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Suprema Corte di Cassazione

sezioneVI

sentenza del 30 novembre 2012, n. 46391

…omissis…

Motivi della decisione

Nella più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Sez. 4, 29.1.2007, n. 10979, rv. 236193) si è affermato l’orientamento (che il Collegio condivide, ritenendolo conforme ai principi della Costituzione e della CEDU) secondo cui, in sede di verifica dei presupposti necessari per l’emanazione del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma – nella valutazione del fumus commissi delicti – deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti. Non occorre la sussistenza di indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti che depongano per la sussistenza della ipotizzata fattispecie delittuosa.

Correttamente, sotto tale profilo, l’ordinanza impugnata ha affrontato le questioni pregiudiziali sollevate dalla difesa, suscettibili, se fondate, di far cadere l’intero impianto dell’indagine.

Al riguardo, va anzitutto condivisa la reiezione della pretesa di retrodatazione della iscrizione ex art. 335 c.p.p.. Come puntualizzato, infatti, da Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244376, richiamata anche dal Tribunale, “Allo stato della normativa vigente, occorre,..ribadire il principio per il quale il termine per le indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito, senza che al giudice sia consentito di stabilire una diversa decorrenza. Gli eventuali ritardi nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nominativo cui il reato è attribuito, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407 cod. proc. pen., comma 3, anche se si tratta di ritardi colpevoli o abnormi, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale”. Correttamente è stata anche ritenuta legittima l’autorizzazione delle operazioni di intercettazione, alla stregua delle risultanze documentali e investigative di cui alla informativa di P.G., denotanti, da un lato, cospicue anomalie nell’aggiudicazione degli appalti pubblici del Comune di Pistoia, siccome ruotante sempre fra le medesime imprese, con reciproco scambio anche di subappalti, e caratterizzata da ampia discrezionalità della Commissione aggiudicatrice e frequente ricorso a varianti in corso d’opera, e, dall’altro, inquietanti e intensi contatti telefonici e incontri conviviali fra gli imprenditori interessati e l’ E..

La questione relativa alla ritualità delle intercettazioni video- ambientali è stata invece elusa dal Tribunale con la considerazione della sostanziale non incidenza degli esiti delle captazioni di comportamenti non comunicativi sul complessivo coacervo indiziario derivante dalle altre risultanze.

Con tale considerazione, in una al richiamo all’ordinanza del riesame confermativa della misura cautelare personale, il Tribunale ha inteso in sostanza esaurire il suo esame sulla sussistenza del fumus commissi delicti.

Ora, da un lato, la detta ordinanza del riesame, peraltro genericamente richiamata, è stata nel frattempo annullata da questa Corte e, dall’altro, la molteplicità delle fattispecie delittuose contestate all’ E. (reato ex art 416 c.p., numerosi reati ex artt. 319 e 353 c.p., un reato ex art. 479 c.p., due reati ex art. 317 c.p.) e la natura del sequestro operato (per equivalente a sensi dell’art. 322 ter c.p., comma 1), applicabile solo in relazione a delitti di corruzione ex art. 319 c.p. e in misura corrispondente al “prezzo” conseguito per i medesimi, rendono il suddetto generale riferimento al complessivo coacervo indiziario palesemente inidoneo a integrare una motivazione sul fumus sufficiente a giustificare la misura reale concretamente irrogata.

Questa è stata, invero, disposta sulla base di un prezzo dei reati di corruzione, individuato nella misura del 2% del valore degli appalti “pilotati”. Tale individuazione deriva dalle dichiarazioni di un imprenditore ( M.), ritenute espressive di una condotta generalizzata. La contestazione di tale assunto, formulata nel ricorso, non può essere presa in considerazione in questa sede, attenendo a un prospettato vizio motivazionale non tale da assurgere a violazione di legge. Resta, però, il problema che, essendo stato il detto 2% riferito al valore di “tutti” gli appalti, la verifica della sussistenza del fumus dei relativi reati di corruzione doveva essere eseguita in modo analitico, secondo il criterio suddetto, e non può considerarsi validamente sorretta – una volta caducato, allo stato, il provvedimento del riesame sulla misura personale, genericamente richiamato nell’ordinanza impugnata – dal riferimento al coacervo indiziario, riguardante genericamente e complessivamente tutte le imputazioni.

Tale carenza si riverbera poi, naturalmente, anche sulla questione inerente alla corrispondenza del valore degli immobili sequestrati al prezzo dei delitti. Questione che è stata, fra l’altro e comunque, di fatto elusa dal Tribunale, che si è limitato a generiche considerazioni sulle oscillazioni dei prezzi di mercato e di vendita agli incanti e sull’applicazione della misura ‘fino all’ammontarè della somma individuata come prezzo delle corruzioni, senza preoccuparsi di dare la necessaria concretezza a tali rilievi, con riferimento agli specifici immobili sequestrati (di cui uno costituito da ben 11,5 vani catastali).

L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio al giudice di merito, che procederà, alla stregua dei principi e rilievi suesposti, a nuovo esame, al fine della conferma o meno, totale o parziale, dell’ordinanza applicativa della misura cautelare reale.

Per completezza, può aggiungersi che, ove, nel corso della verifica del fumus, sorgesse la necessità di delibare sulla questione relativa alla ritualità delle intercettazioni video-ambientali, il giudice di rinvio si atterrà ai seguenti principi, sanciti dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234270; Sez. 6, n. 14547 del 31/01/2011, Di Maggio, Rv.

250032; Sez. 1, n. 38716 del 02/10/2007, Biondo, Rv. 238108) e della Corte costituzionale (sent. n. 132 del 2002), in base ai quali deve:

– escludersi l’ammissibilità, come prove, delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi acquisite in ambito domiciliare, in quanto contrastanti con l’art. 14 Cost.;

– riconoscersi l’utilizzabilità delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenute in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico;

– riconoscersi l’utilizzabilità delle videoregistrazioni, pur effettuate in ambito domiciliare, se aventi ad oggetto comportamenti a carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora;

– ritenersi, in tale ultima ipotesi, legittima la collocazione di telecamere all’interno di un luogo di privata dimora, costituendo ciò, come nell’analogo caso delle microspie auditive, una delle naturali modalità attuative di tale mezzo di ricerca della prova, da ritenersi implicitamente ammesso – con esclusione, quindi, di qualsiasi ipotesi di illecita violazione di domicilio – nel provvedimento autorizzativo delle operazioni di intercettazione, senza la necessità di una indicazione specifica.

L’ordinanza impugnata resta invece valida in relazione alla conferma del sequestro probatorio, al quale non sono estensibili le illustrate ragioni di accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro preventivo e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Pistoia. Rigetta nel resto il ricorso.

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