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Ed e’ in tale ottica, innanzitutto, che si spiega l’invocata sentenza delle SSUU la cui ratio decidendi e’ racchiusa nell’affermazione (§ 4) secondo la quale una preclusione del ricorso per errore di fatto al prosciolto per prescrizione ma “condannato” agli effetti civili, “offrirebbe il destro per avanzare fondati dubbi di legittimita’ costituzionale – ove il sistema prefigurasse un rimedio per un tipo solo di condanna e lo precludesse per l’altro, per di piu’ a differenza di quanto e’ previsto al riguardo nel processo civile. Si assisterebbe, infatti, ad una irragionevole disparita’ di trattamento, giacche’ mentre, ove l’azione di danno fosse stata esercitata in sede propria, la parte sarebbe ammessa a far valere l’errore di fatto della Corte di cassazione attraverso i rimedi previsti dal codice di procedura civile (ndr: articolo 395 c.p.c., comma 1, n. 4), lo stesso diritto non sarebbe esercitabile in caso di azione civile esercitata nel processo penale”.
Le cit. SSUU, quindi, hanno, expressis verbis, inteso colmare, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, una lacuna al fine di evitare la disparita’ di trattamento fra quanto previsto in sede civile e quanto stabilito in sede penale.
La suddetta situazione, invece, non e’ ipotizzabile per l’istituto della revisione che ha, in sede civile, il suo pendant, nella revocazione, sicche’, si spiega il motivo per cui il legislatore non ha inteso ammettere la revisione contro sentenze di proscioglimento che – seppure contengano un giudizio di colpevolezza – non arrechino all’imputato alcun pregiudizio di natura sanzionatoria o latamente penalistica.
Se cosi’ non fosse e si accedesse alla tesi del ricorrente, la revisione istituto di netta ed esclusiva rilevanza penalistica – si trasformerebbe, di fatto, in una surrettizia ed anomala revocazione (articolo 395 c.p.c.) del capo riguardante le statuizioni civili con la paradossale conseguenza che il prosciolto, come nel caso in esame, potrebbe ottenere la revisione del processo per una ipotesi (nuove prove) non prevista e, quindi, inammissibile in ambito civilistico ove il processo per la responsabilita’ civile si fosse svolto in quella sede: infatti, la revocazione della sentenza civile puo’ essere ammessa, fra l’altro, o per falsita’ delle prove “riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza” (articolo 395 c.p.c., comma 1, n. 2: ed e’ pacifico che la falsita’ dev’essere accertata con sentenza passata in giudicato) o sulla base di “documenti decisivi” (articolo 395 c.p.c., comma 1, n. 3), ossia solo per fattispecie molto piu’ restrittive di quelle previste per la revisione della sentenza penale.
La revisione, quindi, sarebbe strumentalizzata non per conseguire un beneficio di natura penalistica (ossia l’eliminazione di una sanzione sia pure latamente penalistica) ma un semplice beneficio di natura civilistica.
Ne’ varrebbe obiettare che il prosciolto non avrebbe altro modo per rimediare ad una sentenza “ingiusta” che lo pregiudichi sia pure sotto solo il profilo civilistico, essendo costretto a “subire” l’insindacabile scelta processuale della persona offesa che, invece di far valere le proprie ragioni in sede civile, preferisca tutelarle nel processo penale costituendosi parte civile.
In realta’, a tale obiezione, in astratto fondata, si deve replicare osservando che l’eventuale declaratoria di prescrizione e’ la conseguenza di una precisa scelta processuale dell’imputato che, pur avendo interesse ad ottenere una sentenza di merito, non ritenga di rinunciare alla prescrizione.
Infatti, laddove l’imputato rinunci alla prescrizione, potrebbe conseguire un duplice risultato: nel caso di assoluzione (per insussistenza del fatto e per non averlo commesso), anche le pretese della parte civile sarebbero respinte; in caso di condanna, invece, avrebbe la possibilita’, in presenza dei requisiti di legge, di promuovere istanza di revisione e, conseguentemente, travolgere, in caso di accoglimento, anche le statuizioni civili.
Il sistema, ha, quindi, una sua intrinseca coerenza nel non consentire la revisione di una sentenza penale a chi sia stato prosciolto per prescrizione del reato e da questa sentenza – che avrebbe potuto evitare rinunciando alla suddetta causa estintiva – non abbia subito alcuna conseguenza di natura sanzionatoria o latamente penalistica, tale non potendosi considerare, per le ragioni esposte, la condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile.
10. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, alla stregua del seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’articolo 6 CEDU per sentenza di condanna deve intendersi ogni provvedimento con il quale il giudice, al di la’ del nomen iuris, nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva.
Di conseguenza, non e’ suscettibile di revisione la sentenza di proscioglimento dell’imputato per estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, in quanto la condanna al risarcimento del danno, avente natura riparatoria, non puo’ essere considerata sanzione punitiva e, quindi, latamente “penale””.
P.Q.M.
RIGETTA i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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