Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza n. 43814 del 12 novembre 2012

 

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19 marzo 2007 il Tribunale di Napoli in composizione monocratica dichiarava O.F. e G.L. responsabili dei reati di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 70 e 77 e di cui all’art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1 e 3 in relazione all’art. 583 c.p., comma 2 e, concesse ad entrambi le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, ravvisata la continuazione, condannava ciascuno alla pena di mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, pena sospesa.

Ai due imputati, rispettivamente nelle qualità, la O., di rappresentante legale e il G. di socio e responsabile tecnico della CA.MER. srl, era stato contestato di avere cagionato per colpa e per inosservanza della disciplina antinfortunistica al dipendente della CA.MER. srl C.G. lesioni personali gravissime, in quanto il C., mentre si trovava sopra un soppalco per eseguire rilevamenti dimensionali, cadeva dallo stesso a causa del cedimento di uno dei pannelli, precipitando al suolo da un’altezza di circa sette metri, procurandosi in tal modo le sopra indicate lesioni.
Avverso la decisione del Tribunale di Napoli hanno proposto appello gli imputati.
La Corte di appello di Napoli in data 15.02.2011, in riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato loro ascritto al capo a) perchè estinto per prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena per il reato sub b) in giorni 20 di reclusione, concedeva il beneficio della non menzione.
Avverso la predetta sentenza O.F. e G.L., a mezzo del loro difensore, proponevano ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento con ogni ulteriore e consequenziale statuizione.
I ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) Annullamento della sentenza per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità o di decadenza, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 76 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. c), in considerazione dell’avvenuta ammissione della costituzione di parte civile di T.P. quale esercente la potestà parentale nei confronti del minore C.S. e conseguente nullità degli atti istruttori. Rilevava sul punto la difesa dei ricorrenti che l’atto di costituzione di parte civile era stato depositato da soggetto privo sia della cosiddetta legittimazione sostanziale, sia di quella processuale, di guisa che, sebbene la T. avesse conferito procura speciale all’avv. Carmine Malinconico, non essendo costui presente, le formalità di cui all’art. 78 c.p.p. (deposito della dichiarazione) erano state eseguite da altro avvocato, neppure delegato a tale fine.
2) Annullamento della sentenza per omessa e contraddittoria motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), nonchè erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) e c).
Secondo la difesa dei ricorrenti la sentenza impugnata era priva di motivazione in punto di responsabilità. Erronea sarebbe infatti la sentenza impugnata allorquando sostiene che la stipula del contratto di appalto tra Ansaldo Breda S.p.A. e Ca.Mer. s.r.l. comportava anche un automatico trasferimento delle competenze e responsabilità in materia di sicurezza nei confronti dei preposti di quest’ultima.

La sentenza impugnata non avrebbe infatti valutato la circostanza che l’obbligo di informare preventivamente dell’esistenza di situazioni di rischio per i lavoratori incombeva esclusivamente sulla società appaltante, mentre invece, nella situazione oggetto dell’odierno procedimento, nessun pericolo era stato segnalato dall’impresa proprietaria del cantiere appaltante, nè era stato adottato alcun dispositivo atto ad impedire che i lavoratori non autorizzati potessero accedere all’area in oggetto. Nessun controllo preventivo pertanto si sarebbe potuto richiedere e in concreto esercitare da parte del responsabile della Ca.Mer. s.r.l., in mancanza di un’informativa di prevenzione e di qualsivoglia altro elemento concreto da cui poter desumere che un solaio che si presentava apparentemente idoneo al calpestio potesse cedere.

3) Annullamento della sentenza per carenza assoluta di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in ordine al profilo della ritenuta responsabilità dell’amministratrice di Ca.Mer. s.r.l., sig.ra O.F.. Secondo la difesa della ricorrente infatti non era condivisibile la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che, per escludere la responsabilità della O., sarebbe stato necessario da parte del titolare dell’impresa un atto di delega espresso ed inequivoco a persona qualificata e capace in materia di oneri e sicurezza del lavoro, cosa che nella fattispecie che ci occupa non era avvenuta.
4) Annullamento della sentenza per carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla dosimetria della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.

