In tema di obbligo contributivo l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti fissati in sede civile, per assumere efficacia scriminante, deve essere assoluta e deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. VI PENALE
SENTENZA 27 settembre 2017, n.44632 – Pres. Conti – est. Giordano
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
La Corte di appello di Bari, con sentenza del 6 novembre 2015, ha confermato la condanna di Lu. Pa. alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa, quindi alle statuizioni in favore della parte civile, per il reato di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza in favore del figlio minore, perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ometteva di corrispondere ad Or. Pa., a titolo di assegno divorzile dovuto per il mantenimento del figlio, la somma di Euro 500,00 stabilita dall’autorità giudiziaria con sentenza del 10-16 ottobre 2006, in Foggia nei mesi di agosto e dicembre 2008 e gennaio 2009.
Con i motivi di ricorso affidati al difensore di fiducia e di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., l’imputato denuncia vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato, poiché la Corte di merito ha travisato le dichiarazioni rese dalla parte civile e dalla madre di costei, sulla sussistenza dello stato di bisogno della persona offesa, sulla privazione dei mezzi di sussistenza, per effetto del mancato adempimento, soltanto per alcuni mesi, dell’obbligo contributivo imposto all’imputato, infine, sulla effettiva sussistenza della capacità economica del Pa. nel periodo in questione. In particolare rileva che dalle dichiarazioni acquisite emerge che la ex coniuge percepiva uno stipendio fisso dal 2006 al 2011; abitava stabilmente con i genitori e godeva del reddito derivante dalla locazione di un immobile, dell’importo di cinquecento Euro mensile, e che anche il figlio, in considerazione della patologia dalla quale era affetto, era destinatario di un assegno di accompagnamento, circostanze di fatto, queste evincibili dalle dichiarazioni rese dalla Pa. e non contestate dalla ex suocera che mai aveva sostenuto che al nipote, in conseguenza dell’inadempimento paterno, fosse derivata la mancanza dei mezzi di sussistenza. Analogamente la Corte aveva travisato le dichiarazioni rese dalla parte civile e dagli altri testi escussi che avevano confermato che l’imputato aveva perso il precedente posto di lavoro, come cameramen e fotografo e che avevano sostenuto che il Pa. svolgeva attività lavorativa con altro studio fotografico, senza avere formalizzato il rapporto di lavoro, solo in via presuntiva e non per diretta constatazione. Con il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 523 e 82, comma 2, cod. proc. pen., per la conferma delle statuizioni civili poiché la mancata presentazione e costituzione della parte civile nel giudizio di appello aveva comportato la tacita revoca della costituzione di parte civile non avendo la parte presentato le relative conclusioni scritte in esito al giudizio di appello per il quale era stata ritualmente citata.
Il ricorso è inammissibile per la genericità, aspecificità e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. Non appare configurabile, nei termini nei quali è stato dedotto, il travisamento della prova dichiarativa costituita dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla madre di costei. Ed invero, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, come nel caso in esame, o nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Bu. e altri, Rv. 256837), ipotesi che non vengono neppure allegate nel ricorso poiché, invece, i passaggi argomentativi nei quali sono state richiamate le dichiarazioni rese dalle testi escusse sono sostanzialmente orientati a riprodurre una serie di argomentazioni già esposte in sede di appello, e finanche dinanzi al Giudice di primo grado, argomentazioni che risultano ampiamente vagliate e disattese dai Giudici di merito che hanno richiamato, a riscontro delle dichiarazioni rese dalla parte civile e dalla madre, le dichiarazioni rese da soggetti estranei al nucleo familiare. Le deduzioni difensive, dunque, sono intese a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la motivazione della decisione impugnata.
La Corte di merito, in particolare, ha evidenziato che l’imputato, contravvenendo alle prescrizioni recate dalla sentenza di divorzio, aveva omesso di corrispondere per alcuni mesi l’assegno di mantenimento stabilito in favore del figlio minore e si è soffermata sullo stato di bisogno che tale omissione aveva determinato sul complessivo stato economico e finanziario della ex moglie, a cui favore l’assegno era posto, tenuto conto anche delle condizioni personali del figlio minore, affetto da grave disabilità, condizione che è valsa ad accentuarne, come evidenziato dalla Corte di appello, il naturale stato di bisogno e che comportava per la parte civile, Or. Pa., la continua necessità di rivolgersi alla propria madre per assistenza economica, oltre che materiale, onde far fronte alle necessità del figlio, solo alleviate dall’assegno di accompagnamento di cui pure il minore era destinatario.
Si appalesano generiche e manifestamente infondate anche le censure che investono la ritenuta insussistenza di condizioni economiche dell’imputato tali da rendere impossibile, o comunque, incolpevole l’adempimento della prestazione. L’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti fissati in sede civile, per assumere efficacia scriminante, deve, infatti, essere assoluta e deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti. Nel caso in esame, come concordemente osservato dai Giudici di merito, l’imputato non solo non ha offerto alcuna dimostrazione di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza, limitandosi ad una mera allegazione in tal senso, ma, soprattutto, i giudice del merito hanno escluso che il ricorrente versasse in , condizioni economiche tali da rendere materialmente impossibile l’ottemperanza alle statuizioni civili impostegli poiché, pur avendo perso il lavoro alle dipendenze, continuava a svolgere attività lavorativa, sia pure saltuaria, secondo le concordi dichiarazioni rese dai testi escussi e non solo dalla parte civile e dalla madre di costei, sicché non sussistevano condizioni di fatto che si risolvevano nella impossibilità di adempiere all’obbligo contributivo.
Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso in presenza del chiaro enunciato di questa Corte secondo cui la mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile, per il principio dell’immanenza della costituzione, non può essere interpretata come revoca tacita o presunta di questa (Sez. 6, n. 25723 del 06/05/2003, Ma., Rv. 225576) e tenuto conto che la disposizione di cui all’art. 82, comma secondo, cod. proc. pen. vale solo per il processo di primo grado ove, in mancanza delle conclusioni non si forma il petitum sul quale il giudice possa pronunziarsi, mentre invece le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato e grado del processo. (Sez. 2, n. 24063 del 20/05/2008 , Qu. e altro, Rv. 240616).
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro duemila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende
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