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E’rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: se, con riferimento al reato di furto, l’occultamento della refurtiva prelevata dallo scaffale di un supermercato all’interno di una borsa in possesso dell’imputato (o, eventualmente, sulla sua persona), configuri la circostanza aggravante dell’essersi avvalso di un qualsiasi mezzo fraudolento, ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 2 c.p.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

SENTENZA 21 marzo 2013, n.13071

RITENUTO IN FATTO

 

1. – Con sentenza resa in data 5.4.2012 la Corte d’appello de L’Aquila ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Sulmona in data 30.6.2011 con la quale S.M. è stata condannata alla pena di sei mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa in relazione al reato di furto aggravato dalla stessa commesso in (OMISSIS).

Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputata affidato a tre motivi d’impugnazione.

2.1. – Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione alla riconosciuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 2, relativa all’uso del mezzo fraudolento ai fini della commissione del furto.

In particolare, si duole l’imputata che la corte territoriale abbia riconosciuto il ricorso di detta circostanza aggravante nel solo fatto che la stessa avesse occultato nella propria borsa la merce, priva di placche antitaccheggio, prelevata dagli scaffali del supermercato dove la stessa aveva commesso il reato.

2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza d’appello per aver omesso di rilevare – una volta riconosciuto il carattere semplice e non aggravato del furto contestato – l’inidoneità della querela presentata dalla responsabile del supermercato all’interno del quale era stato perpetrato il furto, atteso il difetto, in capo alla predetta responsabile, di alcun potere rappresentativo dell’imprenditore.

2.3. – Con l’ultimo motivo di ricorso, l’imputata censura la sentenza d’appello per vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti genetiche, avendo la corte territoriale immotivatamente trascurato le particolari condizioni esistenziali dell’imputata al momento della commissione del reato.

3. – Con memoria depositata in data 1.2.2013, contenente ‘motivi nuovi’, il difensore dell’imputata ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

4. – Ritiene questo collegio che il primo motivo d’impugnazione proposto dalla ricorrente – cui è da ascrivere natura pregiudiziale, in relazione alla verifica della subordinazione della procedibilità del reato alla querela della persona offesa – impone una rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte, stante il ravvisato contrasto giurisprudenziale sul punto riassumibile nei seguenti termini:

‘Se, con riferimento al reato di furto, l’occultamento della refurtiva prelevata dallo scaffale di un supermercato all’interno di una borsa in possesso dell’imputato (o, eventualmente, sulla sua persona), configuri la circostanza aggravante dell’essersi avvalso di un qualsiasi mezzo fraudolento, ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 2).

5. – In linea generale, secondo la consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, l’espressione ‘mezzo fraudolento’, contenuta nell’art. 625 c.p., n. 2, è usata con riguardo a ogni attività fraudolenta o insidiosa, che soverchi o sorprenda la contraria volontà del detentore della cosa. In esso rientra – quindi – ogni operazione straordinaria, improntata ad astuzia o scaltrezza, diretta a eludere le cautele e a rendere vani gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa delle proprie cose (Cass., Sez. 2, n. 7840/1990, Rv. 187873; Cass., Sez. 2, n. 1982/1981, Rv.

152483; Cass., Sez. 2, n. 6032/1979, Rv. 142393; Cass., Sez. 2, n. 5647/1976, Rv. 133420; Cass., Sez. 2, n. 2359/1973, Rv. 126474).

Da questo punto si vista, si è sostenuto che l’aggravante del ‘mezzo fraudolento’ deve necessariamente rappresentare un elemento ‘in più rispetto all’attività necessaria per operare la sottrazione e l’impossessamento. L’aggravante in esame è pertanto inapplicabile nel caso in cui l’azione furtiva sia andata a buon fine, non già per un’operazione straordinaria dell’agente improntata ad astuzia o scaltrezza, ma per la negligenza della persona offesa (Cass., Sez. 2, n. 1982/1981, Rv. 152484).

In tale prospettiva, si colloca la prima scelta interpretativa che, anche in termini storico-cronologici, la giurisprudenza di legittimità ha operato con riguardo al ricorso della circostanza aggravante in parola in relazione al reato di furto commesso all’interno delle strutture commerciali di ampie dimensioni, come i grandi magazzini o i supermercati, in cui è generalmente praticato il sistema dell’immediato contatto del consumatore con la merce esposte al pubblico ai fini della vendita (c.d. self-service).

