Con riferimento all’esercizio del diritto di critica politica che il rispetto della verità del fatto assume un limitato rilievo necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica.
In tema di diffamazione a mezzo stampa, che sussiste l’esimente del diritto di critica, quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un’argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato a fatti specifici e non si risolve in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui.
La critica, se “contenuta” nell’ambito della tematica attinente al fatto dal quale ha tratto spunto, in quanto espressione di giudizi di valore dell’agente, può anche essere aspra, pungente e utilizzare l’arma del sarcasmo.
Sono invece sempre punibili le espressioni c.d. “gratuite”, nel senso di non necessarie all’esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti. Ciò che, infatti, rileva e determina l’abuso del diritto non è la maggiore o minore aggressività dell’espressione o l’asprezza dei toni, ma la gratuità delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 24 luglio 2017, n. 36695
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa in data 15 luglio 2016 la Corte d’Appello di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.F.M. è stato condannato alla pena di giustizia per il delitto di diffamazione ai danni di V.S. .
All’imputato è stato contestato che quale docente bibliotecario in servizio presso il Conservatorio (omissis) , candidato Direttore presso lo stesso Conservatorio alle elezioni del (…) vinte da V.S. , nel corso del programma “( omissis)” trasmesso sul canale televisivo locale (…), in data (omissis) offendeva la reputazione del V. asserendo di essere stato per sua mano sfrattato dopo ben 25 anni di professione, che il 19 novembre, tornato in servizio, non avrebbe più trovato il suo ufficio e sarebbe stato costretto a trovare un altro posto dove svolgere l’attività e ricevere gli studenti, accusandolo di avergli preso la sua roba, compreso il portapenne di sua figlia, avendo in realtà il V. , nei limiti dei poteri riconosciuti al Dirigente del Conservatorio, provveduto ad una riorganizzazione e ricollocazione degli uffici per un più ordinato svolgimento delle attività didattiche, lasciando inalterato il ruolo da sempre ricoperto da esso C. e dopo averlo regolarmente e per iscritto informato ed invitato, senza ottenere riscontro, a liberare la stanza occupata da quanto di sua pertinenza.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore l’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidandolo ad un unico articolato motivo.
È stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 51 e 595 comma 1 e 2 cod. pen..
Assume il ricorrente che il giudice d’appello, pur avendo riconosciuto il suo ruolo di sindacalista, non ha considerato i criteri di valutazione propri della critica sindacale, avendo lo stesso voluto solo stigmatizzare il provvedimento del Direttore, sia perché vessatorio nei suoi confronti, sia perché vessatorio per i fruitori della biblioteca, ove era stato collocato dopo che gli è stato tolto il proprio ufficio.
Lamenta, inoltre, che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la sua affermazione “apprensione della roba” alludesse ad un’azione illecita, o meglio ad uno “spossessamento e/o furto” perpetrato dal Direttore, avendo, invece, solo riferito che i suoi effetti personali erano stati presi e spostati in altro alta rinfusa.
Si duole, infine, il ricorrente che la Corte territoriale non ha considerato che, posto che nell’esercizio del diritto di critica la verità del fatto assume un rilievo necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, la critica al provvedimento del Direttore del Conservatorio è stata rivolta nell’ambito di una trasmissione televisiva satirica, che ha inteso volutamente rappresentare i fatti in modo sarcastico, ironico e caricaturale trasgressione, ma senza sconfinare mai nell’aggressione della sfera personale del V. .
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.
La Corte territoriale ha ritenuto che le espressioni utilizzate dal ricorrente nel corso della trasmissione televisiva satirica “( omissis)” abbiano travalicato il diritto di critica sia sotto il profilo della vericidità dei fatti che della continenza espressiva.
In particolare, in ordine al requisito della veridicità, il C. con l’espressione “apprensione della roba” avrebbe voluto alludere ad un gesto illecito, segnatamente uno spossessamento e/o un furto, senza riportare che vi era stato un provvedimento formale del Direttore V. , comunicato al ricorrente, con cui lo stesso era stato invitato a liberare il suo ufficio dagli effetti personali.
In ordine, alla continenza espressiva, vi sarebbe stato un superamento di tale limite sia perché la sceneggiatura della trasmissione raffigurava il prof. C. come uno sfrattato, con un ufficio allestito in una strada, sia perché si era trattato di un attacco personale al Direttore con l’accusa implicita ma inequivocabile di crudeltà verso la figlia del C. (nel riferimento al portapenne regalato dalla bambina).
Questo Collegio non condivide l’impostazione della Corte territoriale.
In ordine al requisito della veridicità dei fatti affermati nell’esercizio del diritto di critica, va osservato che da un attento esame delle espressioni pronunciate dal ricorrente nel corso della trasmissione televisiva per cui è procedimento – come riportate fedelmente dal giudice di primo grado – emerge in modo inequivocabile che la Corte di merito ha travisato il contenuto della dichiarazione resa dal prevenuto, quantomeno nella parte in cui costui avrebbe accusato la persona offesa di avergli preso la sua “roba”.
