Il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, previsto dall’art. 474 cod. pen., è volto a tutelare non la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
SENTENZA 1 agosto 2017, n.38382
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 9 ottobre 2015 la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Lecce – Sezione di Nardò – che aveva ritenuto D.M.B. colpevole del delitto previsto dall’art. 474 cod. pen., per avere detenuto per la vendita prodotti industriali (borse, portamonete, cinghie) recanti marchi contraffatti (Gucci, Dolce & Gabbana, Louis Vitton, Cristian Dior), il (omissis) .
La Corte territoriale riteneva che i marchi apposti sugli accessori di abbigliamento in parola, per la loro notorietà dovessero considerarsi registrati senza necessità di raccoglierne la prova documentale e che la presenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto previsto dall’art. 474 cod. pen. – in particolare la circostanza che i marchi non presentassero caratteristiche tali da consentire di coglierne, ad un loro esame superficiale, la non originalità – escludesse la configurabilità della minore ipotesi disciplinata dall’art. 517 cod. pen.. Aggiungeva, inoltre, che era da escludere che l’imputato non sapesse che i marchi non fossero contraffatti, in quanto la merce da lui detenuta era di scarsa qualità e di modesto valore commerciale, a differenza dei beni recanti quelli autentici, peraltro ampiamente conosciuti sul mercato. Confermava, infine, la pena principale e la pena accessoria irrogate dal primo giudice.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso il difensore dell’imputato, Avv. Monica Colella articolando le proprie censure in tre motivi.
– Con il primo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 530 cod. proc. pen. e 474 cod. pen., ed il correlato vizio di motivazione, avendo la Corte affrontato la questione, sottopostale con il gravame, della grossolanità della contraffazione e della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in termini del tutto illogici, atteso che se le peculiarità dei prodotti – in particolare la loro scarsa qualità – erano tali da consentire all’imputato di riconoscere la contraffazione come tale, allora lo stesso principio avrebbe dovuto essere applicato anche nella valutazione dell’idoneità a trarre in inganno qualsiasi persona di comune avvedutezza e discernimento.
– Con il secondo motivo censura che non si fosse prosciolto l’imputato ai sensi dell’art. 131 bis cod.proc.pen., vista la particolare tenuità del fatto, in considerazione delle modalità della condotta, del numero limitato di capi sottoposti a sequestro e della loro esigua potenzialità lesiva.
– Con il terzo motivo si duole della inosservanza e della erronea applicazione della legge penale in relazione alla sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna di cui all’art. 36 e 475 cod. pen., posto che l’art. 36 cod. pen. prevede la diffusione nel solo sito del Ministero della giustizia, che, in ragione della suddetta modalità, deve considerarsi più favorevole.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei termini indicati.
Rileva la Corte che il Collegio del gravame, nel dare atto che la scarsa fattura degli accessori di abbigliamento offerti in vendita costituiva indice di sicura contraffazione dei marchi, così da rendere evidente la piena consapevolezza dell’imputato di aver posto in vendita oggetti con marchi non genuini, è incorsa in una vistosa illogicità della motivazione laddove non ha spiegato le ragioni per le quali questa stessa caratteristica dei prodotti non fosse parimenti idonea a trarre in errore la generalità dei consociati circa la non genuinità dei marchi e la conseguente non riconducibilità dei prodotti ai titolari dei segni distintivi.
Invero, è insegnamento del giudice di legittimità di gran lunga prevalente – rispetto ad una isolata pronuncia di segno opposto (Sez. 5, n. 2119 del 17/06/1999 – dep. 23/02/2000, Diaw, Rv. 21547301) – che il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, previsto dall’art. 474 cod. pen., è volto a tutelare non la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione (Sez. 5, n. 40835 del 20/09/2004 – dep. 20/10/2004, Chianella, Rv. 230913). Sicché la protezione accordata dall’art. 474 cod.pen. non è rivolta in favore di chi contrae con l’autore del reato, bensì nei confronti della generalità dei soggetti possibili destinatari dei prodotti effettivamente provenienti dalle imprese titolari dei marchi e, in maniera mediata, nei confronti di queste ultime che hanno interesse a mantenere certa la funzione del marchio come segno di particolare qualità ed originalità della propria produzione (Sez. 2, n. 13031 del 11/10/2000 – dep. 14/12/2000, Ndong, Rv. 217506; Sez. 5, n. 3028 del 15/01/1999 – dep. 05/03/1999, Derretti, Rv. 212940).