In tale solco si collocano le pronunce secondo cui, consumandosi il delitto di furto con l’impossessamento della cosa da parte dell’agente e con il correlativo spossessamelo del derubato, nel caso in cui taluno, dopo aver prelevato un determinato oggetto dai banchi di un supermercato ove si pratichi il sistema del c.d. self-service, l’abbia nascosto sulla propria persona, il reato deve ritenersi realizzato con il fatto stesso dell’occultamento. Nella predetta ipotesi, l’occultamento non costituisce un ‘mezzo fraudolento’, nel senso dell’art. 625 c.p., n. 2, cioè un malizioso accorgimento adottato dall’agente per sorprendere e soverchiare la contraria volontà del soggetto passivo, poichè nella circostanza indicata esso rappresenta il mezzo più semplice per la consumazione del reato. Nè l’aggravante del mezzo fraudolento può d’altro canto essere ravvisata nel silenzio serbato dall’agente, o nella falsa dichiarazione da lui resa in ordine ai prelevamenti di mercè nell’atto del controllo all’uscita del negozio, poichè tali comportamenti sono successivi al momento di consumazione del delitto e quindi estranei alle modalità della sua esecuzione (Cass., Sez. 2, n. 1505/1965, Rv. 100484; Cass., Sez. 2, n. 1827/1965, Rv. 101005; v.altresì Cass., Sez. 2, n. 1877/1965, Rv. 101856; v. altresì Cass., Sez. 2, n. 852/1967, Rv. 106133).

Nello stesso torno d’anni, la Corte suprema ha quindi precisato come il furto nei grandi magazzini o supermercati, ove la merce è esposta in appositi scaffali a disposizione dei clienti che possono liberamente servirsi, deve ritenersi consumato nel momento in cui il soggetto attivo si è impossessato della merce nascondendola sulla propria persona, o in una borsa, o in qualsiasi altro modo; lo stesso occultamento quindi, appunto perchè necessario per la consumazione del reato, non può considerarsi mezzo fraudolento ai sensi dell’art. 625 c.p., n. 2; detta aggravante non può, d’altro canto, concretarsi nelle mendaci dichiarazioni rese dal colpevole circa il prelevamento della merce alle persone addette alla cassa od alla vigilanza presso l’uscita del negozio, poichè tale comportamento, successivo alla consumazione del furto e quindi estraneo alla sua esecuzione, deve considerarsi irrilevante per la qualificazione giuridica del fatto (Cass., Sez. 2, n. 938/1966, Rv. 102532; Cass., Sez. 2, n. 272/1967, Rv. 105196; Cass., Sez. 2, n. 948/1967, Rv. 106347; Cass., Sez. 2, n. 1949/1967, Rv. 107044; Cass., Sez. 2, n. 266/1968, Rv. 108013).

In termini più specifici, si è evidenziato che, nel caso in cui un cliente s’impossessa furtivamente di merce che si trovi esposta nei banchi di vendita di un supermercato, in cui si pratichi il sistema del cosiddetto self-service, la consumazione del furto avviene già nel momento stesso di tale impossessamento e del contestuale occultamento della merce sottratta. In tale specie di furto, infatti, dato che il locale di vendita è sorvegliato, o comunque sempre controllabile dal personale addetto, se il cliente non nascondesse subito in qualche modo la merce sottratta, la consumazione stessa del furto sarebbe impossibile, appunto perchè il personale addetto (fra cui, da ultimo, il cassiere, al momento dell’uscita del cliente dal locale, previo controllo alla cassa) sarebbe senz’altro in grado di accorgersi dell’asportazione, che sarebbe così, di fatto, sempre impedita (Cass., Sez. 2, n. 491/1967, Rv. 105432).

Proprio in tale ottica, si è altresì chiarito che, mentre l’acquirente dal supermercato acquista il possesso legittimo della merce che pone regolarmente nel cestino, o tiene in mano, nel momento della conclusione del contratto di compravendita (cioè quando ne paga l’importo alla cassa), per la merce che nasconde in borsa o in tasca, il possesso (illecito) è acquistato nel momento dell’apprensione e del trafugamento; con la conseguenza che, nell’atto del passaggio alla cassa, il furto e già stato consumato e l’eventuale mezzo fraudolento posto in essere in questo momento non servirebbe a commettere il reato – già consumato in precedenza – ma solo, se mai, ad assicurarsene il profitto (Cass., Sez. 2, n. 898/1967, Rv. 105507).

