SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 9 maggio 2012, n.17221

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 5 giugno 2009 il tribunale di Udine in composizione monocratica riconosceva la responsabilità di P.G.T. in ordine al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del dipendente C.A. e, concesse attenuanti generiche prevalenti, lo condannava ad un anno di reclusione ed al risarcimento dei di danni, da liquidarsi, in separato giudizio, in favore delle parti civili. La corte di appello di Trieste confermava la sentenza. In fatto è rimasto pacificamente accertato che C. , dipendente della PDM s.r.l., amministrata dal P. , insieme ad altri colleghi era impegnato nella posa in opera e nella tesatura di un cavo precordato aereo per linee elettriche a bassa tensione. La ditta per la quale operava l’infortunato aveva in appalto la posa in opera e successiva tesatura di un cavo aereo per linea a 380 Volt, su pali ove era presente un’altra linea realizzata con cavi isolati ed in tensione. Il lavoro consisteva in un primo fissaggio della nuova linea al palo e nella successiva tesatura del cavo tramite un attrezzo denominato ‘precortir’ (tenditore a tiro continuo con ganasce autoserranti in gomma); il precortir doveva a sua volta essere fissato tramite una fascia in tessuto al palo di sostegno verso il quale i cavi venivano tirati; l’operazione di tenditura veniva poi attuata mediante una leva metallica. L’infortunato nel realizzare il fissaggio del precortir al palo includeva anche alcuni cavi elettrici in tensione, derivati dalla linea esistente. Durante la tesatura della nuova linea, la fascia in tessuto comprimeva i cavi in tensione su di un supporto metallico avente il bordo tagliente, provocando la fessurazione dell’isolante e la dispersione della corrente; il supporto metallico e tutte le parti metalliche ad esso collegate tra cui il precortir andarono in tensione e il C. , che stava operando sulla leva da una scala metallica appoggiata su terreno umido, ricevette un scarica elettrica che ne determinava la morte; egli veniva rinvenuto esanime, ancorato all’imbragatura di sicurezza, accanto alla scala su cui stava lavorando; al momento dell’evento lesivo, operava da solo e poiché lavorava su parti non in tensione, non utilizzava alcun dispositivo di protezione individuale atto a prevenire il rischio di elettrocuzione.

Entrambi i giudici ritenevano che causa prima dell’evento era stata una grave imprudenza del lavoratore, che aveva assicurato la fascia di fissaggio sopra i cavi della linea in tensione. Da tale riconosciuto dato di fatto tuttavia non poteva derivarsi, secondo i predetti giudici, una esenzione di responsabilità del datore di lavoro, così come invece sostenuto dalla difesa dell’imputato ancora nel presente giudizio, atteso che il medesimo si doveva comunque fare carico della pericolosità del lavoro che si svolgeva in adiacenza ad una linea dove vi era corrente e dunque doveva individuare specifiche modalità di svolgimento e accertare che il lavoratore fosse sufficientemente esperto e debitamente sensibilizzato allo specifico pericolo.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione la difesa dell’imputato. Con un unico, diffuso motivo il ricorrente sostiene che è errata la applicazione delle norme di legge nella parte in cui è stata ritenuta sussistente la penale responsabilità omissiva dell’imputato e non è stato ritenuto interrotto il nesso causale dalla condotta della vittima; secondo il ricorrente, alla luce delle più recenti pronunce di questa Suprema Corte (sentenza n. 40821 del 31 ottobre 2008) è difficile individuare nel presente caso una violazione da parte del datore di lavoro che possa dare luogo a sua responsabilità; né il tribunale prima né la corte d’appello hanno potuto individuare concrete omissioni da parte del signor P. ; la sentenza impugnata riconosce che P. aveva fornito alla vittima i presidi antinfortunistici necessari per evitare la caduta dall’alto; null’altro egli doveva fare atteso che il lavoratore non necessitava di informazioni sull’uso del ‘precortir’, strumento di uso comune da parte degli operatori del settore e che C. ben conosceva essendo un operaio esperto; in particolare non vi era necessità alcuna di valutazione del rischio specifico alla elettrocuzione perché il tipo di lavoro svolto dal C. non rientrava tra quelli esposti al cosiddetto rischio elettrico; infatti, come riferito dallo stesso consulente del PM riportandosi alla normativa di settore, il lavoro elettrico è quello della direttiva CEI 27.11. e cioè l’intervento su impianti o apparecchi elettrici con accesso alle parti attive, con rischio di contatto diretto e del c.d. arco elettrico; era pacifico che l’intervento che il C. doveva effettuare, pur in prossimità di cavi elettrici, si svolgeva in un ambiente non elettrico; è contradditorio addossare al datore di lavoro l’obbligo di introdurre nel piano operativo di sicurezza il rischio elettrico quando si riconosce che la condotta della vittima è stata connatura da ‘tragico errore’; si riconosce che la disattenzione della vittima è stata talmente grave da determinare l’evento e pertanto non può imputarsi al datore di lavoro l’omesso controllo sula fonte di pericolo.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

Nella ampia e puntuale motivazione della sentenza impugnata la Corte d’appello riconosce che il lavoro cui il C. era addetto non era un lavoro elettrico, non rientrando nella definizione contenuta nella direttiva CEI a cui facevano riferimento tanto la difesa nei motivi di appello che il consulente del pubblico ministero; riconosce altresì che il datore di lavoro aveva messo a disposizione dei propri dipendenti dispositivi di protezione quali funi anticaduta, guanti e scarpe antisdrucciolo; rileva che tuttavia tale circostanza non aveva alcuna rilevanza al fine di escludere la responsabilità del datore di lavoro in quanto, come già era stato sottolineato nella sentenza di primo grado, il punto nodale della vicenda era rappresentato dal non aver individuato il P. un rischio specifico nello svolgimento di operazioni lavorative che pur non svolgendosi direttamente su cavi in tensioni, erano comunque pericolose perché avevano luogo su pali destinati al passaggio delle linee elettriche in zona contigua ai cavi in tensione. Benché la direttiva CEI non contemplasse espressamente la situazione, la corte d’appello rileva che non era seriamente contestabile che operare in prossimità di cavi in tensione comporti un rischio specifico, rischio che avrebbe dovuto essere valutato dal datore di lavoro ai fini di individuare le norme precauzionali cui attenersi; precauzioni consistenti, non diversamente dalla regola generale, nella adozione di corrette procedure di informazione e formazione degli operai addetti da parte del datore di lavoro, nell’uso di dispositivi di protezione individuale, nella vigilanza da parte di un preposto. Nessuna di tali precauzioni era invece stata adottata. Per quanto riguarda l’obbligo di informazione e formazione, la corte osservava che P. aveva fatto affidamento esclusivamente sulle pregresse esperienze lavorative del C. , senza alcun riscontro in epoca successiva all’assunzione; C. era già esperto del settore avendo maturato nelle precedenti esperienze lavorative qualifiche che avevano indotto il datore di lavoro ad assegnargli quelle specifiche mansioni che stava svolgendo; tuttavia egli era stato assunto da appena un mese, e dopo l’assunzione il datore di lavoro non aveva compiuto alcuna verifica delle attitudini e delle conoscenze del lavoratore e neppure lo aveva affidato ad un preposto perché lo controllasse, quantomeno in un primo periodo; tale mancanza era causalmente legata al tragico evento, come risultava evidente nel momento in cui risultava chiaramente che la morte del C. era dipesa da un semplice e banale errore; infatti se tale errore derivava da una incompleta conoscenza da parte del C. dell’operazione che doveva svolgere, dell’ambiente in cui operava o dei materiali che utilizzava, tale mancata conoscenza era riconducibile alla responsabilità del datore di lavoro, che non gli aveva fornito istruzioni e/o non aveva operato alcun controllo sulle conoscenze professionali già acquisite dall’operaio e sulle sue attitudini concrete, né direttamente né attraverso un preposto; se, al contrario, l’errore compiuto era dipeso da mera disattenzione del C. , assumeva rilievo la mancata valutazione da parte del datore di lavoro del rischio esistente nell’operare in prossimità di linee in tensione. Quanto ai dispositivi da usare, la Corte rilevava che l’impiego di una scala in materiale isolante, appoggiata sul terreno asciutto, e di guanti isolanti avrebbe limitato sicuramente le conseguenze del passaggio di corrente nel corpo dell’operaio, evitando la folgorazione e che sul punto concordavano entrambi i consulenti tecnici sentiti in dibattimento. Inoltre sarebbe stato naturalmente necessario che il datore di lavoro vigilasse o incaricasse qualcuno della vigilanza sull’adozione di tali cautele ed in particolare sull’effettivo impiego dei dispositivi di protezione. Così individuati gli specifici profili di prevenzione, la Corte ribadisce che il punto fondamentale era quello della necessità di prevedere un rischio specifico nello svolgimento delle operazioni pur non strettamente elettriche ma da svolgere in zona contigua a cavi in tensione, essendo del tutto evidente che qualunque persona di normale diligenza e prudenza poteva percepire che operare in prossimità di un cavo in Tensione, utilizzando attrezzi di lavoro anche taglienti quale il precortir, implica un rischio connesso all’accidentale esposizione a cariche elettriche. In tale situazione l’esistenza di un concorso di colpa del lavoratore nella causazione dell’evento non poteva dunque ritenersi un fattore interattivo del nesso di causalità.

La motivazione è corretta e si adegua ai principi sempre affermati da questa Corte e da ribadire anche nella presente situazione. Il nucleo centrale del ricorso si concentra sulla deduzione dell’interruzione del nesso di causalità a seguito del comportamento impudente del lavoratore che gli stessi giudici di merito definiscono un tragico errore. Ora non è evidentemente qui in discussione la presenza di una colpa concorrente di tale soggetto, pacificamente ammessa dalla stessa sentenza impugnata come causa principale dell’infortunio, ma solo la rilevanza di tale condotta a interrompere il nesso di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l’evento lesivo è interrotto, ai sensi dell’articolo 41, comma secondo, cod. pen., solo nel caso in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato causa all’evento, dovendosi considerare “abnorme” il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persona preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. (sez. IV 26.10.2006 n. 2614 rv. 236009). Nella specie una tale situazione è stata correttamente esclusa avendo i giudici di merito messo puntualmente in evidenza come il rispetto da parte dell’imputato dei doveri cautelari che gli facevano carico e che gli erano stati contestati avrebbe potuto evitare l’evento con ragionevole sicurezza. Era necessario che il datore di lavoro si facesse carico della formazione del nuovo assunto, fornendogli precise istruzioni sulle modalità da seguire per svolgere un lavoro sicuramente pericoloso (perché si trattava di operare su un palo in prossimità di cavi elettrici) e non fare pieno e ingiustificato affidamento sulla competenza ed esperienza professionale del lavoratore; era necessario fornire al medesimo una scala in materiale isolante e guanti isolanti, imponendone l’uso attraverso una opportuna sorveglianza. L’inosservanza di tali obblighi, di cui è evidente la connessione causale con l’evento verificatosi, fonda la colpa del P. che dunque correttamente è stato ritenuto responsabile dell’infortunio.

2. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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