SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA n. 196 del 9 gennaio 2014
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8353-2008 proposto da:
M.B. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS)giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 113/2007 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/02/2007, R.G.N. 2502/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2013 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Nel 1997 la sig.ra C.S. convenne dinanzi al Giudice di pace di Bassano del Grappa il sig. M.B., chiedendone la condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di compensi per prestazioni professionali.
2. Il convenuto si costituì ed eccepì di avere già adempiuto la propria obbligazione. A riprova dell’avvenuto pagamento depositò una quietanza sottoscritta dall’attrice.
3. La sig. C.S. non negò che fosse propria la sottoscrizione in calce alla quietanza prodotta dal convenuto, ma allegò che il testo del documento fosse stato falsificato, e che nella sua versione originale la quietanza concerneva un credito diverso da quello azionato in giudizio. Propose perciò querela di falso contro la suddetta quietanza.
Il giudice di pace provvide ai sensi dell’art. 313 c.p.c., e la causa fu riassunta dall’attrice dinanzi al Tribunale.
4. Con sentenza 23 aprile 2003 n. 294 il Tribunale di Bassano del Grappa accertò la falsità del documento impugnato con querela di falso; tale decisione venne quindi confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 5.2.2007 n. 113.
5. La sentenza della Corte d’appello è stata impugnata dal sig. M.B., sulla base di due motivi.
La sig.ra C.S. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col PRIMO MOTIVO di ricorso il sig. M.B. lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa sia in violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), sia in difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Espone che la sig.ra C.S., dopo avere proposto la querela di falso dinanzi al giudice di pace, e dopo avere riassunto il giudizio dinanzi al Tribunale, non confermò personalmente la querela dinanzi a quest’ultimo, così contravvenendo all’obbligo imposto dall’art. 99 disp. att. c.p.c..
Tale violazione aveva reso improcedibile l’incidente di falso, sicchè tanto il Tribunale, quanto la Corte d’appello, avrebbero errato nel decidere nel merito.
Soggiunge che, in ogni caso, la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato la propria decisione di ritenere validamente introdotto il giudizio incidentale di falso.
1.2. Il motivo è infondato con riferimento alla dedotta violazione di legge, ed inammissibile con riferimento al vizio di motivazione.
2. Il primo profilo del primo motivo di ricorso.
2.1. In punto di fatto, dalla motivazione della sentenza impugnata si apprende che:
(a) nel giudizio dinanzi al Giudice di pace, la sig.ra C. S. propose la querela di falso personalmente, con dichiarazione trascritta nel verbale dell’udienza del 30 aprile 1999 (cfr. la sentenza impugnata, p. 6);
(b) il Giudice di pace sospese il giudizio ai sensi dell’art. 313 c.p.c., e rimise le parti dinanzi al Tribunale per il giudizio incidentale di falso;
(c) la causa venne riassunta dinanzi al Tribunale con atto sottoscritto, oltre che dal difensore, anche dalla sig.ra C. S. personalmente (ibidem, p. 6).
2.2. La parte ricorrente si duole ora del fatto che, dopo avere riassunto il giudizio dinanzi al Tribunale, la sig.ra C. S. non avrebbe confermato, nella prima udienza, la propria volontà di proporre querela, omissione che avrebbe reso improcedibile il giudizio incidentale di falso. Questo assunto, tuttavia, è erroneo in diritto: infatti nel caso di proposizione della querela di falso in via incidentale non si applica l’art. 99 disp. att. c.p.c., nemmeno nel caso in cui la querela sia proposta dinanzi al giudice di pace, e il giudizio di falso sia riassunto dinanzi al Tribunale.
2.3. La querela di falso prevista dagli artt. 221 e ss. c.p.c., come noto, può essere proposta con due modalità: in via principale od in via incidentale. Il legislatore circondò di particolari cautele sia l’una che l’altra modalità, in considerazione del nocumento che al querelante potrebbe derivare dal rigetto della domanda di accertamento della falsità. In tale ipotesi, infatti, l’art. 226 c.p.c. prescrive che la parte querelante sia condannata al pagamento di una pena pecuniaria. Il legislatore dunque volle evitare che, per una scelta del difensore, la parte potesse trovarsi esposta a questa forma di responsabilità, e volle adottare misure che da un lato rendessero edotta la parte delle conseguenze della scelta che stava per compiere, e dall’altra fungessero da “filtro” per evitare la celebrazione di incidenti di falso inutili: come, ad esempio, nel caso in cui la parte che ha prodotto il documento in contestazione non intenda avvalersene, oppure – al contrario – fornisca in limine prove tali da rendere avvertito il querelante della sua autenticità.
