Suprema Corte di Cassazione Civile
sezione III
sentenza n. 10028 del 19 giugno 2012
Svolgimento del processo
1. Il (omissis) alle ore 20,30 in (omissis), direzione via (omissis), R.A. a bordo della auto alfaromeo 146, di proprietà del padre G.O., giunto all’altezza del civico (omissis), uscendo da una curva a gomito, trovava la sede stradale sbarrata da altre vetture ferme sulla carreggiata e già coinvolte da un tamponamento a catena avvenuto poco tempo prima e provocato da una Opel tigra condotta dal proprietario conducente Co.Ma. assicurato presso la Sicurtà. Il conducente R., malgrado la tempestiva frenata, per evitare lo impatto frontale tentava manovra di emergenza invadendo la opposta corsia, e si scontrava frontalmente con altra auto sopravveniente.
2. Con citazione del 27 giugno 2002 R.A. conveniva dinanzi al giudice di pace di Roma: a. Co.Ma., conducente e proprietario della Opel, asserito responsabile del primo tamponamento tra varie auto, unitamente alla assicuratrice Sicurtà; b. P. S. conducente della Citroen ex, nonchè la finanziaria Stefano uno srl e la srl Vigalese quale proprietaria, oltre la assicuratrice Royal e Sunialliance assicurazioni spa; c. L.R. conducente della Fiat Uno, nonchè il proprietario assicurato F. S. e la assicuratrice Fondiaria SAI, e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento dei danni per la inabilità di venti giorni con inattività produttiva;
si costituivano le assicurazioni solidali alle parti interessate contestando la dinamica e chiedendo la riunione del giudizio con altro, n. 6077, pendente dinanzi al giudice di pace e promosso da R.G.O. quale proprietario del mezzo danneggiato.
I giudizi venivano riuniti.
3. Il Giudice di pace di ROMA con sentenza del 15 ottobre 2004 n. 38565 rigettava le domande proposte dai R., conducente e proprietario e compensava tra le parti le spese del giudizio ed il 50% delle spese di CTU. 4. Contro la decisione con atto notificato il 13 gennaio 2005 proponevano appello i R. chiedendo la riforma della decisione e la condanna delle parti convenute. Resistevano le assicurazioni interessate e la Ge Capital servizi finanziari proponendo appelli incidentali in punto di compensazione delle spese.
5. Il Tribunale di Roma con sentenza del 23 febbraio 2007 confermava la sentenza del giudice di pace in punto di rigetto delle domande di risarcimento danni chiesto dai R., ma in accoglimento dei gravami incidentali poneva a carico degli appellanti le spese dei due gradi, come in dispositivo.
6. Contro la decisione ricorrono:
6.1. Con ricorso principale R.G.O. e R. A., affidato a sei motivi, resistono con controricorsi le tre assicurazioni Fondiaria Sai, Royal e Zuritel,avente causa da Sicurtà.
I ricorrenti e i controricorrenti la Fondiaria Sai e Zuritel hanno proposto memorie.
Motivi della decisione
7. Il ricorso, ratione temporis, è soggetto al regime dei quesiti, onde occorre far capo alla giurisprudenza che considera i principi di specificità, decisività, autosufficienza e di coerenza del quesito con le premesse di fatto e di diritto, e nel caso di vizio della motivazione, la congruità delle censure alla logica espositiva rispetto alla chiara indicazione del fatto controverso, ai sensi dello art. 366 bis c.p.c..
In relazione a tali principi il ricorso non merita accoglimento.
Per chiarezza espositiva si offre una sintesi descrittiva dei temi di censura ed a seguire la confutazione in punto di diritto.
7. SINTESI DEI MOTIVI. Nel PRIMO motivo, da pag. 10 a pag. 14, si deduce “Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui allo art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, comma 4” sul rilievo che la Corte di appello nello esaminare i due primi motivi della impugnazione ne avrebbe compiuto una sintesi incompleta e distorta, essendo state ignorate le risultanze probatorie raccolte con lo interrogatorio formale di R.A., con la deposizione testimoniale dei tre vigili urbani e con la acquisizione dei verbali dei detti vigili, elementi che il Consulente tecnico non avrebbe considerato, descrivendo uno stato dei luoghi diverso da quello esistente al tempo del sinistro, in particolare con riferimento alla ridotta visibilità della curva.
