Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza n. 25809 del 12 giugno 2013
Ritenuto in fatto
1. A. L. e B. A. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Roma, in riforma di quella sentenza di primo grado del 7 maggio 2010 ha sostituito ai sensi dell’articolo 53 legge 689/81 la pena detentiva irrogata al m ed ha applicato le pene accessorie nei confronti di entrambi gli imputati per i reato di cui agli articoli 110 del codice
penale e 10 d.lgs. numero 74/2000 loro rispettivamente contestato per aver A. nella qualità di legale rappresentante della società E. e B. di institore occultato i libri contabili.
2. Deducono in questa sede i ricorrenti:
2.1 A.:
2.1.1. violazione dell’articolo 40 del codice penale, 2205 e 2932 del codice civile e 10 d.lgs. 74/2000, nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione sul rilievo che l’imputato non si sarebbe mai interessato della gestione della società. Aggiunge che l’articolo 2205 stabilisce solo per le imprese alle quali è proposto l’obbligo per l’institore di tenuta delle scritture contabili e che ciò si spiega in considerazione che in tal caso l’institore è investito del potere di gestione della società. Rileva che ciò esclude il concorso anche sotto il profilo dell’omesso controllo. Conclude infine rilevando che essendo stata la società trasferita al|’estero con operazione del tutto legittima, era giustificato il fatto che le scritture non fossero in Italia.
2.2 B.
2.2.1 mancanza, contraddittorietà manifesta illogicità della motivazione non potendosi ritenere provata la qualità di reale gestore della società sulla base del fatto che il coimputato lo aveva indicato come amministratore, in mancanza di ulteriori prove.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati ed articolati su censure di merito.
I giudici di appello hanno infatti correttamente risposto ai motivi di impugnazione evidenziando il B. era il reale gestore della società e l’A. sostanzialmente un prestanome socio normalmente investito della carica di institore.
Valgono allora i principi affermati da questa Sezione con la sentenza n. 23425 del 28/04/2011 Rv. 250962 con cui si è affermato che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile nei confronti dell’amministratore di diritto di una società e l’amministratore di fatto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ.), a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
A prescindere dal reato contestato non muta, infatti, la sostanza delle motivazioni con le quali si è puntualizzato, tra l’altro, che il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando non vi è la nomina, ma anche in presenza di un prestanome che non ha alcun potere o ingerenza nella gestione della società e, quindi, non è in condizione di presentare la dichiarazione perché non dispone dei documenti contabili detenuti dall’amministratore di fatto.
In tale situazione l’intraneo
è, infatti, colui che, sia pure di fatto, ha l’amministrazione della società mentre al prestanome il fatto potrebbe esserei addebitato a titolo di concorso a norma dell’art. 2392 c.c. e art. 40 cpv c.p. a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato.
Nell’occasione si è evidenziato come tale principio si riscontra anche in materia di sanzioni amministrative tributarie. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, all’art. 11, parifica infatti il legale rappresentante all’amministratore di fatto sancendo formalmente la diretta responsabilità per le sanzioni anche degli amministratori di fatto.
E nel medesimo contesto si è anche rilevato come un’interpretazione diversa comporterebbe risultati palesemente iniqui.
Si finirebbe, infatti, per addebitare al solo prestanome, per il semplice fatto di avere assunto formalmente la carica di amministratore, tutte le omissioni civilmente o penalmente imputabili a colui che di fatto ha gestito la società mentre rimarrebbe esente da responsabilità civile o penale per i fatti omissivi proprio colui il quale ha il potere ed il dovere di compiere l’azione omessa: nella fattispecie la presentazione della dichiarazione dei redditi.
Tali argomentazioni possono essere integralmente richiamate in questa sede.
La sostanza dei rilievi non muta ove la carica formalmente assunta dal prestanome sia quella di institore.
In un contesto di simulazione appare ultroneo insistere sui compiti spettanti formalmente all’institore come fa l’A .
Quanto alle doglianze del B. sulla sussistenza degli elementi a supporto della situazione descritta ed alla possibilità di esibire la documentazione richiesta, trattasi evidentemente di censure di merito insindacabili in questa sede a fronte di una motivazione che si sottrae a qualsiasi rilievo sul piano della logica e della correttezza dei principi affermati.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1000 per ciascuno dei ricorrenti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1000 ciascuno.
Così deciso, il giorno 27.3.2013
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