Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza n. 18268 del 30 luglio 2013
Svolgimento del processo
1. – Con ricorso al Giudice del lavoro di Cosenza, M.F., premesso di essere stato dipendente con qualifica di guardia giurata di La Torpedine s.r.l., titolare di un istituto di vigilanza privata, impugnava il licenziamento disciplinare dalla stessa irrogatogli in data 13.01.05 perché sorpreso mentre era addormentato durante un servizio notturno di piantonamento fisso e per altre precedenti contestazioni disciplinari.
2. – Rigettata la domanda e proposto appello dal lavoratore, la Corte d’appello di Catanzaro con sentenza in data 26.01.09 rigettava l’impugnazione.
3. – La Corte, premesso che l’irrogazione della sanzione disciplinare competeva al datore di lavoro e non al questore, non trovando applicazione il r.d.l. 12.11.36 n. 2144 sulla disciplina degli istituti di vigilanza privata, rilevava che il protocollo interno di qualità prevedeva che tutti i servizi erogati dalla società fossero sottoposti ad ispezioni mensili senza preavviso e che, nel caso di specie, l’accertamento ispettivo era stato compiuto da personale dell’Istituto, nel rispetto degli artt. 2 e 3 dello statuto dei lavoratori. Esclusa ogni discordanza tra i fatti contestati e quelli su cui era basato il licenziamento, ritenute attendibili le testimonianze dei componenti della squadra ispettiva che aveva riscontrato la mancanza disciplinare, la Corte accertava la veridicità dei fatti contestati, rilevando inoltre che dopo il riscontro della violazione, il M. aveva tenuto nei confronti degli agenti ispettori un atteggiamento irriguardoso e minaccioso. Considerata la gravità del complesso dei comportamenti contestati, aggravati dal fatto che il predetto aveva fornito a sua volta una versione degli eventi ritenuta non credibile, il giudice riteneva irrimediabilmente minato il rapporto fiduciario tra il datore ed il lavoratore e giustificata l’irrogazione della sanzione espulsiva.
4. – Avverso questa sentenza il M. propone ricorso, contrastato con controricorso dal datore di lavoro.
Motivi della decisione
5. – I motivi di impugnazione del M. possono essere sintetizzati come segue.
5.1. – Violazione degli artt. 2 e 3 della l. 20.05.70 n. 300, con conseguente inutilizzabilità del verbale ispettivo redatto dai componenti la squadra di ispezione. Parte ricorrente contesta la preminenza assegnata dal giudice alle disposizioni del protocollo di (omissis) caso, preventivamente il nominativo dei soggetti incaricati di questo compito. Ritiene altresì insoddisfacente l’argomentazione che le guardie giurate cui erano stati demandati i controlli erano comunque colleghi di lavoro del M., atteso che per l’espletamento del controllo avrebbe potuto essere incaricato personale non munito della qualifica di guardia giurata.
5.2. – Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, avendo il giudice ritenuto attendibili le testimonianze dei componenti della squadra ispettiva nonostante gli stessi avessero querelato il M. per l’atteggiamento da lui tenuto all’atto dell’accertamento. La circostanza addotta a motivazione, che la querela era stata rimessa e la rimessione accettata, si era rivelata insussistente in quanto al momento della testimonianza la rimessione non era stata ancora effettuata, di modo che i testi erano da ritenere a tutti gli effetti inattendibili, avendo un interesse in causa.
5.3. – Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, avendo il giudice omesso di esaminare le sue doglianze a proposito dell’insussistenza dei requisiti della giusta causa, come desumibili tanto dall’art. 2119 c.c. che dell’art. 127 del ccnl di categoria.
5.4.- Insufficiente motivazione in punto di di proporzionalità della sanzione irrogata in relazione al comportamento tenuto.
5.5. – Violazione dell’art. 4 del r.d.l. 12.11.36 n. 2144, avendo ritenuto il giudice che l’irrogazione della sanzione competesse al datore di lavoro e non al questore, essendo questi titolare del potere disciplinare sulle guardie giurate.
5.6. – Carenza di motivazione, in quanto il giudice non avrebbe motivato in ordine alla violazione dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori perpetrata dal datore di lavoro all’atto del licenziamento, atteso che questi avrebbe irrogato il licenziamento per motivi diversi da quelli contestati.
6. – Il quinto motivo (n. 5.5) deve essere esaminato in via prioritaria, ponendo esso in discussione la titolarità in capo al datore di lavoro del potere disciplinare ed assumendo che il potere disciplinare sugli addetti ai servizi di vigilanza privata competerebbe esclusivamente al questore. A1 riguardo deve rilevarsi che il t.u. sulle leggi di p.s. 18.06.31 n. 773 assoggetta a licenza prefettizia l’esercizio dell’attività di vigilanza privata (artt. 133-134) e dispone che la nomina delle guardie sia approvata con decreto prefettizio (art. 138). La vigilanza sul servizio reso da tali istituti è, invece, rimessa al questore (r.d.l. 26.09.35 n. 1952 e r.d.l. 12.11.36 n. 2144), prevedendosi che “fermo restando il rapporto di impiego tra guardie e titolari della licenza di polizia” gli istituti che impiegano non meno di venti guardie sono posti “per quanto riguarda il servizio” alle dipendenze del questore, rimettendo a quest’ultimo anche la vigilanza sul loro ordinamento (art. 1 del r.d.l. 2144). Fatta questa premessa, ad avviso del Collegio, deve rilevarsi che la disciplina del rapporto di lavoro delle guardie dipendenti degli istituti di vigilanza privata è sottoposta ad un duplice regime, di carattere privato per quanto riguarda la disciplina del rapporto di impiego, di carattere pubblicistico per quanto riguarda le prerogative di ordine pubblico alle stesse conferite. Pertanto, l’art. 4 del r.d.l. 2144, per il quale “è attribuito al questore il potere disciplinare sulle guardie particolari in servizio … con facoltà di sospenderle immediatamente e ritirare loro le armi di cui fossero in possesso, salvo il provvedimento di revoca del prefetto” , deve essere interpretato nel senso che i poteri disciplinari del questore, nonostante la loro ampiezza, non escludono quelli propri del datore di lavoro, che sono limitati al più ristretto ambito della regolazione privatistica del rapporto di lavoro.