2.3.1. Per garantire che la parte querelante sia consapevole delle conseguenze cui andrebbe incontro nel caso di rigetto della querela, e per evitare nello stesso tempo che il difensore possa compiere atti i quali, a ragione dei propri effetti, esulino dai normali limiti del mandato difensivo, l’art. 221 c.p.c., comma 2, prescrive che la querela sia proposta dalla parte personalmente, oppure a mezzo di procuratore speciale.
2.3.2. Per evitare, invece, che il giudizio di falso si svolga inutilmente, il legislatore ha previsto due misure diverse, a seconda che la querela sia proposta in via incidentale piuttosto che in via principale.
2.3.2.1. Se la querela è proposta in via incidentale, ciascuna delle parti ha di norma già esposto le proprie pretese e le proprie difese negli atti introduttivi del giudizio. In questo caso, essendo già noto e fissato il thema decidendum, la legge ha previsto come “filtro” al giudizio di falso una triplice attività: la proposizione, l’interpello e la presentazione della querela.
L’art. 221 c.p.c. e art. 222 c.p.c., comma 1, prevedono infatti che, dopo la “proposizione” della querela (cioè la manifestazione della volontà di introdurre il giudizio di falso) il giudice interpelli la parte che ha prodotto il documento circa la sua volontà di avvalersene, ed in caso di risposta affermativa “autorizza la presentazione” della querela. Ma poichè tale “autorizzazione alla presentazione” presuppone che la querela sia già stata “proposta”, è opinione comune che l'”autorizzazione alla presentazione della querela” di cui all’art. 222 c.p.c. consista in sostanza in una conferma, da parte del querelante, della propria volontà di insistere nell’incidente di falso.
2.3.2.2. Se, invece, la querela è proposta in via principale, il convenuto ovviamente solo con la comparsa di risposta può, per la prima volta, manifestare le proprie intenzioni circa l’uso che intende fare del documento che si assume essere falso. Egli potrebbe, ad esempio, ammettere la falsità, oppure negare di volerne far uso, od ancora negare la falsità, ma aggiungere altre circostanze che rendono quel documento superfluo come fonte di prova.
Per fronteggiare tali eventualità, l’art. 99 disp. att. c.p.c. ha dunque previsto la necessità che l’attore (cioè il querelante di falso) confermi la propria intenzione di insistere nel giudizio di falso.
2.4. Ricostruito in questo modo, il sistema della legge è armonico e coerente: esso prevede tanto per la proposizione della querela in via principale, quanto per la proposizione in via incidentale, un doppio impulso da parte del querelante.
Nel primo caso, questo doppio impulso è rappresentato dall’atto di citazione e dalla conferma di esso nella prima udienza, ex art. 99 disp. att. c.p.c.; nel secondo caso (querela incidentale) il doppio impulso è rappresentato dalla proposizione della querela e dalla sua conferma, ex art. 222 c.p.c., una volta che la controparte abbia dichiarato di volersi avvalere del documento.
2.5. La ricostruzione che precede è condivisa dalla giurisprudenza larghissimamente prevalente di questa Corte, e dalla dottrina pressochè unanime.
Quanto alla prima, questa Corte da quasi sessant’anni viene ripetendo che la conferma della volontà di proporre la querela di falso, prescritta dall’art. 99 disp. att. c.p.c., sia necessaria soltanto quando la querela sia proposta con atto di citazione, cioè in via principale.
La sentenza capostipite in tal senso è rappresentata da Sez. 2, Sentenza n. 3105 del 24/09/1954, Rv. 882006, in seguito confermata da Sez. 2, Sentenza n. 3260 del 15/11/1971, Rv. 354702; da Sez. 3, Sentenza n. 743 del 15/03/1974, Rv. 368592 (in questo caso in termini risolutivi); e da Sez. 1, Sentenza n. 9013 del 27/07/1992, Rv.
