso del suindicato processo il Tribunale di Reggio Calabria, accogliendo la richiesta formulata dal P.M., disponeva, con ordinanza del 6 febbraio 2014, l’acquisizione al fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 500, commi quarto, cod. proc. pen. dei verbali delle dichiarazioni rese dall’ex collaboratore di giustizia G. M., in occasione degli interrogatori assunti nel corso delle indagini preliminari. La richiesta del P.M. di fondava sulla asserita sussistenza delle pressioni che sarebbero state esercitate nei confronti del medesimo , nella forma concreta di dazione di denaro o altre utilità materiali, al fine di indurlo a non rendere testimonianza nel processo.
Nella stessa udienza del 6 febbraio 2014, il C. presentava istanza di ricusazione, lamentando che il Tribunale aveva indebitamente manifestato il proprio convincimento sull’oggetto della imputazione, avendo più volte affermato che doveva ritenersi provato che il suddetto imputato facesse parte di un sodalizio mafioso. La Corte di appello di Reggio Calabria, nell’accogliere l’istanza di ricusazione, evidenziava che il Tribunale aveva più volte espresso nella sua ordinanza valutazioni non sul fatto oggettivo della subornazione ma sulla appartenenza del C. a una cosca mafiosa con ruolo di rilevo, che costituiva proprio l’oggetto dell’accertamento demandato al tribunale nel giudizio nell’ambito del quale è stata avanzata istanza di ricusazione. 2. Avverso tale ordinanza è stato proposto dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria ricorso nel quale si censura l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge in relazione alla erronea applicazione degli artt. 37, comma primo, lettera b) e 500, commi quarto e quinto, c. p. p., nonché per vizio di motivazione.
Secondo la Procura Generale ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistenti i presupposti legittimanti il potere della parte di ricusare il giudice ai sensi dell’art. 37 cod. proc. pen. ovvero che il Tribunale abbia “indebitamente” manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto della imputazione. In effetti, secondo la Procura ricorrente, il tribunale nella ordinanza ex art. 500 c. p.p. si sarebbe trovato nella necessità di dare conto esaustivamente delle ragioni del suo provvedimento, dato che avrebbe alterato l’ordinario sistema procedimentale sulla raccolta della prova. Se l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del P.M. costituisce un evento “eccezionale”, non v’è dubbio che il quantum di prova necessario per legittimare questa deviazione dalle regole debba essere cospicuo, nel senso che il giudice ha il dovere di motivare quanto più dettagliatamente possibile il relativo provvedimento . Depone per uno standard probatorio particolarmente consistente la formula dell’art. 111 Cost., che parla di “provata” condotta illecita, nonché dell’art. 500 co. 4 c.p.p. , che prevede debbano sussistere “elementi concreti” per ritenere che il teste sia stato sottoposto a violenza minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità al fine di non deporre o di deporre il falso.
Secondo l’ufficio ricorrente, a differenza di quanto sostenuto dalla corte di appello, non vi è stata alcuna anticipazione di giudizio di colpevolezza del C.. Le espressioni censurate dalla corte a pag 6 dell’ordinanza non sono il frutto di autonoma valutazione del tribunale, ma la riproduzione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia V., rese all’udienza 12.12.2013, quando ha deposto “sul contenuto delle dichiarazioni rese, in sede di indagini integrative ex art. 430 c.p.p., con specifico riferimento alle condotte accomodanti poste in essere da L.G.A., C. D. e Carmelo M. al fine di spingere l’ex collaboratore […] a ritrattare le accuse precedentemente rese nei loro confronti “(pag. 2 ord.trib.).
In quell’occasione il V. aveva qualificato il C. e il M. quali “reggenti” di Santa Caterina, come si evince ancora dall’ordinanza : ” aggiungeva inoltre il V. che già prima della cessione del bar, il M. aveva beneficiato di un aiuto economico da parte dei reggenti di Santa Caterina, Carmelo M. e D.C. , i quali avevano coinvolto nella vicenda anche N.L.G., chiedendogli espressamente di contribuire al suo sostentamento “. 3. Con atto depositato in data 11 giugno 2014 il Procuratore Generale della Corte di Cassazione ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza, deducendo che le argomentazioni dell’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria non costituiscono una effettiva anticipazione di giudizio sui fatti oggetto di contestazione.

