Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 17 febbraio 2016, n. 6460
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. FUMO Maurizio – Consigliere
Dott. BRUNO Paolo A. – rel. Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna dell’8 Maggio 2014;
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere BRUNO Paolo Antonio;
sentito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto IZZO Gioacchino, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito, infine, l’avv. (OMISSIS), che, nell’interesse del ricorrente, ha chiesto l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del 26 marzo 2013, con la quale il Tribunale di Modena, riqualificata l’originaria imputazione di tentato omicidio aggravato in tentate lesioni personali gravissime nei confronti della moglie (OMISSIS), aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole dell’anzidetto reato e di quello di cui all’articolo 572 codice penale e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione, oltre consequenziali statuizioni.
2. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.
Con il primo motivo si denuncia violazione del principio di correlazione tra sentenza ed imputazione, posto che i giudici di merito avevano modificato l’originaria contestazione di tentato omicidio a lesioni personali e, poi, a tentate lesioni gravissime, in difetto di contestazione ed in violazione dei diritti di difesa, in contrasto con quanto previsto dall’ordinamento interno e dall’articolo 6 CEDU.
Con il secondo motivo si denuncia difetto di motivazione sul punto con riferimento all’ordinanza dibattimentale con la quale era stata respinta, con motivazione apparente, la relativa eccezione, dedotta con il primo motivo di appello.
Con il terzo motivo si contesta la ritenuta sussistenza del reato di tentate lesioni gravissime, senza considerare che l’uso del mezzo (taglierino per unghie) anche se usato con forza, non avrebbe potuto comportare effetti lesivi diversi da quelli cagionati e non gia’ uno sfregio permanente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso si pone ai limiti dell’inammissibilita’, siccome meramente reiterativo di questioni gia’ agitate in sede di grave, in ordine alle quali la risposta motivazionale del giudice di appello risulta ineccepibile e formalmente corretta.
Le relative censure sono, ad ogni modo, destituite di fondamento. Ed invero, quanto alle prime due doglianze – congiuntamente apprezzabili, stante l’identica logica contestativa – ne e’ evidente l’inconsistenza. Non merita, infatti, censura si sorta l’insieme argomentativo in forza del quale il giudice di appello ha negato che nel diverso nomen iuris della fattispecie, in termini di tentate lesioni gravissime, potesse ravvisarsi immutazione dell’addebito oggetto dell’iniziale contestazione. Correttamente si e’ osservato che il fatto storico oggetto d’imputazione, originariamente formulata in termini di tentato omicidio, poi derubricato in lesioni consumate e, infine, definitivamente qualificata come tentativo di lesioni gravissime, non avesse subito modifiche di sorta, risultando compiutamente indicate le modalita’ essenziali, compreso il riferimento allo sfregio permanente. Di talche’, nessun pregiudizio per le ragioni della difesa poteva mai conseguire da una configurazione diversa e, oltretutto, meno grave rispetto all’originaria formulazione.
La terza censura, relativa alla configurabilita’ del reato di tentate lesioni gravissime, e’ destituita di fondamento posto che, correttamente, la Corte di merito, nel fare richiamo ad indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice anche nella sua piu’ autorevole espressione a Sezioni Unite, ha ritenuto concettualmente concepibile e, dunque, in concreto configurabile l’ipotesi del tentativo aggravato. In tal senso, ha tra l’altro ritenuto applicabile il principio di diritto affermato dalle citate Sezioni Unite, sia pure con riferimento a diversa fattispecie dell’attenuante del danno di speciale tenuita’, ritenuto applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalita’ del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima (Sez. U, n. 28243 del 28/03/2013, Rv. 255528).
Ed invero, lo stesso principio e’ certamente applicabile nella diversa fattispecie delle aggravanti, ove dalle modalita’ del fatto – avuto riguardo all’uso dello strumento usato (taglierino per unghie), alla violenza usata, alla destinazione dei colpi ed alle affermazioni dello stesso imputato (al momento dell’azione delittuosa: ti rovino la faccia cosi’ non ti guarda piu’ nessuno) – e’ stato, motivatamene, tratto il convincimento della sussistenza dell’ipotesi delittuosa del tentativo non portato a compimento, nel piu’ grave esito preordinato, solo per circostanze estranee alla volonta’ dell’agente (tra cui, l’inopinata ed efficace reazione della donna).
2. Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
Ricorrono le condizioni di legge perche’, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano oscurati i dati sensibili.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
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