Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29810. In tema di intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2 della l. n. 287 del 1990

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7.1. I mezzi prendono di mira il fondamento della decisione, in questa sede esaminata, che ha respinto la domanda di nullita’ del contratto impugnato dal sig. (OMISSIS) in quanto il provvedimento della (OMISSIS) (n. B423 del 2 maggio 2005), avendo una sorta di carattere regolamentare, non sarebbe applicabile ai contratti “a valle” conclusi anteriormente alla sua emanazione atteso che il dictum dell’Autorita’ indipendente non inciderebbe sulla legittimita’ delle clausole ma solo sulla loro contrarieta’ alla L. n. 287 del 1990, articolo 2, in conseguenza della loro applicazione uniforme. Sicche’, solo il mancato adeguamento dell’ABI nella predisposizione delle Norme bancarie uniformi (NBU) dovrebbe dirsi illegittimo e potrebbe costituire un comportamento idoneo a determinare la nullita’ dei contratti stipulati successivamente alla pronuncia del controllore pubblico, ove non derogato da comportamento dell’istituto di credito, in specifiche fattispecie negoziali.
8. Il fondamento sostanziale della contrarieta’ di alcune clausole tipiche alle norme imperative non e’ propriamente oggetto di discussione tra le parti, che non contestano il contenuto della pronuncia dell’Autorita’ indipendente, della quale il ricorrente richiama anche la natura di “prova privilegiata” nei giudizi civili intrapresi dai consumatori, ossia della sua “elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale quanto l’astratta idoneita’ della stessa a procurare” loro un danno, senza violazione del principio praesumptum de praesumpto non admittitur, in ordine al fatto che “dalla condotta anticoncorrenziale sia scaturito un danno per la generalita’ (…), nel quale e’ ricompreso, come essenziale componente, il danno subito dal singolo (…).” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11904 del 2014).
8.1. Cio’ che forma oggetto di discussione e’ il fatto che, il contratto stipulato tra il fideiussore (il sig. (OMISSIS)) e la Banca ( (OMISSIS)) il 18 febbraio 2005, non potrebbe essere dichiarato nullo in forza di un dictum (dell’Autorita’ di garanzia) sopravvenuto al patto (il provvedimento della (OMISSIS) n. B423 del 2 maggio 2005) e cio’: a) perche’ la (OMISSIS) aveva invitato l’ABI a trasmettere le circolari emendate al sistema bancario; b) l’illegittimita’ delle singole previsioni contrattuali tipizzate era tale in conseguenza del loro inserimento uniforme nello schema ABI, sicche’ solo il mancato adeguamento dell’Associazione al provvedimento della (OMISSIS) sarebbe comportamento omissivo idoneo a determinare la nullita’ dei contratti stipulati in base alle NBU (norme bancarie uniformi).
9. Il ragionamento della Corte territoriale non e’ condivisibile.
9.1. Nell’arresto delle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 2207 del 2005) e’ gia’ stato precisato che “la legge “antitrust” 10 ottobre 1990, n. 287 detta norme a tutela della liberta’ di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della liberta’ di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti”.
9.2. In quella stessa sede, ha osservato la Corte che, “siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto “ex” articolo 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorche’ non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullita’ dell’intesa e di risarcimento del danno di cui alla L. n. 287 del 1990, articolo 33, azione la cui cognizione e’ rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello”.
10. Orbene, il ricorrente ha portato in giudizio, avanti alla Corte d’appello di Venezia l’esistenza di un danno “a valle” (in conseguenza del contratto, oggetto di esame in questa sede) per effetto dell’intesa vietata (“a monte”), tenuto conto, da un lato che, di fronte ad un’intesa restrittiva della liberta’ di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede svilito (se non calpestato) il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti.
10.1. La richiesta giudiziale del consumatore (ossia, in primis, la possibilita’ di accertare la nullita’ dell’accordo contrattuale) e’ stata radicalmente esclusa dalla Corte territoriale in quanto esso era anteriore (sia pure di pochi mesi) all’esito dell’istruttoria condotta e solo il mancato adeguamento dell’ABI, nella predisposizione delle NBU, dovrebbe dirsi atto omissivo illegittimo e potrebbe costituire un comportamento idoneo a determinare la nullita’ dei contratti stipulati successivamente alla pronuncia del controllore pubblico, ove non derogato dall’istituto di credito in specifiche fattispecie negoziali.
11. Ma tale ragionamento e’ errato in quanto istituisce una sorta di potere di prescrizione, necessario e pregiudiziale rispetto ad ogni accertamento del giudice, da parte dell’autorita’ garante rispetto ai comportamenti svolti in facto dai soggetti da essa vigilati che non trova riscontro in nessuna previsione di legge ne’ nei principi regolatori della materia.
11.1. Questa Suprema Corte regolatrice (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 827 del 1999) ha precisato che la L. n. 287 del 1990, articolo 2, (la cosiddetta legge “antitrust”), “allorche’ dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volonta” tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. Il legislatore – infatti – con la suddetta disposizione normativa ha inteso – in realta’ ed in senso piu’ ampio proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attivita’ economiche; il che puo’ essere il frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”. Si rendono – cosi’ – rilevanti qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purche’ con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonche’ anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da cio’ consegue che, allorche’ l’articolo in questione stabilisce la nullita’ delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la piu’ complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.

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