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Ora, nel caso di specie, anche a voler prescindere da un lato come detto dall’assenza di un’espressa menzione della retroattivita’ del nuovo articolo 20 nel corpo della legge e dall’altro da un’indagine circa la ragionevolezza della norma, non si riscontrano quegli “adeguati motivi di interesse generale” richiamati dalla Consulta o quelle “ragioni imperative di interesse generale” citate dalla Corte di Strasburgo elementi ritenuti necessari per sostenere la retroattivita’ della norma, trattandosi anzi di disciplina che, prima facie, non appare certo assecondare gli interessi del Fisco e quindi della collettivita’ in generale.
Deve altresi’ evidenziarsi che del nuovo testo dell’articolo 20, non puo’ predicarsi ne’ che sia portatore di “un’interpretazione piu’ aderente all’originaria volonta’ del legislatore” ne’ che persegua lo scopo di superare un “dibattito giurisprudenziale irrisolto”, cosi’ come richiesto dalla Consulta perche’ ad una norma possa assegnarsi natura interpretativa.
Quanto infatti alla “interpretazione piu’ aderente all’originaria volonta’ del legislatore” la norma introduce dei limiti all’attivita’ di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti, fermo restando che l’amministrazione finanziaria puo’ dimostrare la sussistenza dell’abuso del diritto previsto dalla L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis (introdotto dal Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128), il quale, alla lettera a), attribuisce espressamente rilevanza al collegamento negoziale, ma nel solo ambito, appunto, dell’abuso del diritto e non piu’ in quello della mera riqualificazione giuridica, per cui non puo’ certo dirsi che la nuova versione dell’articolo 20, porti un’interpretazione del vecchio testo che fosse in qualche modo desumibile da quest’ultimo.
Quanto poi ad un ipotetico “dibattito giurisprudenziale irrisolto” mette conto considerare che l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha escluso la natura antielusiva dell’articolo 20 a beneficio di quella della qualificazione giuridica della fattispecie (Cass. 21676 del 2017; n. 6758 del 2017; n. 1955 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 1955 del 2015; contra n. 2054 del 2017; n. 6835 del 2013; n. 24452 del 2007; n. 2713 del 2002), per il che non si puo’ affermare che la modifica introdotta al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, abbia natura interpretativa alla luce della L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis, poiche’ tale ultima norma disciplina il diverso ambito dell’abuso del diritto. Soprattutto, l’applicazione dell’articolo 20 previgente – in termini di rilevanza qualificatoria anche dei dati extratestuali e di collegamento negoziale riconducibili all’atto presentato alla registrazione – si fondava su un orientamento giurisprudenziale di legittimita’ che, per quanto effettivamente avversato da parte della dottrina e da talune pronunce di merito, poteva purtuttavia definirsi, sul punto specifico, sostanzialmente consolidato.
Non varrebbe obiettare che la relazione illustrativa alla L. n. 205 del 2017, assegna alla disposizione concernente l’imposta di registro il compito di “chiarire” il criterio di individuazione della natura e degli effetti che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione. Tale elemento puo’, infatti, agevolmente superarsi sulla base del tenore testuale infine adottato dallo stesso articolo 1, comma 87, in esame, il quale dichiara espressamente di apportare talune “modificazioni” al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, palesandosi cosi’ quale disposizione prettamente innovativa del precedente assetto normativo. E cio’ trova conferma, in accordo con il dato letterale del nuovo disposto, anche in ragione del fatto che tale modificazione ha determinato una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa; la’ dove invece l’articolo 20 previgente (secondo l’indirizzo di legittimita’) imponeva la tassazione sulla base di elementi (il dato extratestuale ed il collegamento negoziale) che vengono invece oggi espressamente esclusi; fatto salvo il loro “recupero”, come detto, nel diverso ambito della sopravvenuta disciplina dell’abuso del diritto di cui alla cit. L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis.
In definitiva, va dunque affermato che la L. 27 dicembre 2017, n. 205, articolo 1, comma 87, lettera a), non avendo natura interpretativa, ma innovativa, non esplica effetto retroattivo; conseguentemente, gli atti antecedenti alla data di sua entrata in vigore (1 gennaio 2018) continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20.
