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E’ ben vero che parte della giurisprudenza di questa Corte, successiva alla decisione delle Sezioni Unite, e’ nel senso che le pene accessorie temporanee conseguenti la condanna per reati tributari previste dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 hanno limiti edittali minimi e massimi prefissati dal legislatore ed, in relazione ad esse, non opera il principio dell’uniformita’ temporale tra pena accessoria e pena principale, ma deve essere il giudice, nell’ambito dell’intervallo temporale indicato, a stabilire la concreta durata della pena accessoria da irrogare (Sez. 3, n. 4916 del 14/07/2016 – dep. 02/02/2017, Bari, Rv. 269263).
Ritiene tuttavia il Collegio che – a parte il rilievo che tale decisione, pur successiva all’arresto delle Sezioni Unite, non pare confrontarsi con il decisum del Supremo Collegio – non vi siano ragioni per doversi discostare dall’indirizzo interpretativo cui sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte.
Viene in rilievo, in tal senso, la considerazione che l’articolo 37 c.p. detta un criterio generale di applicazione delle pene accessorie, la cui durata – qualora essa “non e’ espressamente determinata” – e’ legata a quella della pena principale inflitta: il carattere generale della disciplina in esame trova conferma, come si vedra’, nella regola sussidiaria stabilita dal secondo periodo dello stesso articolo 37 c.p., in forza della quale la durata della pena accessoria in nessun caso puo’ superare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di essa.
7. La disciplina in esame deve essere applicata nel caso in cui la pena accessoria sia comminata attraverso la previsione di un limite minimo “o” di un limite massimo di durata: e’ il caso, ad esempio, della disciplina L. Fall., ex articolo 217, a proposito della quale e’ consolidato l’orientamento secondo cui, in tema di bancarotta semplice, le pene accessorie devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla regola di cui all’articolo 37 c.p., per il quale la loro durata e’ uguale a quella della pena principale inflitta (cosi’, in una fattispecie di bancarotta semplice documentale, Sez. 5, n. 23606 del 16/02/2012 – dep. 14/06/2012, Ciampini, Rv. 252960). Ma l’ampia formulazione delle disposizioni in esame fa si’ che l’articolo 37 c.p. trovi applicazione anche nel caso in cui la pena accessoria – come nella disciplina Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 12 – sia comminata attraverso la previsione di un limite minimo “e” di un limite massimo di durata: l’espresso riferimento della regola sussidiaria delineata dal secondo periodo dell’articolo 37 c.p. al limite minimo “e” al limite massimo consente di rinvenire nel dato normativo una conferma alla tesi dell’applicabilita’ del criterio generale dell’equiparazione cronologica tra la durata della pena principale e quella della pena accessoria anche all’ipotesi qui in esame.
Pertanto, anche qualora la previsione legale relativa alla pena accessoria stabilisca sia il minimo sia il massimo di durata della pena accessoria, devono trovare applicazione il criterio generale e la regola sussidiaria previsti dall’articolo 37 c.p..
8. A questo proposito, un argomento ulteriore a sostegno della tesi condivisa dal Collegio puo’ trarsi dalla considerazione che l’interpretazione disattesa comporterebbe una rilevante contrazione della sfera applicativa dell’articolo 37 c.p., che verrebbe sostanzialmente limitata alle ipotesi di pene accessorie disciplinate in assenza di qualsiasi limite edittale nel minimo o nel massimo: ne risulterebbe cosi’ svilita la fisionomia di criterio generale che si ricava dalla collocazione sistematica della norma e dal tenore testuale della disposizione. D’altra parte, la disciplina delle pene accessorie temporanee dettata dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 non presenta, rispetto alla comminatoria edittale delle pene principali cui accede, profili che ne mettano in luce l’incompatibilita’ con la regola generale sancita dall’articolo 37 c.p.. Pertanto, le pene accessorie temporanee di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 devono ritenersi non espressamente determinate, quanto alla durata, dalla legge, con conseguente applicazione dell’articolo 37 c.p.
9. Di conseguenza, il Tribunale avrebbe dovuto considerare, quale parametro di computo per le pene accessorie non determinate dal legislatore in misura fissa, quello previsto dall’articolo 37 cod. pen. (ossia la quantita’ di pena principale inflitta per i reati cui si riferiscono le pene accessorie in questione). Trova, in particolare, applicazione il principio secondo cui nel caso di pluralita’ di reati – unificati dal vincolo della continuazione – la durata della pena accessoria secondo il criterio fissato dall’articolo 37 c.p. va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione piu’ grave, con l’eccezione dell’ipotesi di continuazione fra reati omogenei (come nel caso di specie, in cui ai ricorrenti sono contestati ai capi a), b e c), tutte violazioni alla medesima disciplina penale tributaria), nella quale l’identita’ dei reati unificati comporta necessariamente la applicazione di una pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la durata complessiva va commisurata all’intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione, ferma restando in ogni caso la necessita’ di rispettare il limite edittale massimo previsto per la specifica sanzione accessoria da applicare (v., in termini: Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014 – dep. 13/04/2015, Carrara ed altri, Rv. 263045).
10. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata, limitatamente alle statuizioni relative alle pene accessorie temporanee di cui al citato articolo 12, rideterminate ex articolo 620 c.p.p., lettera l), in misura pari alla pena principale inflitta (anni 3); nel resto, il ricorso dev’essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla durata delle pene accessorie irrogate, rideterminata per entrambi gli imputati in anni tre per ciascuna di esse; rigetta nel resto il ricorso del P.G.
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