Motivi della decisione

Il ricorso non risulta fondato.
L’ordinanza della corte di merito presenta un’equilibrata e coerente analisi comparativa tra
– una premessa generale , sulla nozione di anticipata manifestazione di convincimento da parte del giudice, elaborata dalla giurisprudenza,
– un’esposizione dell’accertamento incidentale svolto dall’organo giudicante e trasfuso nell’ordinanza 6.2.2014, avente ad oggetto la subornazione esercitata da esponenti mafiosi su G. M. ,
– valutazione conclusiva sulla estensione dell’efficacia dimostrativa dell’accertamento medesimo.
5. La giurisprudenza si è ampiamente pronunciata sulla nozione di anticipata manifestazione di convincimento sul merito della res iudicanda , che compiuta nel medesimo processo, può dar luogo ad una causa di ricusazione , portando l’analisi sul carattere indebito o meno dell’anticipazione. L’avverbio indebitamente , contenuto nel comma 1 lett. a) dell’art. 37 c.p.p., è razionalmente e pacificamente inteso come anticipazione dell’opinione di colpevolezza o innocenza dell’imputato, senza che ne esista la necessità ai fini della decisione interlocutoria e incidentale eventualmente adottata; anticipazione che risulti , quindi, priva di ogni collegamento con l’esercizio della giurisdizione inerente al fatto esaminato . E’ causa di ricusazione del giudice una manifestazione anticipata del convincimento sul merito della res iudicanda, senza che essa sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali , travalicando i limiti funzionali, propri del provvedimento incidentale (S.U. n.41263 del 27.9.2005 rv 232067; sez. 2,n.. 19648 del 29/03/2007, Rv. 236588; sez.1,n.. 35208 del 15/06/2007, Rv. 237627;Sez. 3 n. 17868 del 17.3.2009 rv 243713).
6. Esaminata la giurisprudenza consolidata sul tema, la corte di appello ha richiamato i passaggi di maggior rilievo dell’ordinanza istruttoria , con la quale il tribunale ha accolto la richiesta del P.M. di acquisire al fascicolo del dibattimento , a norma dell’art. 500 co. 4 c.p.p., le dichiarazioni predibattimentali rese da G. M..
Nell’ordinanza impugnata si riportano ampi brani delle dichiarazioni del collaboratore V. , relative alla strategia di L.G.A., C. D. e C.M.diretta a ottenere dal M., nel momento della sua decisione di abbandonare il programma di protezione e di tornare a Reggio Calabria, la ritrattazione delle accuse mosse nei loro confronti e più in generale nei confronti dei vertici della locale cosca mafiosa T.. Il prezzo della ritrattazione era stato quantificato nella cessione di un bar del M. al M., che in precedenza aveva ricevuto aiuto economico dal M. medesimo e dal C. , in qualità di reggenti della cosca mafiosa di Santa Caterina.. Entrambi avevano coinvolto in questo sostegno in favore del M.,anche N.L.G..
Nel provvedimento della corte di merito è riportato la seguente valutazione di queste risultanze processuali :”Il M. per ragioni non emerse decideva di abbandonare il rapporto di collaborazione con la giustizia e, a suo rischio e pericolo, si determinava altresì a far rientro a Reggio Calabria. Appresa questa notizia ,i più volte citati esponenti delle consorterie mafiose all’epoca dominanti in città, consapevoli del contenuto delle dichiarazioni accusatorie rese dal M. e ben consci dell’inutilità della sua ipotetica eliminazione(pur ventilata dallo stesso V.) decidevano di adoperarsi al fine di indurlo alla ritrattazione. Va soltanto aggiunto che ogni diversa lettura della vicenda risulterebbe davvero poco plausibile, non potendo di certo sostenersi che un ex killer di `ndrangheta…possa avere, una volta rientrato in città e dimessi i panni del pentito , indisturbatamente acquistato un bar in una zona della città notoriamente presidiata dalle temibili cosche D.S.-T. , per tramite dei reggenti M. e C., destinatari delle sue accuse”.
La corte ha razionalmente e insindacabilmente rilevato che il tribunale
– non si è limitato a dare atto delle dichiarazioni di V., delle accertate condotte “manipolatorie” effettuate dai suindicati soggetti sul sapere del M., del riscontro obiettivo del programmato prezzo del silenzio di quest’ultimo ( è risultato sua moglie ha acquistato il bar il 28.11.2006, senza aver acceso un mutuo bancario o prestiti di qualsiasi tipo);
– non si è limitato , a conclusione dell’accertamento incidentale, ad evidenziarne il voluto risultato, costituito dalla provata subornazione del M., legittimante l’acquisizione al fascicolo dibattimentale delle precedenti dichiarazioni;
– è andato al di là della incidentale dimostrazione di queste indebite pressioni sul teste, proiettandosi sulla dimostrazione dell’appartenenza del C. alla cosca mafiosa, ipotizzata nel capo di imputazione, appartenenza che viene specificata con la ricostruzione di uno singolo comportamento di tutela dell’impunità del gruppo di appartenenza e di una precisa qualifica di reggente, condivisa con Carmelo M..
E’ quindi del tutto insindacabile la conclusione dell’ordinanza della corte territoriale, secondo cui il tribunale ha effettuato un’anticipata manifestazione di convincimento sul merito della res iudicanda , senza che tale anticipazione fosse necessitata o giustificata dalle sequenze procedimentali, per le quali occorreva dimostrare solo il fatto della subornazione.
Il ricorso della procura generale va quindi rigettato .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.G.

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