Così perimetrata l’offensività del delitto di cui all’art. 474 cod. pen. – che, pertanto, si configura come reato di pericolo per la cui integrazione è necessaria soltanto l’attitudine della falsificazione a compromettere l’affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione (Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012 – dep. 31/05/2012, P.G. in proc. Diasse, Rv. 25283601; Sez. 5, n. 31451 del 05/07/2006 – dep. 21/09/2006, Gningue, Rv. 23521401) -, si è conseguentemente affermato da parte di questa Corte regolatrice che non può parlarsi di reato impossibile – per inidoneità dell’azione – per il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall’acquirente in ragione delle modalità della vendita (prezzo eccessivamente basso rispetto a quello dei prodotti originali, vendita effettuata in mercatini rionali o ambulanti), in quanto la potenzialità decettiva della condotta deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione (Sez. 2, n. 39863 del 02/10/2001 – dep. 08/11/2001, Fall Babacar, Rv. 22023601). Si è, quindi, ulteriormente precisato che, nel caso dell’immissione in circolazione di prodotti contrassegnati da falsi marchi di provenienza, ciò che rileva è solo se il marchio contraffatto, nelle sue caratteristiche intrinseche, sia idoneo a fare falsamente apparire quel prodotto come proveniente da un determinato produttore (Sez. 5, n. 33543 del 21/09/2006 – dep. 05/10/2006, Cignetti, Rv. 235225).
Poiché, dunque, la tutela della fede pubblica e quella mirante a reprimere l’usurpazione del segno distintivo devono considerarsi nella loro massima diffusività, avendosi riguardo all’oggetto in sé e alla sua circolazione anche successiva all’acquisto, ad avviso di una linea ermeneutica espressa da questa Corte, cui il Collegio intende prestare adesione, può parlarsi di falso grossolano, e, quindi di reato impossibile, in relazione all’ipotesi di contraffazione dei marchi, solo ove il bene, per i requisiti materiali intrinseci, sia tale da escludere l’idoneità decettiva quanto alla provenienza del prodotto non solo nei confronti dello specifico acquirente ma della intera collettività (Sez. 2, n. 45545 del 15/11/2005 – dep. 15/12/2005, Nguer Khadim, Rv. 232832).
Non è, quindi, alle modalità della vendita che occorre far riferimento per ritenere il c.d. falso innocuo, posto che la consapevolezza della contraffazione, ingenerata da tali modalità nel compratore, è di per sé irrilevante ai fini della lesione dei beni giuridici protetti, dovendo, piuttosto, aversi riguardo alle qualità intrinseche del prodotto e alla veste del marchio che con lo stesso si immedesima: con la conseguenza che, quando, in base a criteri di valutazione ex ante, riferibili a qualsiasi persona fornita di comune discernimento e avvedutezza, possa escludersi il pericolo di confusione circa la riferibilità del prodotto al titolare del marchio sarà dato parlare di falso grossolano (Sez. 2, n. 16821 del 03/04/2008 – dep. 23/04/2008, Diop Mamadou, Rv. 239783).
Nel caso di specie, per contro, la Corte territoriale, pur avendo dato atto che ci si trovava al cospetto di imitazioni di infimo livello dei marchi apposti sui prodotti industriali offerti in vendita dall’imputato in ragione del generico riferimento alla scarsa fattura di essi, ha omesso, però, di esaminare le caratteristiche intrinseche dei prodotti (qualità dei materiali, forma e rifiniture) e la grafica dei segni e, quindi, di indicare specificamente le ragioni per le quali fosse da escludere l’idoneità della contraffazione dei marchi ad indurre in errore la generalità dei consociati o, comunque, una persona di comune avvedutezza e discernimento.
Il vizio argomentativo segnalato impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla sezione promiscua della Corte di appello di Lecce, la quale, pur nella sua libertà di apprezzamento delle circostanze di fatto, si atterrà alle indicazioni ermeneutiche formulate. Le ulteriori ragioni di censura rimangono assorbite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Lecce.
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