Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 24 ottobre 2017, n. 25105. Ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere

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2. Non sussiste l’inammissibilita’ del ricorso ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto dell’esposizione sommaria del fatto, in quanto nel predetto atto sono sufficientemente riportati, sia pure in modo molto sintetico, i fatti di causa e va, pertanto, disattesa l’eccezione sollevata al riguardo dal controricorrente.
3. L’unico motivo del ricorso e’ cosi’ rubricato: “Violazione dell’articolo 360 c.p.c., sub 3 per violazione di legge e n. 5 per omesso esame di fatti decisivi discussi tra le parti in causa, in relazione agli articoli 2043 e 2051 c.c.; ed altresi’ articoli 100 e 112 c.p.c. non essendo mai entrato in causa il tema della insindacabilita’ delle scelte della P.A. in materia di strade”.
La ricorrente ha precisato (v. p. 3 e sgg. del ricorso) che l’impugnazione proposta in questa sede si riferisce alla domanda proposta da detta parte e volta ad ottenere la condanna del Comune di Padova ad eseguire i lavori necessari per la manutenzione e l’adeguamento della rete fognaria di quel Comune, in (OMISSIS), (OMISSIS),e al capo della sentenza di secondo grado relativo al rigetto di tale domanda.
Con il mezzo all’esame (OMISSIS) S.r.l. ha in particolare censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto non consentita la condanna del Comune ad un facere, per la genericita’ della domanda, per la necessita’ di dover aver riguardo a molteplici interessi in gioco, oltre a quelli dell’attuale ricorrente, e perche’ una statuizione di condanna coinvolgerebbe molteplici interessi pubblici, interferendo con scelte della P.A. nella specifica materia. Ad avviso di (OMISSIS) S.r.l., tale motivazione sarebbe erronea, generica, tanto da non consentire di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte nel rigettare la domanda in parola, e si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza in materia; inoltre, la ricorrente contesta che la domanda non sia specifica circa i lavori da eseguire, sostenendo che sul punto e’ specifica e chiara la c.t.u. e che comunque non spetta al privato suggerire “i sistemi di intervento dovendo provvedervi l’obbligato, o… il Giudice in sede di esecuzione ex articolo 612 c.p.c.”; deduce che la Corte di appello sarebbe andata ultra ed extra petita, non avendo sollevato il Comune alcuna eccezione circa la possibilita’ di una sua condanna ad un facere; lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe “sommaria, generica, composta di frasi fatte, con violazione degli articoli 100 e 112 c.p.c.” oltre che “in contraddizione, con quanto, a proposito della responsabilita’ del Comune”, affermato a p. 16 e 17.
3.1. Il motivo non puo’ essere accolto.
3.2. E’ pur vero che questa Corte ha piu’ volte affermato che l’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, puo’ essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere, giacche’ la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attivita’ soggetta al rispetto del principio del neminem laedere; ne’ e’ di ostacolo il disposto del Decreto Legislativo n. 80 del 1998, articolo 34 come sostituito della L. n. 205 del 2000, articolo 7 la’ dove devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia giacche’, a seguito dell’intervento parzialmente caducatorio recato dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, nell’attuale assetto ordinamentale, la giurisdizione esclusiva nella predetta materia non e’ estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento degli interessi pubblici alla cui tutela sia preposta (Cass., sez. un., ord., 14/03/2011, n. 5926; Cass., sez. un., ord., 13/12/2007, n. 26108). Pertanto la motivazione della sentenza impugnata, a p. 19, righi 13,14 e 15 va corretta in senso conforme alla richiamata giurisprudenza di legittimita’, secondo cui appunto deve ritenersi, in via generale, che l’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, puo’ essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere, giacche’ la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attivita’ soggetta al rispetto del principio del neminem laedere.
3.3. Quanto precede, tuttavia, non comporta l’accoglimento del ricorso, atteso che la Corte di merito, nella specie, ha comunque rigettato la domanda di condanna ad un facere della P.A. sulla base di un accertamento in fatto, evidenziando peraltro che nel caso all’esame si verte in tema di un’attivita’ discrezionale della P.A.; e tale accertamento non e’ censurabile in questa sede.
3.4. Va rimarcato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla societa’ ricorrente, il Comune, gia’ nella comparsa di costituzione in primo grado ha, nella specie, comunque eccepito l’insussistenza dei presupposti per la condanna dell’Amministrazione comunale ad un facere, come rappresentato nel controricorso a p.11.

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