Dall’esame delle parole testuali utilizzate dal ricorrente, risulta chiaramente che l’imputato non ha affatto rimproverato il V. di avergli sottratto (nel senso di essersi impossessato) i suoi effetti personali ma soltanto di averli accatastati alla rinfusa. Eloquente è l‘espressone: “Hanno preso tutta la mia roba che stava nell’ufficio, compreso il portapenne della bambina, che mò che saprà e mi chiedeva che fine ha fatto ed è stato tutto portato chi da una parte, chi dall’altra……”.
Né vi è stata una mistificazione del fatto narrato dal C. atteso che costui, seppur con un linguaggio colorito, ha riportato un fatto vero, ovvero che il V. aveva deciso, una volta eletto Direttore del Conservatorio, di destinare l’ufficio del ricorrente ad altro uso, con relativo sgombero, senza, peraltro, assegnargli altro ufficio, tanto è vero che il prevenuto aveva dovuto sistemarsi in biblioteca.
Né la circostanza che nella trasmissione televisiva il ricorrente avesse omesso di riferire che il provvedimento formale con cui il Direttore lo aveva invitato a liberare la stanza gli fosse stato regolamente notificato può ritenersi rilevante ai fini del rispetto del requisito della verità del fatto.
Peraltro, questa Corte ha già affermato con riferimento all’esercizio del diritto di critica politica che il rispetto della verità del fatto assume un limitato rilievo necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. (Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014, Rv. 26134001). Tale principio non può non valere anche nel caso di specie, tenuto conto anche che dalla non contestata ricostruzione dei giudici di merito è emerso che le frasi polemiche sono state pronunciate dal ricorrente nel periodo immediatamente successivo ad una consultazione elettorale per la nomina del Direttore del Conservatorio – all’esito della quale l’imputato era risultato sconfitto e la persona offesa vincitrice – che si era svolta in clima di tensione.
In ordine al requisito della continenza, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte affermato, in tema di diffamazione a mezzo stampa, che sussiste l’esimente del diritto di critica, quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un’argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato a fatti specifici e non si risolve in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui. (Sez. 1, n. 5695 del 05/11/2014, Rv. 262531).
La critica, se “contenuta” nell’ambito della tematica attinente al fatto dal quale ha tratto spunto, in quanto espressione di giudizi di valore dell’agente, può anche essere aspra, pungente e utilizzare l’arma del sarcasmo (Sez. 5, n. 3356 del 2011).
Sono invece sempre punibili le espressioni c.d. “gratuite”, nel senso di non necessarie all’esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti. Ciò che, infatti, rileva e determina l’abuso del diritto non è la maggiore o minore aggressività dell’espressione o l’asprezza dei toni, ma la gratuità delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione (Sez. 5, n. 13735 del 7.3.2006, Rv. 233986).
Nel caso di specie, le espressioni pronunciate dal ricorrente nella trasmissione televisiva alcune delle quali assai frequenti nel linguaggio comune, come “sfrattato”, termine utilizzato per intendere la rimozione senza il proprio consenso da un luogo – sono di aspra critica a fatti ben specifici, ovvero al provvedimento adottato dal Direttore del Conservatorio nell’esercizio delle sue funzioni con cui quest’ultimo ha disposto la destinazione ad altro uso dell’ufficio del ricorrente ed alla successiva liberazione “coattiva dello stesso, ma non rappresentano un attacco, un’aggressione alla sfera personale del V. , che non viene, peraltro, neppure citato per nome, ma indicato come Direttore. Non vi è traccia di espressioni gratuite, umilianti o dileggianti, essendo le frasi pronunciate dal ricorrente pienamente pertinenti ai temi in discussione.
L’osservazione della Corte di merito secondo cui il ricorrente (con il riferimento al portapenne regalatogli dalla figlia) avrebbe addirittura rivolto alla persona offesa “un’accusa implicita, ma inequivocabile, di crudeltà verso la propria figlia”, oltre ad essere del tutto sproporzionata rispetto al contesto in cui si colloca il contrasto tra le parti, non trova neppure riscontro nelle affermazioni dell’imputato, che nella sua vis polemica ha fatto riferimento alla propria bambina giusto per enfatizzare gli effetti determinati dalla liberazione “coattiva” della sua stanza.
La Corte dà atto che i commenti del ricorrente devono essere inseriti e contestualizzati nel clima di tensione derivante dall’esito delle recenti elezioni per l’incarico di Direttore del Conservatorio ma non ne trae le dovute conseguenze.
Non è stata neppure tenuta nella debita considerazione dai giudici di merito la natura satirica e caricaturale della trasmissione televisiva in cui sono state pronunciate le frasi ascritte al ricorrente – la sceneggiatura della trasmissione raffigurava il prof. C. come uno sfrattato, con un ufficio allestito per strada – che non può non incidere nella corretta valutazione di tali espressioni.
In conclusione, le affermazioni del ricorrente rientrano pienamente, pur con i toni forti e aspri sopra riportati, nell’esercizio legittimo del diritto di critica, non essendo dirette a colpire la sfera personale della persona offesa, ma solo a censurare il suo modo di svolgere le funzioni di Direttore del Conservatorio.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
L’esclusione dell’antigiuridicità del fatto comporta la revoca delle statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato per esercizio del diritto di critica.
Leave a Reply