Forti degli insegnamenti ricavabili dalle pronunce sin qui richiamate, le massime più recentemente diffuse in thema ribadiscono come, in tema di furto aggravato, dovendo intendersi, per mezzo fraudolento, qualunque attività che sorprenda o soverchi con insidia e astuzia la contraria volontà del detentore, violando le difese e gli accorgimenti posti dal soggetto passivo a difesa della cosa, deve escludersi che il mero nascondimento dell’oggetto rubato nelle tasche della giacca valga a configurare l’aggravante del mezzo fraudolento (Cass., Sez. 4, n. 24232/2006, Rv. 234516); e ciò, a meno che tale occultamento non avvenga attraverso la predisposizione di particolari accorgimenti quali il doppio fondo di una borsa o un indumento da portare sotto i normali indumenti ed esclusivamente destinato a nascondere la refurtiva (Cass., Sez. 4, n. 10134/2006, Rv. 233716).

In breve, l’occultamento del bene rubato, costituendo una normale e concreta modalità del furto, non integra l’aggravante del mezzo fraudolento. Infatti, affinchè possa configurarsi tale aggravante è necessario che la condotta presenti una significativa e oggettiva maggior gravita dell’ipotesi ordinaria in ragione delle modalità con le quali vengano aggirati i mezzi di tutela apprestati dal possessore del bene sottratto (nel caso di specie, la Corte aveva escluso l’aggravante del mezzo fraudolento – dichiarando il reato non procedibile d’ufficio – nel caso di un’imputata che aveva sottratto delle ciabatte nascondendole nella borsa) (Cass., Sez. 6,28 settembre 2012, n. 40283).

6. – Il secondo indirizzo interpretativo venutosi consolidando nella giurisprudenza di legittimità, prende le mosse dalle prime pronunce che, hi termini critici, invitano il giudice del merito al compimento di un accertamento in concreto della fattispecie condotta al suo esame.

In particolare, si è sostenuto che nel caso di furto di merci esposte sugli appositi banchi nei supermercati ove è praticata la vendita col sistema del self-service, l’aggravante eventualmente configurabile è quella del mezzo fraudolento, il quale può essere ravvisato (in base ad un accertamento compiuto dal giudice in concreto) nell’accorgimento malizioso adottato dall’agente per sorprendere e soverchiare la contraria volontà del soggetto passivo;

in particolare, nel modo di occultamento della merce all’uscita dal reparto o nelle dichiarazioni menzognere rese al personale addetto al controllo ed alla cassa per evitare il pagamento della merce stessa (Cass., Sez. 1, n. 1118/1966, Rv. 102966).

In termini più chiari, si è affermato che in tema di furto, la ratio dell’aggravante del mezzo fraudolento consiste nell’esigenza di una più severa repressione nei confronti di chi rivela maggiore criminosità nel superare con la frode la custodia apprestata dall’avente diritto. Tale aggravante sussiste anche se l’accorgimento malizioso venga posto in essere dopo la sottrazione, o persino dopo l’impossessa-mento, al fine di consolidare possesso e dominio, in esecuzione di un piano criminoso cui esso era preordinato. In particolare, nel caso di specie, la cosa sottratta era stata occultata dal ladro sotto il proprio impermeabile (Cass., Sez. 2, n. 1862/1983, Rv. 162897).

In un caso più recente si è affermato integrare il reato di furto aggravato dall’uso di mezzo fraudolento (art. 624 c.p., e art. 625 c.p., comma 1, n. 2), la condotta di colui che sottrae merce dagli scaffali di un supermercato, avvalendosi di una ‘panciera’, la quale costituisce mezzo fraudolento, preordinato a superare gli accorgimenti previsti dal soggetto passivo a tutela dei propri beni (Cass., Sez. 5, n. 11143/2005, Rv. 233886).