478362. Illuminante, sul punto, è altresì la motivazione di Sez. 1, Sentenza n. 6959 del 06/07/1999, Rv. 528307, la quale – pur essendo chiamata ad occuparsi di una fattispecie diversa da quella qui in esame – individuò la diversa ratio dell’obbligo di presentazione personale della querela (art. 221 c.p.c.), e di quello di confermarla alla prima udienza (art. 99 disp. att. c.p.c). Fondamento della prima previsione – si legge nella motivazione della sentenza appena ricordata – è la “circostanza che l’esperimento della querela di falso, a motivo delle sanzioni pecuniarie consequenziali al rigetto, non rientra nei poteri del difensore munito di ordinanza procura alle liti”. La funzione della conferma ex art. 99 disp. att. c.p.c., invece, “è da ricercare in ciò, che la querela può riuscire superflua qualora il convenuto, nella comparsa di risposta, dichiari che non intende servirsi del documento incriminato, così come del resto le deduzioni svolte dal medesimo possono essere di tal peso da indurre l’attore a recedere dalla querela stessa”. E’ dunque evidente come, per la decisione appena ricordata, la “conferma” ex art. 9 disp. att. c.p.c. sia necessaria soltanto nel giudizio di falso proposto in via principale, perchè solo in questo caso la lettura della comparsa di risposta potrebbe indurre l’attore a rimeditare la propria scelta di proporre la querela.
Nel giudizio di falso proposto in via incidentale, invece, la “conferma” dinanzi al giudice al cospetto del quale è stato riassunto il giudizio di falso è superflua, perchè il querelante già sa che la controparte intende servirsi del documento, e non v’è bisogno alcuno che valuti nuovamente la convenienza o l’opportunità di proporre la querela.
2.5.1. Questa ricostruzione del quadro normativo non è infirmata dai due (unici) precedenti contrari, ricordati dalla parte ricorrente a p. 7 del ricorso (e cioè Sez. 1, Sentenza n. 173 del 14/01/1977, Rv.
383678, e Sez. 1, Sentenza n. 344 del 10/02/1971, Rv. 349878).
Ciò per tre ragioni.
La prima ragione è che l’orientamento espresso nelle suddette decisioni deve ritenersi isolato ed abbandonato, in considerazione delle più recenti decisioni di segno opposto citate supra, al 2.5.
La seconda ragione è che tutte e due le decisioni appena ricordate fondano la propria conclusione unicamente su un elemento: la lettera dell’art. 99 disp. att. c.p.c., la quale non distinguerebbe tra querela principale ed incidentale. Ma si tratta di un argomento erroneo, e comunque non decisivo.
E’ erroneo, perchè l’art. 99 disp. att. c.p.c. stabilisce espressamente la necessità della conferma quando la querela di falso “è proposta con atto di citazione”, e ciò non può avvenire che nel caso di querela proposta in via principale. Quando, invece, il giudizio di falso sia proposto in via incidentale dinanzi al giudice di pace e poi riassunto dinanzi al Tribunale, la querela non può dirsi “proposta con atto di citazione”: sia perchè la proposizione in senso stretto è già avvenuta dinanzi al giudice incompetente, sia perchè la riassunzione della causa avviene con atto che legge definisce “comparsa” (art. 125 disp. att. c.p.c.), e non “citazione”.
Ma l’argomento letterale invocato dall’orientamento minoritario, oltre che erroneo, è anche non decisivo, in quanto trascura di considerare la ratio della norma: la “conferma” ex art. 99 disp. att. c.p.c. è necessaria nel solo caso di querela in via principale, perchè solo in questo caso il querelante prima della lettura della comparsa di risposta non può sapere se il convenuto intende o meno avvalersi del documento contestato. Nel caso di querela incidentale proposta dinanzi al giudice incompetente, invece, al querelante è noto che l’altra parte ha dichiarato di volersi avvalere del documento, e dunque non ha necessità di valutare di nuovo l’opportunità della querela, una volta riassunta la causa dinanzi al giudice competente. Infine, l’interpretazione dell’art. 99 disp. att. c.p.c. propugnata dall’orientamento minoritario non è compatibile con il criterio interpretativo imposto dall’art. 111 Cost., in virtù del quale quando una norma processuale sia suscettibile di letture diverse, l’interprete deve preferire quella in grado di meglio garantire la più celere durata del processo. Alla luce di tale criterio, pretendere dal querelante in via incidentale, dopo la riassunzione del giudizio, una nuova “conferma” della propria volontà appare un bizantinismo inutile ed inutilmente complicatorio.