Conseguentemente, deve ritenersi il datore di lavoro legittimato all’irrogazione delle sanzioni disciplinari conseguenti alle violazioni delle modalità di espletamento della prestazione fissate dai regolamenti interni, dai contratti collettivi e da quelli individuali. Avendo il giudice di merito accertato che la condotta del dipendente aveva ad oggetto esclusivamente le modalità di esecuzione della prestazione, deve ritenersi correttamente assegnato al datore il potere disciplinare, con conseguente rigetto del primo motivo.
7. – Con il primo motivo (5.1) si lamenta la violazione degli art. 2 e 3 dello statuto dei lavoratori, sostenendosi l’illegittimità dell’utilizzo di guardie giurate per l’espletamento di compiti di vigilanza sull’attività lavorativa, diversi da quelli consentiti di esclusiva tutela del patrimonio aziendale (art. 2), nonché per la mancata previa comunicazione dei soggetti incaricati della sorveglianza sull’attività lavorativa (art. 3).
Al riguardo deve ritenersi soddisfacente la motivazione del giudice di merito, in quanto, in ragione dell’accertamento di fatto dallo stesso compiuto, emerge che l’attività ispettiva compiuta è frutto di un preciso piano di verifica della qualità del servizio reso, previsto dall’apposito “manuale” vigente presso la società La Torpedine. Per le disposizioni ivi vigenti ed in ragione della natura dell’attività aziendale detta verifica di qualità doveva necessariamente essere svolta sul servizio svolto dalle guardie dipendenti dell’istituto. Il compito ispettivo assegnato ai tre dipendenti che rilevarono l’inadempienza del M. prescindeva, tuttavia, dalla circostanza che essi rivestissero la qualifica di guardia giurata, atteso che la funzione ad essi assegnata era quella della mera vigilanza, secondo il ruolo assegnato direttamente dal regolamento dell’istituto. Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto invocate dal ricorrente, pertanto, sono estranee alla presente controversia in quanto i dipendenti investiti del ruolo ispettivo avevano la qualità di semplice personale di sorveglianza, ex art. 3 dello statuto, essendo irrilevante la circostanza che essi avessero anche la qualità di guardia giurata.
Circa la pretesa violazione di quest’ultima norma, per mancata preventiva indicazione ai lavoratori dei dipendenti incaricati della sorveglianza, il giudice di merito all’esito di un articolato e concludente accertamento di fatto ha concluso che i nominativi (ed a maggior ragione la qualità) dei componenti del gruppo di ispezione erano noti al M. In ogni caso, il giudice di appello correttamente ha richiamato il principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte, che la disposizione di detto art. 3 non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore, derivante dagli artt. 2086 e 2104 c.c., di controllare, direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti al fine di accertare eventuali mancanze, già commesse o in corso di esecuzione (Cass. 10.07.09 n. 16196, 12.06.02 n. 8388, 2.03.02 n. 3039 e 3.07.01 n. 8998). Escluso ogni riferimento all’art. 2, rivenuti adempiuti gli oneri prescritti dall’art. 3 e riscontrata la persistenza della titolarità del potere di controllo diretto del datore di lavoro, il primo motivo deve ritenersi infondato.
8.- Infondati sono anche i motivi secondo (5.2), terzo (5.3) e quarto (5.4), atteso che attraverso la denunzia dell’insufficienza e della contraddittorietà della motivazione il ricorrente non intende altro che contestare le valutazioni di merito compiute dal Collegio di appello, deducendo in sede di legittimità inammissibili questioni di fatto, aventi il solo scopo di capovolgere il giudizio formulato dal giudice, in questa sede incensurabile perché frutto di procedimento logico congruamente articolato.
9. – I1 sesto motivo è infine inammissibile, in quanto parte ricorrente, nel sostenere che i motivi posti a base del licenziamento non troverebbero riscontro nei fatti indicati nella lettera di contestazione e che il dipendente sarebbe stato licenziato “per una imprecisata condotta complessiva che lo stesso ricorrente avrebbe posto in essere tanto da compromettere il rapporto di fiducia” (pag. 27 ricorso), omette di illustrare adeguatamente la denunziata discrasia. E’ omesso il confronto tra le contestazioni mosse dal datore ai sensi dell’art. 7 dello statuto e le motivazioni adottate nella lettera di licenziamento e, in particolare, non sono forniti al Collegio di legittimità gli elementi essenziali per la valutazione della correttezza quale ha escluso ogni difformità tra contestazione e motivi del recesso proprio mettendo a confronto la lettera di contestazione del 6.01.05 e l’atto di recesso del successivo 13.01.05.
10. – In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, come di seguito liquidate. I compensi professionali vanno liquidati in € 3.000 sulla base del d.m. 20.07.12 n. 140, tab. A-Avvocati, con riferimento alle tre fasi (studio, introduzione, decisione) previste per il giudizio di cassazione ed allo scaglione del valore indeterminato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 50 (cinquanta) per esborsi ed in € 3.000 (tremila) per compensi, oltre Iva e Cpa.
Leave a Reply