Allo stesso modo, è stato configurato il ricorso dell’aggravante del mezzo fraudolento di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 2, allorchè l’accorgimento malizioso sia posto in essere dopo la sottrazione, in quanto finalizzato alla definitiva e piena disponibilità della cosa sottratta e, pertanto, espressione di maggiore criminosità desunta dalla dimostrata capacità di superare con la frode la custodia apprestata dall’avente diritto e tale da giustificare una più severa risposta sanzionatoria. Nella specie, l’aggravante era stata ritenuta sussistente in un caso in cui il mezzo fraudolento era consistito nell’uso di pantaloncini elasticizzati indossati sotto l’abito per occultare immediatamente la merce sottratta in un supermercato (Cass., Sez. 5, n. 15265/2005, Rv. 232142), ovvero, secondo un’altra ipotesi, nel comportamento del soggetto che aveva sottratto una giacca in un negozio di abbigliamento occultandola sotto il cappotto dopo averla indossata nel camerino di prova (Cass., Sez. 4, n. 13871/2009, Rv. 243203).

Le più esplicite rappresentazioni di tale più rigoroso indirizzo interpretativo si rinvengono nelle pronunce che hanno riconosciuto la sussistenza dell’aggravante, del mezzo fraudolento in un caso di sottrazione di merce presa dai banchi del supermercato, allorquando, nascosta detta merce, altri articoli erano stati presentati alla cassa per il pagamento: tale condotta, infatti, è stata giudicata tale da integrare di per sè una modalità diretta a eludere la vigilanza e a trarre in inganno il preposto al controllo. (Cass., Sez, 4,1 luglio 2010, n. 25871).

Si è quindi, da ultimo, riconosciuta la sussistenza dell’aggravante dell’utilizzo del mezzo fraudolento nel caso dell’impossessamento della merce sottratta dai banchi di un supermercato, da parte del reo, mediante occultamento sulla propria persona: proprio tale condotta di occultamento, siccome di per sè improntata ad astuzia e scaltrezza, deve ritenersi preordinata a eludere gli accorgimenti a tutela dei beni e, nella specie, i controlli predisposti dagli addetti alla cassa del supermercato’ (Cass., Sez. 5, n. 10997/2006, Rv. 236516).

Tale ultimo indirizzo interpretativo appare alla base della decisione assunta nella sentenza della corte territoriale oggetto dell’odierno ricorso, là dove ha ritenuto sussistente la contestata aggravante dell’uso del mezzo fraudolento nell’avere l’imputata ‘occultato all’interno di una borsa i capi sottratti, privi di placche antitaccheggio’, costituendo, tale occultamento, ‘un espediente utile per eludere i controlli visivi del personale di superare le casse senza essere fermata’.

7. – L’evidenziato contrasto interpretativo appare, ad avviso di questo Collegio, tale da giustificare la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite penali ai fini della relativa decisione nei termini all’inizio precisati, a norma dell’art. 618 c.p.p..

8. – Di seguito, ritiene questo collegio che anche il secondo motivo d’impugnazione proposto dalla ricorrente – immediatamente connesso alla risoluzione del primo motivo, stante la relativa natura pregiudiziale ai fini della verifica della subordinazione della procedibilità del reato alla querela della persona offesa – impone una rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte, stante il ravvisato contrasto giurisprudenziale sul punto riassumibile nei seguenti termini:

‘Se, con riferimento al reato di furto punibile a querela della persona offesa, possa considerarsi persona offesa ai fini della proposizione della, querela il responsabile – non legale rappresentante – dell’esercizio commerciale (supermercato) in cui si è verificata la sottrazione’.

9. – Con riguardo alla questione così prospettata, vale evidenziare come, secondo un primo indirizzo interpretativo, si è sostenuto che il direttore e il commesso di un centro commerciale sono legittimati in proprio a proporre querela per il furto commesso in un supermercato appartenente a detto centro, in quanto persone offese dal reato; qualità che spetta, in simile evenienza, non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita. Nel caso di specie, la querela era stata proposta dalla commessa, responsabile della permanenza del supermercato in cui era stato consumato il reato nel centro commerciale (Cass., Sez. 4, n. 37932/2010, Rv. 248451; Cass., Sez. 5, n. 22860/2003, Rv. 224831).

Sulla scorta di tali premesse, è stato riconosciuta la legittimazione del direttore del ‘punto vendita’ di un esercizio commerciale a proporre querela per il furto dei beni posti in vendita, in quanto lo stesso, essendo responsabile della relativa custodia, deve ritenersi persona offesa dal reato (Cass., Sez. 5, n. 26220/2009, Rv- 244090; per il riconoscimento della legittimazione del direttore di un super-mercato v. Cass., Sez. 5, n. 34009/2010, Rv. 248411).