Nel nostro caso, infatti, il querelante ha già proposto la querela dinanzi al giudice incompetente; la controparte ha già dichiarato di volersi avvalere del documento, ed il giudice ha già “autorizzato la presentazione” della querela: in un simile contesto, la “conferma” dinanzi al Tribunale d’una querela già “proposta” e “presentata” (per usare i termini del codice) è perfettamente inutile.
2.6. Non sarà inutile, infine, ricordare come la dottrina pressochè unanime, sia pure con sfumature diverse, abbia sostanzialmente condiviso l’opinione dell’inapplicabilità della conferma della querela proposta in via incidentale, ed in tal senso si sono espressi – lo si dica per amor di precisione – sinanche i due autori citati dal ricorrente a pag. 7 del ricorso (che secondo il ricorrente avrebbero manifestato un’opinione conforme alla sua tesi), i quali hanno annotato con toni molto critici i due precedenti giurisprudenziali di diverso avviso, ricordati al precedente.
Il primo motivo di ricorso deve in conclusione essere rigettato sulla base del seguente principio di diritto:
La necessità che la querela di falso sia confermata nella prima udienza, prevista dall’art. 99 disp. att. c.p.c., sussiste soltanto nel caso di querela proposta in via principale. La suddetta conferma non è invece necessaria nel caso di querela proposta in via incidentale dinanzi al giudice di pace, e di successiva riassunzione del giudizio di falso dinanzi al Tribunale, ai sensi dell’art. 313 c.p.c..
3. Il secondo profilo del primo motivo di ricorso.
3.1. Col secondo profilo del primo motivo di ricorso il sig. M. B. lamenta che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato il rigetto dell’eccezione di improcedibilità del giudizio di falso.
3.2. A prescindere dal fatto che tale motivo sarebbe assorbito dal rigetto del motivo che precede, non può tuttavia non rilevarsi preliminarmente che il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, come ripetutamente statuito da questa Corte, con principio condiviso sinanche dalle Sezioni Unite (ex permultis, Sez. U, Sentenza n. 28054 del 25/11/2008, Rv. 605546).
4. Il secondo motivo di ricorso.
4.1. Col SECONDO MOTIVO di ricorso il ricorrente lamenta sia la violazione di lege (art. 360 c.p.c., n. 3), sia il difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Nella esposizione del motivo il ricorrente illustra come la Corte d’appello avrebbe malamente motivato la propria scelta di ritenere falso il documento di cui si controverteva, discostandosi dalle conclusioni cui invece era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio chiamato a valutarne l’autenticità. Tale deficit valutativo, secondo il ricorrente, costituirebbe di per sè violazione dell’art. 61 c.p.c. (sui casi in cui è possibile la nomina del c.t.u.), art. 116 c.p.c. (sulla valutazione delle prove) e 191 (sulla nomina del c.t.u.).
4.2. Il motivo è manifestamente inammissibile per plurime ragioni.
Nella parte in cui lamenta una violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, esso è manifestamente inammissibile sia perchè concluso da un quesito (ex art. 366 bis c.p.c.) del tutto generico, sia perchè il ricorrente prospetta come “violazione di legge” le censure mosse alla valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito, e dunque un tipico vizio di motivazione.
4.3. Nella parte, invece, in cui lamenta il vizio di motivazione, il motivo è inammissibile sia perchè non concluso dalla “chiara indicazione del fatto controverso”, prescritta dall’art. 366 bis c.p.c., sia perchè sotto l’usbergo del vizio di motivazione il ricorrente pretende di sottoporre al giudizio di legittimità una tipica valutazione in fatto, non incongruamente motivata e pertanto incensurabile dinanzi la Corte di cassazione.
5. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’art. 385 c.p.c., comma 1:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna il sig. M.B. alla rifusione in favore della sig.ra C.S. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 2.200 (di cui 200 per spese).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 6 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2014
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