Le massime
1. L’interpretazione prevalente e consolidata dell’41, comma 2 cod. pen, “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento” è volta a temperare il rigore derivante dalla meccanica applicazione dell’art. 41, comma 1 cod.pen., ove è enunciato il principio c.d. condizionalistico o dell’equivalenza delle cause (“condicio sine qua non”), recepito dal codice penale. La causa sopravvenuta va intesa pertanto come un processo non completamente estraneo a quello antecedente; come una concausa “sufficiente” a determinare l’evento, ma non avulsa dal precedente percorso causale perché, altrimenti, si sarebbe in presenza di una sequenza causale del tutto autonoma, ex se già non riconducibile all’agente in virtù del disposto dell’41, comma 1 cod. pen..
2. Perché possa parlarsi di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o la sua interruzione) si deve dunque trattare di un percorso causale ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. (Nella specie, la Corte Suprema ha confermato la condanna dell’imputato che aveva causato la propagazione delle fiamme nel locale ove era situata una caldaia, accendendone il combustibile – fuori dalla camera di combustione – con della carta imbevuta di benzina, determinando con tale condotta la morte del lavoratore, investito dalle fiamme sprigionate dalla caldaia. La Corte ha sottolineato, avallando la tesi del Gip, che il comportamento della vittima dovesse qualificarsi come avventato e imprudente e non come eccezionale, abnorme o imprevedibile. Alla condotta colposa del lavoratore, che era rientrato nel locale dopo che la caldaia aveva già preso fuoco, non poteva attribuirsi pertanto l’effetto interruttivo del nesso eziologico tra l’azione del ricorrente e l’evento morte).
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
SENTENZA 13 novembre 2012, n.44093
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 31 marzo 2011, la Corte d’appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza emessa l’11 marzo 2010 dal Tribunale di Campobasso, in composizione monocratica, nei confronti di P.M. , procedeva alla riduzione della pena a mesi SEI di reclusione, sul rilievo del preminente concorso di colpa della vittima; pena dichiarata estinta in applicazione dell’indulto di cui alla legge n. 241/2006. Confermava l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art.589 cod. pen. – anche agli effetti della condanna generica al risarcimento dei danni – per aver cagionato, in qualità di titolare dell’omonima impresa, la morte del dipendente C.M. che ebbe a riportare ustioni di terzo grado sul 40% del corpo (che ne determinarono il decesso in (omissis) , per acuta insufficienza cardio – respiratoria) perché investito, il (omissis) , dalle fiamme sprigionatesi nel locale caldaia della villetta di G.G. ove l’impresa dell’imputato aveva installato un impianto di riscaldamento funzionante a paillets (cilindretti di segatura di legname precompressi). Il P. , onde verificare la funzionalità dell’impianto stesso, versando in colpa generica – per imprudenza e per Inosservanza di elementari principi di sicurezza – aveva innescato con un accendisigari, l’accensione di detto combustibile con carta imbevuta di benzina così provocando l’immediata propagazione delle fiamme alla tanica di benzina ed agli arredi dello stesso vano caldaia all’interno del quale, come definitivamente acclarato in punto di fatto, in esito all’apprezzamento delle risultanze istruttorie, la vittima era – ciononostante – rientrata temendo l’esplosione di una bomboletta di gas, colà rimasta con l’altra attrezzatura di lavoro. Ricorre per cassazione l’imputato, per tramite del difensore, articolando un’unica censura, per inosservanza della legge penale, in relazione all’art. 41, comma 2 cod. pen. e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che così può esser riassunta.
Secondo il difensore, la Corte d’appello avrebbe escluso la sopravvenuta interruzione del nesso di causalità tra l’azione colposa del prevenuto e l’evento -invero dovuto al comportamento incauto della vittima – obliterando di prendere in considerazione, con assunti peraltro apodittici, l’incidenza causale sull’evento, della suddetta condotta posta in essere dalla vittima quale causa esclusiva di esso, ex art. 41 comma 2 cod. pen.. Detta condotta avrebbe dovuto qualificarsi abnorme, assolutamente anomala, ingiustificata e del tutto imprevedibile, rispetto all’imputato primo determinatore della serie causale, peraltro sopravvenuta alla causa presupposta. Essa era quindi perfettamente idonea a provocare l’Interruzione della stessa serie causale perché attuata dal lavoratore in maniera del tutto autonoma ‘attraverso un contegno ontologicamente lontano anche dalle ipotizzagli e, quindi, prevedibili opzioni comportamentali imprudenti adottabili dal dipendente nell’esecuzione della sua prestazione lavorativa’.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen..
