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le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo;
il presente giudizio è stato introdotto in primo grado con ricorso depositato il 2.12.2009; ad esso si applica pertanto il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., come novellino dall’art. 45, comma 12, della legge n. 69/09, in base al quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche diffido, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”;
presupposto per l’applicazione dell’art. 96, comma terzo, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, è l’avere agito o con mala fede, o senza attivarsi con l’ordinaria diligenza per acquisire una ragionevole previsione sulla fondatezza della propria pretesa;
nel caso di specie, la ricorrente ha proposto un ricorso nel quale ha formulato una pretesa insostenibile: ovvero che la persona legata da un rapporto di lavoro subordinato all’assegnatario d’un alloggio di edilizia residenziale pubblica, ha diritto a succedere nel rapporto di locazione alla morte dell’assegnatario;
la ricorrente, in definitiva, ha proposto un ricorso manifestamente infondato, e da ciò deriva che delle due l’una: o la ricorrente – e per lei il suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex art. 2049 c.c. – ben conosceva l’insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata (condotta che, ovviamente, l’ordinamento non può consentire); ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperata con la exacta diligentia esigibile (in virtù del generale principio desumibile dall’art. 1176, comma 2, c.c.) da chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata quale è quella dell’avvocato in generale, e dell’avvocato cassazionista in particolare (ex aliis, Sez. 3 -, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016);
ritiene perciò questa Corte che la ricorrente vada condannata d’ufficio, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, al pagamento in favore della parte intimata, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno;
tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza;
il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma i quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna A.A.H. al pagamento in favore del Comune di Genova, ex art. 96 c.p.c., della somma di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza;
(-) condanna A.A.H. alla rifusione in favore del Comune di Genova delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di A.A.H. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per l’impugnazione.
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