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L’esclusione della possibilita’ di ravvisare il reato di contrabbando e’ stata fatta derivare dall’individuazione del significato da attribuire alla disposizione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 70, e, correlativamente, dalla considerazione della natura che deve attribuirsi all’imposta sul valore aggiunto, sul rilievo che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 70, comma 1, prevede, riguardo all’Iva all’importazione, che si applichino, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine, rinvio fatto esclusivamente “quoad poenam” e dal quale non puo’ derivare, secondo la Corte territoriale, la trasformazione dell’Iva, che ha natura di tributo interno, in un diritto di confine, atteso che l’imposta sul valore aggiunto, avendo natura di tributo interno, e’ comunque dovuta anche nell’ipotesi di abolizione dei dazi doganali (situazione che ricorre nel caso in esame, nel quale la contestazione del reato di contrabbando non riguarda alcun dazio doganale ma esclusivamente l’imposta sul valore aggiunto).
Qualificato quindi il fatto contestato sub 1) come reato di evasione dell’Iva all’importazione previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 1 e 70, la Corte di appello ha dichiarato il reato estinto per prescrizione, essendo interamente decorso il termine prescrizionale decorrente dal momento in cui, nell’ottobre 2005, l’imbarcazione fu iscritta nel registro internazionale, giungendo a tale approdo per aver ritenuto la natura istantanea, con effetti permanenti, del reato di evasione dell’Iva all’importazione, che si consuma mediante la sottrazione indebita all’imposizione dell’operazione che determina il sorgere del tributo (attuata nel caso in esame mediante l’iscrizione dell’imbarcazione nel registro internazionale), mentre il perdurante obbligo di versamento dell’imposta evasa attiene agli effetti permanenti della condotta incriminata.
2.2. L’assunto della Corte territoriale non e’ condivisibile perche’ la natura di tributo interno dell’Iva all’importazione, che pure e’ stata affermata dalla recente giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 3, n. 28251 del 28/05/2015, Kirichenko, non mass.), non giustifica di per se’ l’inquadramento del reato, ai fini della consumazione della fattispecie incriminatrice, all’interno della categoria dei reati istantanei ad effetti permanenti.
Come fondatamente obietta il ricorrente Procuratore generale, la Corte di cassazione ha affermato che il delitto di evasione all’IVA sulle importazioni ha un carattere di antigiuridicita’ che permane oggettivamente sulla merce, abusivamente importata, in ogni vicenda successiva e coinvolge ogni susseguente atto di vendita o di trasporto della merce medesima (Sez. 3, n. 4245 del 04/03/1987, Tallarini, Rv. 175594).
In altri termini, si parte dal presupposto che le merci vengono indebitamente sottratte al pagamento dell’imposta al momento dell’importazione e continuano a mantenere il loro stato di illegittimita’ anche dopo l’abusiva introduzione nello Stato, poiche’ il tributo grava sulla merce e permane fino a che non viene assolta l’obbligazione tributaria. Da cio’ la conseguenza che il reato e’ configurabile verso tutti coloro che entreranno in possesso della merce che non hanno assolto il tributo, a condizione ovviamente che chi la detiene abbia precisa consapevolezza della sua origine.
Se quindi la merce continua a mantenere la sua condizione di illegittimita’ anche dopo l’introduzione nel territorio dello Stato, il tributo va configurato non come una semplice tassa di passaggio, ma grava sulla merce cosicche’ la situazione antigiuridica perdura sino a quando e’ possibile l’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Il reato di evasione dell’Iva all’importazione non rientra quindi tra i reati istantanei che si perfezionano nel momento in cui sorge il diritto erariale a pretendere il pagamento dell’imposta, bensi’ ha natura di reato permanente, la cui consumazione si esaurisce solo quando cessa l’attivita’ diretta a consentire la illecita circolazione della merce nel territorio dello Stato senza il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta all’importazione.
Ne consegue che, al pari del reato di contrabbando, il reato di evasione dell’Iva all’importazione e’ configurabile nei confronti di tutti coloro che, venuti successivamente in possesso della merce che non ha assolto il tributo, cooperino nel protrarne la illegittima circolazione anche con la semplice detenzione, senza che sia possibile distinguere tra importatori abusivi iniziali od originari e detentori successivi per effetto di plurimi passaggi (Sez. 3, n. 1564 del 06/11/1985, dep. 1986, Salin, Rv. 171943).
E’ dunque esatta l’affermazione del ricorrente secondo la quale, sul piano logico, l’Iva all’importazione, anche se ritenuta tributo interno sostitutivo di un diritto di confine, e’ caratterizzata dalla medesima finalita’ del dazio doganale: impedire che, mediante l’acquisto all’estero e l’importazione nel territorio dell’Unione, gli interessi economici e fiscali dello Stato, o meglio dell’Unione Europea, vengano pregiudicati.
2.3. Nonostante l’inquadramento dell’illecito nella categoria dei reati permanenti, la prescrizione deve ritenersi comunque maturata.
Come e’ stato esattamente rilevato in sede di discussione, la permanenza del reato e’ cessata con il sequestro dell’imbarcazione che ha segnato il momento consumativo del reato stesso.
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