Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 15 febbraio 2018, n. 7278. Non basta affermare l’amenità del luogo e l’irradiazione solare per far scattare il danno al proprietario dell’appartamento sottostante, quale parte civile, per il sottotetto abusivo

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5. In particolare, la sentenza ha premesso che: 1) la richiesta di concessione edilizia presentata dall’ (OMISSIS) il (OMISSIS) – che conteneva espresso richiamo alla L. reg. n. 15 del 2000 in tema di recupero abitativo dei sottotetti, della quale si voleva evidentemente beneficiare – attestava falsamente la presenza di un terrazzo coperto nell’angolo sud-ovest dell’immobile di cui era prossimo all’acquisto, con indicazione di relative altezze di gronda e di colmo; 2) il successivo (OMISSIS), peraltro, il ricorrente – senza attendere la definizione della precedente pratica – aveva proposto istanza di permesso di costruire in sanatoria, concernente il recupero abitativo del medesimo sottotetto; il (OMISSIS), il (gia’) coimputato (OMISSIS) – responsabile dell’ufficio tecnico comunale – aveva rilasciato il permesso in sanatoria n. 65/02, che attestava tra l’altro, l’esistenza del sottotetto stesso alla data del (OMISSIS) (data ultima per poter beneficiare degli effetti della gia’ citata L. reg. n. 15 del 2000).
6. Cio’ premesso, la sentenza impugnata – cosi’ confermando il primo decisum – ha rilevato che il compendio probatorio aveva dimostrato, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, l’inesistenza del sottotetto in esame in epoca anteriore al (OMISSIS) e, del pari, la sicura falsita’ dei grafici prodotti a corredo dell’istanza di concessione. Ancora, la pronuncia ha evidenziato l’inesistenza del sottotetto anche al (OMISSIS), come emergeva dalla mancata menzione dello stesso nel contratto preliminare di compravendita del (OMISSIS), tra tale (OMISSIS) ed il ricorrente, quel che neppure questo pare aver mai contestato. Di seguito, il Collegio di merito ha sottolineato che la diversa tesi difensiva, basata sulla preesistenza di un vano coperto fatiscente e poi crollato, non aveva trovato alcun riscontro dibattimentale, neppure da parte dei testi a discarico.
Argomento congruo, logico e fondato su oggettivi riscontri, dunque; quel che, all’evidenza, esclude ogni intervento dell’articolo 129 c.p., comma 2, del quale non ricorre il necessario presupposto dell’evidenza della “non colpevolezza”. E senza che, peraltro, a tale difforme conclusione si possa pervenire attraverso un nuovo esame delle testimonianze indicate nel ricorso, poiche’ inammissibile in questa sede; al riguardo, infatti, occorre ribadire che il controllo del Giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
7. Del pari, quanto alla qualificazione giuridica della condotta, rileva il Collegio che la doglianza qui proposta non puo’ esser accolta; come ben affermato dalla Corte di merito, infatti, l’istanza presentata nel (OMISSIS) aveva comunque avviato l’iter amministrativo che aveva poi condotto alla concessione edilizia in sanatoria n. 65/2002 (al punto che – come ben si legge nella prima sentenza – la richiesta di concessione edilizia in sanatoria era stata espressamente indicata dal ricorrente come “identica riproposizione dei lavori da realizzarsi” con la precedente pratica del (OMISSIS)), si’ da contribuire casualmente non solo al falso ex articolo 483 c.p., ma anche al contestato falso per induzione, consumato attraverso la produzione di documentazione (che forniva una inesatta informazione sullo stato dei luoghi) concretamente idonea a trarre in inganno i componenti della commissione comunale, che avevano poi rilasciato la concessione in sanatoria.
Dal che, l’infondatezza del motivo di gravame.
8. Con riguardo, invece, all’ultima censura, in punto di statuizioni civili, ritiene la Corte che la stessa debba essere accolta, si’ da imporsi sul punto l’annullamento della sentenza con rinvio.
Al riguardo, occorre premettere che i Giudici del merito, pur pervenendo sul punto alla medesima conclusione, hanno seguito percorsi logici differenti; mentre infatti il Tribunale aveva riconosciuto l’esistenza di un danno in favore della parte civile (proprietaria di un immobile al piano terra del fabbricato) “derivante dall’appesantimento della struttura conseguente all’abusiva realizzazione del sottotetto e dal turbamento dell’euritmia della costruzione”, la Corte di appello ha superato tali caratteri, sostenendo al riguardo sufficiente un danno solo potenziale (“L’abuso edilizio…ha integrato un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose per il proprietario dell’appartamento sito nello stesso edificio”) o, comunque, legato a profili diversi da quelli valorizzati dal primo Giudice (“Anche a voler prescindere da problemi statici e di sicurezza…un aumento di volumetria dell’appartamento sovrastante e’ idoneo a comportare una diminuzione di amenita’ del luogo a causa dell’aumento della rumorosita’ e un danno figurativo per il condomino derivante dalla minore irradiazione solare”).
Orbene, tali affermazioni non possono essere accolte.
Quanto al danno potenziale, infatti, lo stesso (pur sufficiente in linea astratta, come da Sez. 3, n. 36350 del 23/3/2015, Bertini, Rv. 265637) risulta del tutto slegato da una verifica concreta, invero neppure richiamata; ossia, non si specifica in forza di quale rapporto l’abuso edilizio (relativo ai reati contestati) sarebbe idoneo a cagionare un danno al bene di proprieta’ della parte civile, anche solo in via potenziale. Quanto, poi, al riferimento all’amenita’ del luogo o all’irradiazione solare, trattasi di affermazioni all’evidenza apodittiche, con riguardo alle quali manca ogni riferimento istruttorio o significativo dato di fatto.
Dal che, l’annullamento della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, e rigetto nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Rigetta nel resto il ricorso.

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