Tali circostanze, se valutate, avrebbero condotto allo accoglimento del secondo motivo che metteva in evidenza la negligenza ed imprudenza dei convenuti che si erano tamponati, ma che avevano lasciato i mezzi sulla strada, senza provvedere a segnalare la situazione di pericolo e così determinando la inevitabilità di un ulteriore incidente che aveva coinvolto la autovettura del R..
Il quesito viene proposto nei seguenti termini: “dica la Corte se viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. il giudice di appello che si limiti a sintetizzare, peraltro in modo distorto, come è avvenuto nella specie, i motivi di appello, senza assumere in ordine agli stessi alcuna motivazione”.
Nel SECONDO motivo, da pag. 14 a 26, si deduce ancora error in procedendo e in iudicando per la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 111 Cost. e dell’art. 118 disp. att. c.p.p.; motivazione apparente; nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si ribadisce la tesi della motivazione apparente, avendo il tribunale omesso la indicazione, la valutazione in ordine a decisive risultanze documentali ed a prove orali regolarmente acquisite al processo, con riferimento allo interrogatorio formale, alle deposizioni ed ai verbali dei vigili urbani, ed al contrasto tra la descrizione della situazione viaria al tempo dello incidente, ed alla falsa rappresentazione datane dal geometra M. che non seppe controllare tale discrasia, finendo per essere denunciato dai R. con querela di falso. Alla luce di tali censure la consulenza tecnica appare illogica e fuorviante, sia in relazione allo stato dei luoghi che in relazione alla velocità moderata dell’auto del R. che ebbe a riportare lesioni lievi mentre il conducente dell’auto che venne colpita frontalmente riportava solo danni alla carrozzeria.
IL QUESITO a ff.26 mentre ripropone la indicazione delle norme violate, sostiene la tesi della motivazione apparente, per avere la sentenza, nella parte descrittiva e nella parte motiva, ignorato elementi e dati essenziali, raccolti in sede istruttoria, rendendo così illogica e deviante la ricostruzione della dinamica e delle responsabilità imputabili al conducente R..
Nel TERZO motivo si deduce, da pag. 26 a pag. 31, la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; ed il vizio della motivazione omessa su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
LA CENSURA si articola in due quesiti: il primo denuncia la motivazione fondata esclusivamente sulle conclusioni del CTU, ignorandosi gli altri elementi rilevanti di prova: il secondo, denuncia il vizio della motivazione, essendo il teatro dello incidente descritto dal CTU di pura fantasia, in relazione alla trasformazione non rilevata dello stato dei luoghi.
Nel QUARTO motivo si deduce da pag. 31 a pag. 32, il vizio della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sul rilievo che al tempo dello incidente il sinistro ebbe a verificarsi su un tratto curvilineo senza visuale e che la preesistente situazione di pericolo, creata dal primo sinistro era una situazione imprevedibile, essendo la distanza tra i due gruppi di auto, come indicato dai vigili urbani, di pochi metri.
Il quesito è proposto in termini di mancato rilievo della inattendibilità della consulenza.
Nel QUINTO MOTIVO si deduce, da pag. 32 a pag. 35, come vizio di motivazione, la omessa valutazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, motivazione apparente, omessa valutazione circa un altro fatto controverso e decisivo del giudizio.
Vengono quindi proposti due quesiti che attengono alla valutazione del fattore della velocità non moderata ascritta erroneamente dal CTU al conducente R..
