Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 3 gennaio 2018, n. 42. Un istituto scolastico gestito da una congregazione religiosa puo’ assumere la natura di impresa industriale, e quindi usufruire degli sgravi contributivi a favore delle imprese industriali operanti nel mezzogiorno

[….segue pagina antecedente]

9. Peraltro, con riguardo al vizio di omessa e contraddittoria motivazione sul fatto contestato e decisivo per la risoluzione della controversia, relativo alla esistenza oggettiva – al di la’ della definizione astratta di fine di lucro – di una condizione utile all’inquadramento come impresa industriale, deve darsi atto che la Corte territoriale si e’ preoccupata di svolgere il concreto giudizio sulla effettiva presenza dei presupposti essenziali dell’impresa come sopra indicati e, con motivazione adeguata e non censurabile in questa sede di legittimita’, ha accertato che nella specie non ricorre l’economicita’ dell’attivita’ in quanto le prove testimoniali assunte e la documentazione allegata al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado avevano evidenziato l’ammissione ai corsi scolastici anche di allievi non paganti per spirito di liberalita’ ed assistenza e cio’ in linea con la finalita’ di svolgere l’attivita’, canonicamente riconosciuta dalla Sacra Congregazione, di assistere e formare gli studenti. Inoltre, come riportato dalla relazione ispettiva prodotta dall’INPS e datata 18 gennaio 2001, le sovvenzioni regionali e statali ricevute (seppure definite irrisorie) erano erogate solo a condizione che il servizio reso nelle scuole materne fosse gratuito. Per tali ragioni l’appellato non poteva quindi qualificarsi come imprenditore tanto meno industriale ex articolo 2195, n. 1, e, in quanto tale, non aveva diritto agli sgravi previsti dalla L. n. 1089 del 1968.
10. A fronte di tali argomentazioni, le censure formulate dal ricorrente, oltre che generiche perche’ sostanzialmente riproduttive di tutti gli elementi gia’ valutati dalla Corte territoriale e prive del carattere di decisivita’, tendono a richiedere a questa Corte di legittimita’ una mera rivalutazione del medesimo materiale probatorio esaminato dalla Corte di merito e non il solo controllo sulla logicita’ del procedimento valutativo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, consentito dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che cio’ si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non puo’ procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, ne’ porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito (vd. Cass. n. 91/2014; 15489/2007; 5024/2012).
11. Il ricorso va percio’ rigettato. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono il criterio della soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, in favore del contro ricorrente, che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *