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Sulla base di quanto in fatto ricostruito dalla sentenza impugnata, devono ritenersi all’evidenza infondate le critiche del ricorrente in ordine alla mancanza degli elementi tipici della fattispecie penale contestata, proponendo piuttosto le censure una rivisitazione del quadro probatorio, non consentita in questa sede.
3.2. Ad identiche conclusioni deve pervenirsi per il terzo motivo, in cui si prospetta una visione della vita familiare che dovrebbe giustificare i comportamenti posti in essere dal ricorrente.
Nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (tra tante, Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794).
Anche su tale punto la risposta della Corte di appello ad analoga questione versata dal ricorrente nell’appello appare quindi corretta.
3.3. La stessa Corte territoriale ha infine correttamente affrontato anche il tema dell’elemento soggettivo, ponendo in evidenza gli elementi dimostrativi del dolo generico.
Nel reato abituale, il dolo non richiede infatti – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (tra tante, Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D’A, Rv. 259677).
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della cassa delle ammende

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