Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 31 ottobre 2017, n. 49997. Nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti

Nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari. (Confermata, nella specie, la condanna nei confronti dell’imputato, al quale era stato contestato di aver maltrattato la moglie, rendendole la vita impossibile, con ripetute percosse, minacce di morte e condotte di intimidazione psicologica e vessazione, atteggiamenti di umiliazione e svilimento, quali volerle impedire di svolgere attività lavorativa).

CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
SENTENZA 31 ottobre 2017, n.49997
Pres. Conti – est. Calvanese
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con la sentenza, indicata in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha parzialmente riformato la sentenza di condanna emessa nei confronti di B.A. per i reati di cui agli artt. 572 e 612 cod. pen., dichiarando per il secondo reato non doversi procedere perché estinto per difetto di querela e rideterminando la pena per il restante reato, nonché confermando le statuizioni civili.
All’imputato era stato contestato di aver maltrattato la moglie, rendendole la vita impossibile, con ripetute percosse, minacce di morte e condotte di intimidazione psicologica e vessazione, atteggiamenti di umiliazione e svilimento, quali volerle impedire di svolgere attività lavorativa.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, chiedendo l’annullamento della suddetta sentenza per violazione di legge, in quanto il quadro probatorio sarebbe basato soltanto sulle dichiarazioni della persona offesa, prive di riscontri esterni ed estremamente ondivaghe e generiche, quanto all’oggetto delle condotte illecite; difetterebbe inoltre l’abitualità dei comportamenti costituenti l’elemento oggettivo del reato, in quanto in 11 anni di convivenza sarebbero stati indicati dalla persona offesa solo pochissimi episodi, soltanto litigi e diverbi tra coniugi slegati tra loro, e sarebbero state pretermesse le deposizioni a favore dell’imputato, che definivano i coniugi una coppia normale, dando credito invece a testi che avevano riferito quanto appreso dalla stessa persona offesa, nonché si sarebbe dato adito a supposizioni prive di fondamento, là dove l’unica programmazione rinvenibile era quella della persona offesa di voler anteporre il lavoro alla famiglia; la Corte di appello avrebbe sussunto una errata concezione della famiglia tutelata dalla norma penale, avulsa dalla realtà (avendo la persona offesa scelto di vivere da single, senza legami, dedicandosi al lavoro, senza alcun obbligo nei confronti degli altri componenti del nucleo familiare e nei confronti del marito invalido); difetterebbe altresì l’elemento soggettivo, in assenza della prova di un programma criminoso animato da volontà unitaria di vessare la moglie (così enunciati i motivi nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.).
3. Il ricorso è da ritenersi inammissibile in ogni sua articolazione.
Il ricorrente – a fronte di un duplice conforme specifico apprezzamento in fatto dei due Giudici del merito, sorretto da motivazione non apparente ed immune dai vizi che rilevano ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. – si è limitato a proporre deduzioni difensive che si risolvono nella mera reiterazione di questioni già dedotte e risolte in sede di appello e nella sollecitazione ad una diversa valutazione del quadro probatorio, del tutto preclusa in questa sede di legittimità.

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