Motivi della decisione

I proposti motivi di ricorso sono palesemente infondati. Per quanto attiene al primo si osserva che la costituzione di parte civile della signora T.P., nella qualità di esercente la patria potestà sul figlio minore C.S. (la quale ha poi rinunciato nel corso del giudizio alla predetta costituzione sia in proprio, sia nella sopra indicata qualità) è stata regolarmente effettuata con atto redatto e sottoscritto dal procuratore speciale avv. Carmine Malinconico, che era appunto il soggetto legittimato.
Pertanto, come rileva la sentenza impugnata, nessuna rilevanza può essere attribuita al fatto che l’atto in questione sia stato materialmente presentato dal sostituto processuale, avv. Elena Coccia, che era peraltro procuratore speciale della T. in proprio. In particolare tale fatto non ha comportato nessuna violazione del diritto di difesa, che possa comportare la nullità delle prove raccolte, dell’intero procedimento e della sentenza impugnata, così come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti.
Passando all’esame del secondo motivo di ricorso si osserva che la sentenza impugnata è motivata in maniera adeguata e congrua in punto di responsabilità.
La Corte di Appello di Napoli ha infatti evidenziato che la Camer s.r.l., di cui il G. era direttore tecnico e la O. amministratore unico, aveva avuto dalla Ansaldo Breda s.p.a. l’incarico di provvedere alla compartimentazione, mediante il montaggio di pannelli fonoassorbenti del capannone di cui è processo. La Camer s.r.l. pertanto, essendo impresa appaltatrice, nel momento in cui si apprestava ad espletare l’opera commisionatale, anche se solo per effettuare delle misure propedeutiche al montaggio dei pannelli, aveva l’obbligo di adottare sul luogo di lavoro tutte le misure di sicurezza imposte dalla legge a tutela dell’incolumità dei lavoratori, obbligo che incombe al datore di lavoro e su quanti siano preposti alla direzione tecnica dell’azienda e che non può essere annullato da eventuali censure nei confronti di altre società, quali la committente Ansaldo Breda s.p.a., per la omessa segnalazione della situazione di pericolo. Sul punto è pacifica la giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 3563 del 18.01.2012, Rv. 252672; Sez. 4, Sent. n. 37840 dell’1.07.2009, Rv. 245275) secondo cui in tema di prevenzione sugli infortuni sul lavoro c’è sempre la responsabilità dell’appaltatore, potendosi ravvisare anche quella del committente qualora l’evento si ricolleghi causalmente ad una sua omissione colposa.

Infondato è poi il terzo motivo di ricorso.
Correttamente infatti la sentenza impugnata ha ritenuto che, per escludere la responsabilità della O., sarebbe stato necessario da parte del titolare dell’impresa un atto di delega espresso ed inequivoco a persona qualificata e capace in materia di oneri e sicurezza del lavoro, cosa che nella fattispecie che ci occupa non era avvenuta.
Sul punto si è pronunciata la giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass., Sez. 3, Sent. n. 28358 del 4.07.2006, Rv. 234949; Cass., Sez. 3, Sent. n. 24478 del 23.05.2007, rv. 236955) secondo cui, in tema di prevenzione infortuni, se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme è il legale rappresentante dell’ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, così che la sua responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di preposto alla gestione societaria. (Nell’occasione la Corte ha ulteriormente affermato che il legale rappresentante non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica, in quanto tale condizione lo obbliga al conferimento a terzi dei compiti in materia antinfortunistica).
Anche con riferimento alle doglianze concernenti il trattamento sanzionatorio proposte da O.F. e G.L., si rileva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto concerne la dosimetria della pena. E appena il caso di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass., Sez. 6, 22 settembre 2003 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass., sez. 6, 4 agosto 1998, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamenti illogico (Cass., sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie, avendo la Corte territoriale espressamente chiarito le ragioni in base alle quali ha ritenuto di confermare la pena detentiva per il reato sub b) già irrogata dal giudice di primo grado e di confermare altresì il giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante in considerazione dell’alto grado di colpa che ha provocato nella vittima lesioni personali gravissime.
I ricorsi devono essere pertanto dichiarati inammissibili con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Non può invece essere dichiarata la prescrizione del reato, che sarebbe maturata, essendo decorso il termine massimo pari ad anni sette e mesi sei ed essendo stato il reato commesso in data 5.12.2003, in quanto la dichiarazione di inammissibilità, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. l, Sent. n. 24688 del 4.06.08, Rv. 240594), preclude la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione anche se maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non dedotta, nè rilevata nel giudizio di merito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *