Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza n. 11516   del 10 luglio 2012

 

Premesso in fatto

È stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone del 16 febbraio 2006, ha respinto la domanda proposta dall’attore nei confronti di G.L. (e quindi dei suoi eredi), così accogliendo il gravame proposto dalla sua società assicuratrice per la RCA (Società Reale Mutua di Assicurazioni), rideterminando, per l’effetto, la corresponsabilità nella produzione del sinistro nella misura del 30% in capo a Gi.Br. (assicurato per la RCA con la Axa Assicurazioni) e del 70% in capo al danneggiato D. ; inoltre, per quanto ancora rileva, ha rigettato il motivo di appello proposto da quest’ultimo relativamente al mancato riconoscimento da parte del Tribunale del danno patrimoniale da diminuzione della capacità lavorativa specifica;
A) i primi due motivi di ricorso, in quanto concernenti la determinazione della corresponsabilità nella produzione del sinistro, possono essere esaminati congiuntamente:
– con il primo, il ricorrente denuncia insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul punto decisivo della controversia concernente, per un verso, la mancata considerazione, da parte della Corte d’Appello, del profilo di responsabilità facente capo al Br., connesso alla mancata osservanza della distanza che avrebbe dovuto separare il motoveicolo da lui condotto da quello condotto dal D., che lo precedeva; per altro verso, l’esclusione della responsabilità del conducente L., il quale, nell’affrontare la curva nella corsia di marcia opposta a quella sulla quale si trovavano i due motoveicoli, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto rigorosamente la destra;

– con il secondo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 149 C.d.S. e dell’art. 348 del regolamento del codice della strada, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., così censurando, con riguardo al vizio di violazione di legge, la medesima valutazione della Corte d’Appello cui è riferito il primo profilo della censura concernente il vizio di motivazione.
I due motivi non sono meritevoli di accoglimento.
La Corte d’Appello, ha basato le proprie valutazioni sulla ricostruzione della dinamica del sinistro fatta in primo grado, secondo cui il D. era rimasto vittima dell’incidente nell’affrontare, a bordo della moto Suzuki di sua proprietà, una curva destrorsa a visuale preclusa; aveva perso il controllo del mezzo, era stato sbalzato a terra ed aveva urtato con la testa, protetta dal casco, contro lo spigolo anteriore sinistro dell’autovettura condotta dal L., che proveniva dalla direzione opposta; quindi, il corpo del D. era stato investito dal Br. che, alla guida della moto Suzuki di sua proprietà, seguiva il motoveicolo condotto dal D.. La Corte ha perciò ritenuto:
– che, essendo il L. all’interno della sua corsia di marcia, ad una distanza di circa 34 cm. dalla linea di mezzeria e ad analoga, se non addirittura inferiore, distanza dal marciapiede, avesse rispettato il precetto del C.d.S. di rispetto della mano destra e comunque la maggiore o minore prossimità della sua vettura al margine destro della carreggiata era circostanza priva di concreta efficacia causale, considerata la dinamica del sinistro ricostruita dal consulente in sede penale (cfr. pag. 9 della sentenza);
– che la condotta di guida del Br. era stata la causa del danno provocato con l’impatto tra la sua motocicletta ed il corpo del D., per l’evidente eccesso della velocità da lui tenuta in relazione alle condizioni dei luoghi, in quanto proprio la presenza di una curva a visuale cieca, collocata in pieno centro abitato, avrebbe dovuto imporgli di farvi ingresso ad una velocità idonea a consentirgli le manovre di emergenza eventualmente necessarie in un simile contesto.
Orbene, tale ultima motivazione è, in sé, più che sufficiente per dare atto della determinazione della Corte d’Appello di fissare il contributo causale del Br. nella misura del 30%; non è affatto certo che, se avesse pure considerato la violazione delle norme di cui al secondo motivo di ricorso, siffatta determinazione sarebbe stata differente, atteso che il grado di efficienza causale da riconoscersi ad una determinata condotta di guida non è, in sé, direttamente proporzionale e dipendente dal numero

delle violazioni alle norme del codice della strada ascrivibili al conducente, quanto piuttosto dal concreto comportamento tenuto da quel conducente, alle condizioni date al momento del sinistro, rispetto alle modalità con cui questo si è verificato. Su questo comportamento e su siffatte modalità si è intrattenuta adeguatamente la Corte d’Appello di Trieste, giungendo alla determinazione della misura del 30 % del concorso di colpa del Br., con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede.
A maggior ragione tale conclusione si attaglia alla valutazione che la Corte territoriale ha dato della condotta di guida del L.; poiché il ricorrente nemmeno denuncia che la Corte abbia omesso di trascurare elementi fattuali rilevanti, la censura si traduce nella richiesta di una nuova valutazione di quegli stessi elementi già apprezzati in sede di merito; così proposta, è inammissibile.
B) Col terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, cioè degli artt. 1223, 2043, 2056, 2057 c.c. e 113 e 115 c.p.c. ed omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in punto di mancato riconoscimento del risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, che sarebbe conseguita al D. dall’accettata riduzione della capacità lavorativa specifica. Sostiene il ricorrente che, avendo la CTU medico – legale concluso nel senso della perdita completa della capacità di condurre veicoli industriali, della riduzione di circa la metà della capacità di gestione di azienda di autotrasporti e del mantenimento di reddito rimesso all’impiego retribuito di terzi, avrebbero errato il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, nel richiedere la prova documentale o testimoniale della perdita di reddito; questa si sarebbe dovuta presumere ed il parametro valutativo avrebbe potuto essere ancorato al triplo della pensione sociale.
Il motivo appare infondato.
Sul punto la Corte d’Appello ha motivato nel senso che difetterebbero in radice anche i presupposti per applicare in via equitativa il criterio liquidatorio del c.d. triplo della pensione sociale e che il danneggiato non avrebbe offerto alcuna indicazione sulla sua situazione reddituale successiva all’incidente, avendo prodotto soltanto le dichiarazioni dei redditi relative al periodo precedente il sinistro.

Essendo il quadro delle emergenze probatorie quello di cui sopra, la questione di diritto da risolvere concerne la ricorribilità, in via equitativa, al criterio suppletivo del c.d. triplo della pensione sociale nel caso di soggetto percettore di reddito sia prima che dopo l’evento dannoso dal quale gli sia derivata una riduzione della capacità di lavoro specifica ovvero se incomba al danneggiato l’onere della prova dell’intervenuta riduzione di reddito o della sua probabile riduzione in futuro e come questa prova debba essere fornita.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo (cfr. Cass. n. 10031/06, n. 18866/08, n. 23761/11); in particolare, il danneggiato ha l’onere di provare l’incidenza dei postumi sulla sua attività di lavoro attuale o futura (cfr., da ultimo, Cass. n. 4493/11), nonché – ove possibile – la contrazione dei redditi ovvero la presumibile anticipata cessazione dell’attività lavorativa o la preclusione dello svolgimento di attività più remunerative (cfr. Cass. n. 6658/09); il ricorso al criterio di cui all’art. 4, comma terzo, della legge n. 39 del 1977 presuppone che non sia possibile al danneggiato nemmeno fornire elementi utili alla liquidazione del danno secondo criteri presuntivi, che tengano conto, in particolare, dell’attività di lavoro svolta al momento del sinistro.
Nel caso di specie, trattandosi di soggetto impiegato in attività lavorativa stabile al momento del sinistro, proseguita anche in data successiva a questo, ed essendo decorso un notevole lasso di tempo dalla data dell’incidente, bene avrebbe potuto il danneggiato fornire, per il tramite delle dichiarazioni dei redditi ovvero altrimenti, la prova dell’avvenuta contrazione dei guadagni ovvero fornire, tramite prova documentale o testimoniale, elementi idonei a sorreggere la presunzione della contrazione futura del reddito da lavoro. Il D. non ha provato l’ammontare del reddito percepito prima e/o dopo il sinistro, né per il tramite della documentazione fiscale né altrimenti; ancora, non ha nemmeno dimostrato la concreta incidenza della ridotta capacità lavorativa sulla percezione del reddito da lavoro autonomo: è perciò corretta la decisione del giudice di merito che ha ritenuto inapplicabile il criterio del c.d. triplo della pensione sociale ed impraticabile il ricorso ad altro criterio di liquidazione equitativa del danno patrimoniale”.
La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Non sono state presentate conclusioni scritte.

Ritenuto in diritto

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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