4. Secondo il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, vecchio testo (applicabile ratione temporis), la cui rubrica si intitola “Interpretazione degli atti”, “l’imposta e’ applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Ebbene, secondo questa Corte (Cass. 15 marzo 2017, n. 6758; 8 giugno 2016, n. 11692), del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, nel dettare non una regola antielusiva ma una regola interpretativa, impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessiva, a prescindere dall’eventuale disegno o intento elusivo delle parti e dei singoli motivi soggettivi. Tale norma dunque si riferisce agli atti nella loro oggettivita’ ermeneutica, prescindendo da qualunque riferimento all’eventuale disegno o intento elusivo delle parti o di alcune di esse e pertanto non e’ possibile qualificare la disposizione della legge di registro come disposizione antielusiva senza forzarne la struttura normativa, introducendovi un elemento estraneo – appunto, l’elusivita’ fiscale – che viceversa corrisponde solo a un’eventualita’ della fattispecie. L’interprete dunque e’ chiamato a valutare quale fosse il risultato concreto perseguito dalle parti e individuare quale sia l’imposta di registro prevista per quel risultato, a prescindere da un’indagine circa le eventuali intenzioni delle parti di eludere la normativa fiscale. In questa prospettiva dunque, non rileva neppure la buona o mala fede dei contraenti, in quanto, qualora per ipotesi le parti avessero raggiunto un risultato elusivo delle norme fiscali pur senza averlo voluto, dovrebbero comunque pagare l’imposta relativo a quel risultato concretamente ottenuto.
Come norma interpretativa, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, e’ dunque una norma di “qualificazione” degli atti, che non si sovrappone all’autonomia privata dei contribuenti, ma si limita a definirne l’esercizio insieme agli altri canoni legali di ermeneutica negoziale, fra i quali naturalmente non puo’ trascurarsi la comune intenzione delle parti prevista dall’articolo 1362 c.c.. Quest’ultimo elemento pero’ rileva come elemento di qualificazione della complessa operazione economica solo dal punto di vista civilistico, mentre le conseguenze fiscali di quella qualificazione discendono direttamente dalla legge, prescindendo dunque, lo si ribadisce, dalle intenzioni delle parti, quand’anche fossero tutte d’accordo per ottenere un certo risultato dal punto di vista fiscale.
La qualificazione interpretativa prescritta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, ha ad oggetto la causa dell’atto, nella sua dimensione reale, concreta e oggettiva: quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando cioe’ la causa tipica di ciascuno e’ in funzione di un programma negoziale che la trascende, non puo’ rilevare che la causa concreta dell’operazione complessiva, ossia la sintesi degli interessi oggettivati nell’operazione economica (Cass. 12 luglio 2005, n. 14611; 23 novembre 2001, n. 14900) e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralita’ di pattuizioni tra loro collegate e anche se non contestuali (Cass. 4 febbraio 2015, n. 1955).
In effetti i criteri indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, non si discostano da quelli generali in tema di interpretazione dei contratti che impongono una interpretazione oggettiva dell’atto alla luce della comune intenzione delle parti, come prescritto dall’articolo 1362 c.c.. E’ l’operazione economica complessivamente posta in essere che deve, “parlando da sola”, rivelare l’oggettiva, concreta e comune intenzione delle parti. In tal modo l’interpretazione aderente ai canoni legali ermeneutici restituisce dunque l’operazione negoziale nella sua realta’, scongiurando il rischio di un’alterazione della volonta’ privata (Cass. 15 marzo 2017, n. 6758, cit.).
L’imposta di registro va dunque correlata alla causa concreta dell’operazione, in ossequio al principio costituzionale di capacita’ contributiva di cui all’articolo 53 Cost.. Un’interpretazione atomistica dell’operazione negoziale non e’ in grado di misurare il reale movimento di ricchezza, che si rivela invece soltanto nella dimensione complessiva dell’affare. In questa prospettiva, il giudice puo’ e deve verificare la qualificazione negoziale operata dall’ufficio finanziario circa l’osservanza dei criteri legali di interpretazione, i quali vanno riferiti alle circostanze concrete della sequenza di atti.
5. Ora, se e’ vero che l’accertamento della natura, dell’entita’, delle modalita’ e delle conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non e’ sindacabile in sede di legittimita’, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (ex multis, Cass. 22 settembre 2016, n. 18585; Cass. 28 marzo 2006, n. 7074; Cass. 12 luglio 2005, n. 14611), nel caso in esame tale sindacato si impone in quanto il Giudice di appello non solo ha trascurato l’efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali dedotti dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della causa unitaria di compravendita, cosi’ come perseguita dai negozi dedotti in giudizio, ma ha palesemente disatteso i principi di diritto in precedenza ricordati, per cui la sentenza merita conseguentemente di essere cassata.