La Corte distrettuale, nel far luogo alla reiezione dell’appello proposto dal prevenuto, attesa la pacifica ricostruzione dell’incidente, testé ricordata, ha, per un verso, sottolineato la rilevante colpa del P. che, in violazione delle più elementari regole di sicurezza e di prudenza, ebbe ad innescare l’accensione di carta imbevuta di benzina, non agendo all’interno della camera di combustione della caldaia stessa, ma all’esterno ed in prossimità del contenitore del liquido infiammabile. Per altro verso, ha escluso che la condotta colposa della vittima (benché corresponsabile in termini preminenti, dell’evento per aver fatto rientro nel locale caldaia dove il contenitore della ‘miscela’ – benzina ed olio – già aveva preso fuoco in dipendenza dell’innesco della fiamma per fatto dell’imputato, al fine, verosimilmente, di sottrarre alle fiamme – ed all’esplosione – una bomboletta di gas già usata per la saldatura dei tubi) abbia avuto l’effetto di interrompere il nesso eziologico tra la suddetta azione del prevenuto, le ustioni ed il conseguente evento mortale. Ha giudicato la Corte distrettuale, con apprezzamento assolutamente corretto e coerente con le risultanze, il comportamento della vittima non abnorme e non eccezionale né imprevedibile, ancorché avventato ed imprudente. Non poteva invero dirsi avulso dalla comune esperienza di casi simili né che taluno del presenti, per domare le fiamme ovvero per evitare maggiori danni potesse far rientro nel locale caldaia ‘specie dinanzi a fiamme inizialmente non ampie” (tant’è vero che il Tribunale con statuizione divenuta irrevocabile aveva mandato assolto l’imputato dal delitto di incendio colposo attesa l’accertata insussistenza di ‘un fuoco caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento’ – cfr. sentenza di primo grado fgl. 2) né che, provocato dall’imputato l’incendio della ‘miscela’ (contenente benzina), potesse poi svilupparsi una ulteriore recrudescenza del fuoco ‘credibilmente dovuta alla sopravvenuta maggiore vaporizzazione’ della benzina stessa (come chiarito dal consulente di parte ing. R. ) di guisa da cagionare, a causa dell’aumentato calore nel locale, il sollevamento del pavimento ed il conseguente blocco della porta scorrevole che rappresentava l’unica via di fuga per il dipendente poi deceduto. L’azione della vittima non poteva pertanto integrare un causa sopravvenuta esclusivamente produttiva dell’evento, ex art. 41, comma 2 cod. pen., qualificato quindi come fattore concausale (e non come mera occasione) il comportamento ascritto al ricorrente. Giova sul punto altresì rimarcare che la natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto costituisce un tipico accertamento devoluto al giudice del merito che deve logicamente motivare il raggiunto convincimento, al riguardo. Ciò, come testé precisato, è puntualmente avvenuto nel caso in esame,restando quindi preclusa, In questa sede, qualsivoglia diversa ‘rivisitazione’ di quanto statuito.
Invero l’Interpretazione prevalente e consolidata dell’41, comma 2 cod. pen, (‘Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento’) è volta a temperare il rigore derivante dalla meccanica applicazione dell’art. 41, comma 1 cod.pen., ove è enunciato il principio c.d. condizionalistico o dell’equivalenza delle cause (‘condicio sine qua non’), recepito dal codice penale.
La causa sopravvenuta va intesa pertanto come un processo non completamente estraneo a quello antecedente; come una concausa ‘sufficiente’ a determinare l’evento, ma non avulsa dal precedente percorso causale perché, altrimenti, saremmo in presenza di una sequenza causale del tutto autonoma, ex se già non riconducibile all’agente In virtù del disposto dell’41, comma 1 cod.pen..
Conclusivamente, quindi deve osservarsi, come statuito da questa stessa Sezione con sentenza n. 9967/2010, che ‘perché possa parlarsi di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o la sua interruzione come altrimenti si dice) si deve dunque trattare di un percorso causale ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. È noto l’esempio riportato nella relazione ministeriale al codice penale: l’agente ha posto in essere un antecedente dell’evento (ha ferito la persona offesa) ma la morte è stata determinata dall’incendio dell’ospedale nel quale il ferito era stato ricoverato. Il che, appunto, non solo non costituisce il percorso causale tipico (come, per es., il decesso nel caso di gravi ferite riportate a seguito dell’aggressione) ma realizza una linea di sviluppo della condotta del tutto anomala, oggettivamente imprevedibile in astratto e imprevedibile per l’agente che non può anticipatamente rappresentarla come conseguente alla sua azione od omissione (quest’ultimo versante riguarda l’elemento soggettivo ma il problema, dal punto di vista dell’elemento oggettivo del reato, si pone in termini analoghi)’.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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