Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 12 marzo 2018, n. 5900. Il decreto di espropriazione per pubblica utilita’ incide sull’oggetto ma non sulla natura del diritto espropriato e, pertanto, il diritto reale degli espropriati si trasferisce sulla somma di cui e’ previsto il deposito prima che venga emesso il decreto

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3.3. Puo’ forse apparire enfatico che in questa cornice con formula antica, ma indiscutibilmente efficace si continui a dipingere l’assemblea “quale organo sovrano della volonta’ dei condomini” (Cass., Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199), ma cio’ aiuta a comprendere che nell’assetto attuale il modo attraverso il quale si attua la partecipazione del singolo alle decisioni comuni segue elettivamente la via assembleare. La collegialita’ che e’ insita nell’adozione del metodo assembleare e che presuppone che tutti i condomini siano posti in condizione di esprimere, mediante il voto, il loro giudizio in ordine agli affari comuni non puo’ tuttavia restare prigioniera del volere del singolo, onde in questo disegno, che intende evitare che la dialettica assembleare si risolva in danno di un’efficiente gestione dei beni comuni, la regolazione dell’attivita’ deliberativa dell’assemblea in base al principio maggioritario diviene non solo scelta ordinaria, ma scelta pure obbligata. “Le attribuzioni dell’assemblea condominiale riguardano l’intera gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che avviene in modo dinamico e che non potrebbe essere soddisfatta dal modello della autonomia negoziale, in quanto la volonta’ contraria di un solo partecipante sarebbe sufficiente ad impedire ogni decisione” si legge abitualmente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2, 11/01/2012, n. 144), che, non a caso confina le decisioni che richiedono il consenso unanime di tutti i partecipanti agli atti dispositivi dei beni comuni (Cass., Sez. 2, 14/06/2013, n. 15024) o agli atti che incidano sui loro diritti di partecipazione (Cass., Sez. 2, 4/12/2013, n. 27233) o che modificano le regole di funzionamento interno di fonte negoziale (Cass., Sez. U, 30/12/1999, n. 943).

4.1. Posti percio’ questi iniziali paletti (centralita’ dell’assemblea nell’organizzazione del condominio; adozione del principio maggioritario quale regola deliberativa ordinaria; residualita’ del consenso unanime) vien facile scorgere l’errore – e perfino la contraddizione – che vizia il ragionamento in diritto del giudice gravato e che, ove fosse portato alle sue estreme conseguenze, sortirebbe a dir poco esiti addirittura paradossali. Se fosse infatti credibile che in relazione ad una vicenda quale quella oggi in giudizio l’amministratore del condominio, onde opporsi alla stima delle indennita’ dovute, necessitasse del consenso unanime dei singoli condomini e non potesse agire in base ad una deliberazione maggioritaria, l’effetto sarebbe che basterebbe il dissenso anche di un solo condomino per rendere inoppugnabile la stima e ad obbligare il condominio ad accettare una indennita’ in ipotesi anche irrisoria.

4.2. Ma la tesi fatta propria dal decidente, logicamente opinabile, non si regge neppure in diritto.

A parte la considerazione che la preoccupazione di salvaguardare l’autonomia decisionale del singolo condomino in materia di liti condominiali (“deve essere riservata a ciascun condomino la scelta se promuovere o meno il giudizio riguardante la quantificazione dei proprio indennizzo in modo difforme da quanto stabilito dall’autorita’” scrive il decidente) non trova, piu’ generalmente, risposta nella necessita’ che le deliberazioni relative siano adottate con il consenso unanime di tutti, ma nella disciplina della separazione delle responsabilita’ in ordine alle conseguenze negative della lite di cui e’ espressione l’articolo 1132 c.c., la Corte fiorentina, che pur non trascura di riconoscere – ancorche’ negandone la ricorrenza nella specie (“nella presente vicenda non vi e’ piu’ alcun immobile condominiale da gestire”) – che la competenza assembleare attenga segnatamente alla gestione dei beni comuni, omette tuttavia di trarre dal precedente di questa Corte (Cass., Sez. 7, 24/03/2011, n. 6873), pure da essa citato, tutte le conseguenze di cui questo si mostra foriero con riguardo alla specie in giudizio, errore tanto piu’ censurabile quanto piu’ si riflette che e’ la stessa Corte fiorentina a precisare che intervenuta la determinazione dell’indennita’ i diritti reali dei singoli condomini sull’area espropriata “si sono trasferiti dal bene al denaro, ferma restando la comunione tra i compartecipi sino al momento della successiva suddivisione in quote”.

4.3. Giova allora ribadire che, come si ritenne nell’occasione riferita, questa Corte ebbe modo di sostenere che “il decreto di espropriazione per pubblica utilita’ incide sull’oggetto ma non sulla natura del diritto espropriato e, pertanto, il diritto reale degli espropriati si trasferisce sulla somma di cui e’ previsto il deposito prima che venga emesso il decreto. Ove si versi nell’ipotesi di comproprieta’ indivisa del bene, la comunione permane sull’indennita’ fino al momento in cui questa sara’ divenuta definitiva e ne sara’ disposto lo svincolo dall’autorita’ giudiziaria, sulla base dell’accordo delle parti o in ragione dei diritti degli espropriati”. E’ pacifico, dunque, alla stregua di questo precedente, che sino a che la stima non divenga definitiva e ne sia disposto lo svincolo, la comunione che prima esisteva riguardo al bene si converte nella comunione sull’indennita’ che non cessa per questo di essere bene comune a tutti i suoi partecipanti. E va da se’ allora che, diversamente dall’assunto che ne ha tratto il giudice territoriale, incorrendo in tal modo in una vistosa contraddizione giuridica, che se l’indennita’ e’ comune, ogni questione afferente alla sua gestione non esula dalla competenza che in linea generale il legislatore del condominio ha inteso attribuire alla comunita’ dei condomini riuniti in assemblea riguardo la gestione dei beni comuni. Donde, percio’, a caduta la legittimita’ di una deliberazione maggioritaria – essendo questa la ragola ordinaria, cui soggiace l’adozione delle delibere in materia di beni comuni – che decide di intraprendere la lite relativa alla sua determinazione e la legittimatio ad processum che compete percio’ al suo amministratore – costui essendo l’organo di rappresentanza della comunita’ condominiale – che di cio’ venga officiato, anche solo implicitamente, mediante la designazione del legale incaricato di assisterlo.

5. Cadono in tal modo le contrarie determinazioni enunciate dal giudice d’appello e viene, percio’, anche meno l’eccezione opposta dal controricorrente circa la legittimazione dell’amministratore del condominio ricorrente a promuovere l’odierno giudizio.

6. Accogliendosi, dunque, il ricorso come sopra, la sentenza impugnata andra’ conseguentemente cassata, con assorbimento di ogni altra doglianza anche di parte controricorrente e la causa andra’ rinviata al giudice a quo che avra’ cura nel nuovo giudizio di uniformarsi ai principi di diritti qui affermati, procedendo altresi’ alla regolazione delle spese pure del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Firenze che, in altra composizione, provvedera’ pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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