6. Pertanto, alla luce di suddetti principi, dovendosi tenere conto anche di circostanze extratestuali rispetto al singolo atto, non ostando che l’imposta di registro sia formalmente un’imposta d’atto, e interpretando la complessiva normativa fiscale alla luce di una lettura costituzionalmente orientata al principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 Cost. e di capacita’ contributiva di cui all’articolo 53 Cost., nonche’ dei principi comunitari in materia fiscale (Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006 C-255/02, Halifax; 10 novembre 2011 C126/10, Foggia, sentenze secondo le quali le operazioni realizzate al solo scopo di ottenere un risparmio fiscale senza un autonomo obiettivo economico, ancorche’ eseguite in forma apparentemente corretta quale una cessione di beni o una prestazione di servizi nell’esercizio di un’attivita’ economica – rivestono connotati sostanzialmente elusivi) e quindi tenendo conto che l’imposta deve essere commisurata alla complessiva operazione economica realizzata dal contribuente, il giudice di merito dovra’ valutare se elementi fattuali quali ad esempio il conferimento di un immobile appena ipotecato ad una societa’, la quasi coincidenza del valore dell’immobile e dell’importo del mutuo, la pressoche’ contestuale stipulazione di un mutuo da parte del socio conferente e l’accollo di tale mutuo da parte della societa’ conferitaria possano o meno portare a qualificare la complessiva operazione economica come una compravendita, (Cass. 19 marzo 2014, n. 6405), tenendo altresi’ conto che una societa’ commerciale e’ istituzionalmente deputata a perseguire un fine di lucro. Inoltre, anche a voler negare la distinzione delle soggettivita’ giuridiche tra socio unico e societa’ per sostenere che nella sostanza nessun trasferimento di ricchezza si sarebbe verificato in quanto l’immobile e il mutuo sia prima che dopo la complessiva operazione continuerebbero a far parte del medesimo centro di imputazione di interessi economici e giuridici, nel caso di specie tale tesi non potra’ trovare accesso semplicemente in virtu’ della preliminare osservazione che il socio conferente non e’ socio unico ma accomandante di una societa’ composta da altri soci, e dunque la sua sfera patrimoniale e giuridica e’ pacificamente ben distinta da quella della societa’.
Dovra’ dunque valutarsi se tale complessa operazione economica, avrebbe dovuto essere giuridicamente qualificata – cosi’ come fatto dall’Ufficio delle entrate di Bolzano nel suo provvedimento iniziale come una compravendita di un immobile, con i conseguenti doveri fiscali in capo ai contribuenti discendenti per legge.
7. E’ pertanto irragionevole e palesemente in contrasto con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20 – per non aver adeguatamente vagliato soluzioni alternative quali la possibilita’ di qualificare in maniera unitaria la complessiva operazione economica posta in essere – la motivazione della sentenza di appello secondo la quale nel caso di specie vi sarebbe stato soltanto un contratto di finanziamento con costituzione di garanzia ipotecaria seguito a poco distanza da un atto di costituzione di una s.a.s. nella quale veniva conferito il bene immobile poco prima gravato da ipoteca e percio’ al valore netto risultante dalla deduzione della passivita’.
8. Parimenti irragionevole e’ la motivazione della sentenza di appello nella parte in cui in maniera apodittica attribuisce rilevanza all’assenza di una successiva cessione delle quote societarie (ne’ alla conferitaria, ne’ a terzi). Tale circostanza avrebbe avuto rilievo se l’Agenzia delle Entrate avesse contestato al contribuente la circostanza di aver dissimulato una cessione di azienda, ma nel caso di specie si contesta la dissimulazione di una compravendita del bene (si veda Cass. 26 settembre 2016 n. 18897, ove pure si cassa la sentenza impugnata in quanto poggiava sul presupposto che l’operazione complessiva non poteva essere riqualificata come vendita, non essendo intervenuto alcun atto di cessione delle quote sociali).
9. I motivi di doglianza dell’Agenzia delle Entrate vanno dunque accolti e deve conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di registro, nell’ipotesi di collegamento negoziale fra mutuo ipotecario e conferimento alla societa’ dell’immobile su cui grava l’ipoteca (e senza una successiva cessione delle quote societarie), tale per cui la complessiva operazione economica risulti oggettivamente qualificabile come una compravendita, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, va interpretato, alla luce dei principi di ragionevolezza e di capacita’ contributiva, nel senso che tale imposta debba essere commisurata alla complessiva operazione economica oggettivamente realizzata dal punto di vista civilistico dal contribuente (ossia appunto una compravendita), non ostandovi che l’imposta di registro sia formalmente un’imposta d’atto”.
A tale principio non si e’ attenuta la sentenza impugnata, la quale invece ha richiamato testualmente la sentenza di primo grado secondo la quale l’articolo 20 cit., va interpretato nel senso che ai fini dell’imposta di registro gli effetti giuridici devono essere individuati unicamente attraverso l’interpretazione dei patti negoziali contenuti nell’atto sottoposto a registrazione e non desunti da eventuali altri negozi giuridici precedenti e successivi.
10. La sentenza impugnata va dunque cassata, e dovendosi procedere al discernimento di una tipica quaestio facti, si impone il rinvio alla Commissione Tributaria Regionale competente, in diversa composizione, la quale rivalutera’ la fattispecie, alla luce dei principi di diritto sopra riportati e provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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