In termini di più marcata evidenza, si è asserito che il responsabile di un esercizio commerciale (nella specie, di un supermercato), pur sprovvisto di poteri di rappresentanza del proprietario, ha legittimazione alla proposizione della querela per i fatti di furto della merce ivi detenuta ed esposta al pubblico (Cass., Sez. 4, n. 41592/2010, Rv. 249416 e, più di recente Cass., Sez. 6, n. 1037/2012, Rv. 253888).

10. – Sulla base di un contrapposto indirizzo interpretativo, si è viceversa affermato che non sussiste la legittimazione del direttore di un esercizio commerciale a proporre querela, a meno che egli non provi la qualità di legale rappresentante della società con il potere di spenderne il nome anche sul piano processuale (Cass., Sez. 2, n. 37214/2006, Rv. 235105), e che, in ipotesi di furto ai danni di un esercizio commerciale, il legale rappresentante della società deve indicare nel verbale di denunzia alla polizia giudiziaria la propria specifica qualità, non essendo sufficiente, perchè la richiesta di procedere penalmente abbia valore di querela, che egli si definisca direttore dell’esercizio commerciale (Cass., Sez. 4, n. 15370/2005, Rv. 231547. Contro, nel senso che la querela priva dell’enunciazione formale della fonte dei poteri di rappresentanza conferiti al legale rappresentante della persona giuridica non è nulla, in quanto la sua inefficacia consegue solo alla mancanza di un effettivo rapporto fra il querelante e l’ente, Cass., Sez. 2, n. 39839/2012, Rv. 253442).

Nel dettaglio, la corte ha rilevato come la querela proposta dal legale rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di un’associazione, deve contenere l’indicazione della fonte del potere di rappresentanza qualora il querelante si qualifichi come soggetto cui essa compete ex lege, dal momento che deve intendersi implicito ed automatico il riferimento alla norma giuridica quale fonte. Ne consegue che solo alla mancanza di un effettivo rapporto fra il querelante e l’ente si ricollega l’inefficacia della querela e non alla mancata enunciazione formale della fonte del potere di rappresentanza (Cass., Sez. 2, n. 37377/2003, Rv. 227038).

Negli stessi termini, si è ribadito come non sussiste la legittimazione del direttore di un esercizio commerciale a proporre querela, considerato che al direttore commerciale non possono riconoscersi poteri di rappresentanza impliciti come si verifica nel caso in cui il potere di esprimere la volontà dell’ente deriva ex lege dalla qualifica di legale rappresentante indicata nell’atto di querela e che, di conseguenza, laddove gli siano conferiti, in relazione a singoli affari o a determinati rami dell’attività, poteri di rappresentanza esterni, sostanziali o processuali, essi debbono trovare la loro fonte nello statuto o comunque in un atto negoziale di conferimento, i quali devono essere allegati (Cass., Sez. 5, n. 45329/2005, Rv. 232738).

In termini più analitici, si è precisato che il direttore di un esercizio commerciale non ha la legittimazione a proporre querela contro l’autore di un furto compiuto all’interno dell’esercizio, non potendogli essere automaticamente attribuita la qualifica di institore commerciale (per la legittimazione del direttore di un supermercato ‘quale institore’ v. Cass., Sez. 2, n. 1206/2008, Rv.

242714). In tale fattispecie, la Corte di cassazione ha precisato che vanno fatti salvi i casi nei quali il potere di proporre querela sia conferito al predetto soggetto dallo statuto o da un diverso atto negoziale (Cass., Sez. 4, n. 44842/2010, Rv. 249068).

Nel caso di specie, con il secondo motivo d’impugnazione proposta in questa sede, la ricorrente ha evidenziato come l’iniziativa avanzata nei confronti dell’imputata fosse stata sporta da tale C. D., qualificatasi come ‘responsabile del supermercato Oviesse, senza allegare nè semplicemente affermare la qualifica di legale rappresentante del supermercato stesso’.

11. – Anche tale successivo contrasto interpretativo appare, ad avviso di questo Collegio, tale da giustificare la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite penali ai fini della relativa decisione nei termini in precedenza precisati, a norma dell’art. 618 c.p.p..

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione, dispone trasmettersi il procedimento alle Sezioni Unite.

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