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2. La tesi contraria alla revisione e’ quella sicuramente maggioritaria: ex plurimis, Cass. 4231/1992; Cass. 1672/1992; Cass. 15973/2004; Cass. 2393/2011 Rv. 249781; Cass. 24155/2011 Rv. 250631; Cass. 2656/2017 Rv. 269528.
Gli argomenti che vengono addotti sono i seguenti:
la revisione e’ configurata dal codice di rito come un mezzo di impugnazione straordinario preordinato al “proscioglimento” della persona gia’ condannata in via definitiva; presupposto indefettibile per esperire il rimedio straordinario della revisione di cui all’articolo 629 cod. proc. pen. e’, per espressa previsione normativa, l’esistenza di una sentenza di condanna o di un decreto penale di condanna ovvero di una sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 cod. proc. pen., e non, quindi, di una sentenza di proscioglimento come, peraltro, si trova scritto nella Relazione al cod. proc. pen.;
– l’articolo 629 cod. proc. pen. prevede la revisione “…anche se la pena e’ gia’ eseguita o estinta”: il che significa che il concetto di “pena” implica una condanna e il rifermento all’estinzione riguarda appunto la pena inflitta e non gia’ il reato atteso che la dichiarazione di estinzione esclude, ovviamente, ogni pena;
– la revisione e’ finalizzata a “prosciogliere” il soggetto condannato: non puo’, quindi, ritenersi ammissibile rispetto ad una sentenza di proscioglimento, quale quella in forza della quale sia stata dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione (articolo 531 cit.), sia pure accompagnata da una statuizione di condanna a carico dell’imputato ai soli fini civilistici, ostandovi, valutato il complessivo sistema normativo, il principio di tassativita’ di cui all’articolo 568 c.p.p., comma 1, e non essendo, pertanto, possibile una applicazione in termini analogici alla ipotesi della (sola) condanna civile.
3. La tesi favorevole alla revisione e’ sostenuta, invece, sia pure isolatamente, dalla sentenza n. 46707/2016 cit. con la cui motivazione la Corte mostra di condividere l’opinione secondo la quale “la revisione sia un mezzo, sia pur straordinario, di impugnazione e che essa sia dunque soggetta al principio di tassativita’ di cui all’articolo 568 c.p.p., comma 1. Ed e’ altrettanto indiscutibile che, riguardando l’articolo 629 c.p.p. soltanto le sentenze di condanna e di patteggiamento, quelle di proscioglimento non siano suscettibili di revisione, come per l’appunto costantemente ribadito da questa Corte”.
Il dissenso con l’opinione maggioritaria, invece, e’ relativo al significato da attribuire al sintagma “sentenze di condanna” (articolo 629 c.p.p.) e al lemma “condannato” ossia al soggetto legittimato, ex articolo 632 cod. proc. pen. a proporre l’istanza e di cui il legislatore non ha fornito una precisa definizione. Secondo la suddetta tesi, infatti, poiche’ non sarebbe “dubitabile che la soccombenza dell’imputato nei confronti della parte civile venga veicolata da una pronunzia di condanna che presuppone l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il fatto di reato, come espressamente stabilito dagli articoli 538 e 539 c.p.p.” ne deriverebbe che lo stesso imputato sia “condannato” alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
In definitiva, “le locuzioni che delimitano soggettivamente ed oggettivamente la sfera di applicabilita’ del rimedio straordinario di cui si tratta, non possono allora essere arbitrariamente scandite in ragione del tipo di condanna subita dall’imputato, giacche’ l’essere stato costui convenuto in giudizio tanto sulla base della azione penale quanto in forza della azione civile esercitata nel processo penale, non puo’ che comportare una ontologica identita’ di diritti processuali, a meno che la legge espressamente non distingua i due profili. Ma di tale distinzione non v’e’ traccia nel testo dell’articolo 629 c.p.p., ne’ puo’ dirsi ricavabile una qualsiasi incompatibilita’ logica o strutturale della norma a consentire la revisione al condannato solo per gli interessi civili. In definitiva non e’ necessario ricorrere all’analogia od evocare la potenziale incoerenza costituzionale del dettato normativo di riferimento per ammettere che la condanna per la responsabilita’ civile pronunziata nel processo penale sia assoggettabile a revisione secondo le regole del rito penale, atteso che tale eventualita’ gia’ discende dalla stessa lettera della legge processuale”.
Ulteriore argomento, infine, e’ tratto dalla sentenza n. 28719/2012 rv 252695 con la quale le Sezioni Unite hanno affermato la legittimazione del prosciolto condannato agli effetti civili ad esperire il ricorso straordinario ex articolo 625-bis c.p.p., disposizione che parimenti evoca, per l’appunto, la figura del “condannato” senza precisare oltre.
4. Questa Corte ritiene di aderire alla tesi maggioritaria che, nella fattispecie in esame, nega l’ammissibilita’ della revisione.
Le ragioni “formali” per le quali non e’ ammessa la revisione sono state illustrate con la sentenza n. 2656/2017 cit. che questo Collegio condivide e alla quale, quindi, si rinvia.
Questa Corte, invece, intende portare la propria attenzione su quello che appare essere il punto nodale intorno al quale ruota tutta la questione e sul quale ha fatto leva la sentenza n. 46707/2016 cit. per sostenere l’ammissibilita’ della revisione.
Si tratta, infatti, di stabilire cosa si debba intendere per “sentenza di condanna” ex articolo 629 cod. proc. pen. e per “condannato” ossia il soggetto al quale l’articolo 632 cod. proc. pen. accorda la legittimazione a chiedere la revisione.
Sul punto, e’ ben noto che questi due concetti hanno assunto – a seguito dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte Costituzionale e della Corte EDU un significato ben piu’ ampio di quello strettamente letterale.
5. La giurisprudenza della Corte EDU, fin dagli anni settanta del secolo scorso, con la storica sentenza Engel (8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi § 82 e, successivamente, con la sentenza Ozteirk c. Germania del 21/02/1984, § 50 ss ed altre) elaboro’ i criteri in base ai quali, una pronuncia, ai sensi dell’articolo 6 CEDU, deve ritenersi comunque di natura penale al di la’ del dato formale con quale sia stata emessa, indicando tre alternativi criteri, ossia: “la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severita’ della “sanzione””.
6. Anche la giurisprudenza costituzionale, nel porsi in chiara ed esplicita linea di continuita’ con quella Cedu, ha adottato una nozione di sentenza di condanna ben piu’ ampia di quella meramente formale, avendo ritenuto come “sentenze di condanne” tutte quelle sentenze che, in un modo o nell’altro, arrechino “all’imputato significativi pregiudizi, sia di ordine morale che di ordine giuridico”: Corte Cost. n. 85/2008.
Concetti, questi, ribaditi nelle successive sentenze n. 239/2009 e 49/2015 aventi ad oggetto la tormentata vicenda dell’ammissibilita’ della confisca urbanistica a seguito di una sentenza di proscioglimento per prescrizione.
Infatti, il Giudice delle Leggi, in specie nella sentenza n. 49/2015 – nel richiamare i principi enunciati dalla cit. sentenza Engel – ribadi’ che “nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilita’ logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilita’” e che il sintagma “sentenza di condanna” va inteso, al di la’ del dato formale, in senso sostanziale e cioe’ come una pronuncia a seguito della quale sia inflitta all’imputato una sanzione, dovendosi valutare non la forma della pronuncia, ma la sostanza dell’accertamento.
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