Il giudizio di comparazione fra le circostanze di cui all’art. 69 cod. pen., non vale a configurare giuridicamente il reato come ipotesi semplice e non circostanziata, sicché non può influire sulla competenza funzionale del giudice
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
SENTENZA 10 febbraio 2017, n.6352
Ritenuto in fatto
1 – Con sentenza del 1 aprile 2016, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Verbania che aveva ritenuto D.N. colpevole del delitto previsto dall’art. 595, commi 1 e 3, cod. pen., per avere offeso la reputazione dell’ex coniuge M.D. pubblicando, il (omissis), sul sito (omissis) (e quindi tramite internet, considerato un mezzo di pubblicità) un messaggio in cui descriveva le proprie vicissitudini matrimoniali affermando che M. ‘nonostante la perizia psichiatrica allarmante, insegna a dei bambini’, condannandola alla pena di mesi 2 di reclusione (era stata contestata anche la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale) ed a risarcire i danni patiti dal M. che liquidava in Euro 5.000.
Nel messaggio in questione l’imputata aveva descritto il M. come un musicista, docente di scuola media e maestro e l’aveva così reso ancor più riconoscibile, essendo peraltro, egli, l’unico ex marito della medesima.
Il sito era accessibile da chiunque tanto che ne aveva avuto diretta conoscenza anche la nuova moglie del querelante.
L’autrice del messaggio era individuata dal nome, dall’indirizzo e dal recapito telefonico dell’imputata e dalle dettagliate e riconoscibili vicende narrate in relazione al rapporto coniugale intercorso fra l’imputata ed il M. .
Il contenuto della comunicazione era lesivo della reputazione della persona offesa perché ipotizzava patologie psicologiche in un soggetto che ricopriva funzioni educative.
Era inoltre emerso che la persona offesa non era mai stato sottoposto, nel lungo contenzioso civile derivato dalla fine del suo matrimonio, a perizie o valutazioni psichiatriche.
2 – Avverso la predetta sentenza propone ricorso il difensore dell’imputata.
2 – 1 – Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed in particolare dell’art. 526 cod. proc. pen..
La decisione della Corte, ed ancor prima del Tribunale, si era fondata su un verbale di sommarie informazioni testimoniali che era stato acquisito senza il necessario consenso della difesa.
In particolare, ai sensi dell’art. 507 codice di rito, era stata disposta l’integrazione di indagine al fine di verificare se l’indirizzo IP dal quale era pervenuto il messaggio al sito fosse quello dell’imputata e se, dal momento dell’inserimento, il contenuto del messaggio fosse mutato.
Invece dell’esito degli accertamenti si era acquisito il verbale di s.i.t. di L.I. , titolare del sito, e ciò senza il consenso della difesa.
2 – 2 – Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione posto che login, username, indirizzo e numero di telefono non erano sufficienti ad individuare l’imputata come autrice del messaggio, tanto che il Tribunale aveva disposto l’integrazione probatoria.
L’indirizzo mail non era riconducibile all’imputata; l’indirizzo fisico ed il numero di telefono erano pubblici. Il testo del messaggio potrebbe essere stato mutato.
2 – 3 – Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione al disposto trattamento sanzionatorio, posto che, ad esito del giudizio di bilanciamento, la pena avrebbe dovuto essere quella stabilita per i delitti di competenza del Giudice di pace e, quindi, pecuniaria (o alternativa).
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
1 – Il primo motivo è infondato perché verte sulla ricostruzione del fatto e la difesa non ha operato la necessaria prova di resistenza. Non ha valutato, infatti, se gli altri elementi di prova non contestati avrebbero da soli condotto alla medesima soluzione di attribuire la paternità dello scritto all’imputata.
Una valutazione che non avrebbe peraltro dato frutti positivi in quanto è emerso che il brano pubblicato sul blog era a firma della pervenuta e conteneva notizie certamente riconducibili al rapporto matrimoniale fra la stessa e la persona offesa. Ed il brano incriminato era in perfetta continuità logica con le altre argomentazioni sviluppate.
Così che le asserzioni difensive circa il possibile mutamento del contenuto dello scritto e la non riconducibilità dello stesso alla ricorrente finivano per essere delle mere congetture, non riuscendo la stessa difesa neppure ad ipotizzare chi e perché avrebbe dovuto usare simili espressioni nei confronti del M. , cercando, nel contempo, di attribuirne la paternità alla D. .
2 – Anche il secondo motivo è versato in fatto ed è infondato perché pretende che i singoli elementi di prova siano riguardati e valutati in modo atomistico e non nel complesso delle emergenze.
Ed allora, anche se è vero che l’indirizzo ed il numero di telefono dell’imputata sono pubblici (ammesso che il suo nome sia inserito negli elenchi telefonici), il fatto che tali dati fossero perfettamente riferibili al nome con il quale l’autore dello scritto si era identificato consente di trarne un’ulteriore conferma della attribuibilità del medesimo alla ricorrente.
3 – Il terzo motivo è anch’esso infondato.
Il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 cod. pen. non determina l’esclusione delle aggravanti che siano dichiarate equivalenti o prevalenti alle circostanze attenuanti con le quali siano state poste in bilanciamento ma incide solo sulla misura della pena, eliminando l’aumento che da esse conseguirebbe.
Da tale principio la giurisprudenza di questa Corte ha sempre dedotto, tanto per fare l’esempio che più si avvicina alla questione da risolvere, che il giudizio di comparazione fra le circostanze di cui all’art. 69 cod. pen., non vale a configurare giuridicamente il reato come ipotesi semplice e non circostanziata, sicché non può influire sulla competenza funzionale del giudice (Sez. 2, n. 20852 del 21/04/2009, Alessandrini, Rv. 244807 e, proprio in tema di competenza del Giudice di pace, Sez. 2, n. 44408 del 05/10/2004, Formillo, Rv. 230327; non essendo condivisibile il precedente, che giunge all’opposta soluzione, citato nel ricorso, Sez. 5, n. 28006 delo 18/05/2004, Bartocelli, Rv. 228712 perché contraddice il principio di diritto, sempre altrimenti ribadito, della irrilevanza, ai fini della competenza per materia, del giudizio di bilanciamento delle circostanze).
Il delitto di diffamazione contestato alla ricorrente non diventa pertanto, per il fatto che l’aggravante prevista dall’art. 595, comma terzo (derivante dalla diffusione della notizia tramite un blog su internet) sia stata dichiarata equivalente alle circostanze attenuanti, di competenza del Giudice di pace e non devono pertanto applicarsi le pene per tali reati previste.
Né la disposta pena detentiva appare eccessiva in considerazione del lungo lasso di tempo in cui il brano diffamatorio è rimasto sul blog, consentendone a tutti gli utenti l’accesso e la lettura.
4 – Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In considerazione del rapporto familiare che intercorreva fra le parti si dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
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