NEL SESTO MOTIVO si deduce, da pag 35 a pag. 41, error in iudicando per la violazione dei principi in tema di causalità e di equivalenza delle cause recepiti allo art. 2043 c.c. e quindi l’error in motivando insufficiente illogica e contraddittoria in ordine a fatti controversi e decisivi,ed omessa in relazione ad altri. Nei due quesiti, il primo in diritto propone la tesi che deve ritenersi interrotto il nesso di causalità nel caso di manovra di emergenza determinata per evitare una situazione di pericolo preesistente e causata dal danneggiante, nel secondo quesito si propone come vizio della motivazione la mancata considerazione della condotta degli automobilisti interessati dal precedente tamponamento, pur avendo potuto apporre un triangolo per segnalare la esistenza dello stato di pericolo, di guisa che la manovra di emergenza non doveva essere considerata come causa determinante.
NEL SETTIMO MOTIVO si deduce, da pag 41 a 43, error in procedendo e nullità della sentenza per extrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il quesito a ff 43 è nei seguenti termini:
“dica la Corte se pronuncia entro i limiti della controversia, come prescrive l’art. 112 c.p.c. il giudice di merito che, come è avvenuto nel caso di specie,fondi la sua decisione su un fatto controverso diverso da quello prospettato dagli attori ed accettato dai convenuti”.
In relazione alle dette censure le parti controricorrenti deducono ragioni di inammissibilità e puntualmente di confutazione in ordine ai quesiti ed ai fatti controversi.
8. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. IL PRIMO ED IL SETTIMO MOTIVO vengono in esame congiunto per la intrinseca connessione, in quanto censurano il medesimo errore di logica motivazionale in ordine ad un sostanziale travisamento dei fatti in relazione alla valutazione delle prove, secondo un apprezzamento che si assume illogico ed in parte omissivo e in parte travisato, dove la censura sintetica è espressa nel settimo motivo che assume decisamente che il giudice del riesame del merito ha fondato la sua decisione su un fatto controverso diverso da quello prospettato dagli attori ed accettato dai convenuti. Tale prospettazione non appare ammissibile in relazione alla natura astratta dei quesiti terminali, che denunciano una non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, mentre dalla lettura della sentenza di appello, vuoi nella parte narrativa, vuoi nella parte motiva, emerge chiaramente che le controparti costituite sin dal primo grado ebbero a contestare il fondamento delle pretese e quindi anche la dinamica dei fatti e del nesso di causalità. NON si tratta dunque di errores in procedendo di tale evidenza e gravità da rilevare come censure invalidanti la stessa logica decisionale, mentre esse possono essere proposte sotto i diversi profili che sono invece specificati nei motivi dal SECONDO AL QUINTO, che attengono alla ricostruzione del fatto dannoso nella sua complessità ed alla verifica del nesso eziologico tra lo incidente occorso al conducente R. in presenza della situazione di pericolo e della manovra di emergenza che ebbe a tentare con lo scontro frontale con una autovettura che procedeva regolarmente, malgrado la situazione derivante dalla esistenza di altri veicoli fermi sulla carreggiata, ma dal lato che interessava la guida del R.. Orbene tutti e cinque i motivi che investono la ricostruzione del fatto storico, come descritta nella sentenza del tribunale quale giudice del riesame, a ff 6 a 9 della sentenza, sostengono da un latola erroneità della Consulenza, su tre punti assunti come decisivi: la prevedibilità della situazione di pericolo, in una curva che si assume a visibilità chiusa, mentre il consulente, erroneamente la considera a visibilità aperta, ignorando le modifiche avvenute sulla sede stradale al tempo delle sue indagini; la velocità dell’alfa romeo non inferiore ai 40 km orari, che il ricorrente assume di essere non superiore ai 20 km orari; la manovra di emergenza con la invasione della corsia opposta e lo scontro frontale, che il giudice di appello considera come rilevante ad interrompere il nesso di causalità con la preesistente situazione di pericolo determinata dal primo sinistro, verificatosi pochi minuti prima, di guisa che i conducenti coinvolti non ebbero il tempo necessario per organizzare idonee segnalazioni della sinistrosità in atto, mentre segnalavano l’incidente ai vigili urbani poi sopravvenuti e redigenti ben due verbali. Un quarto elemento viene indicato dal ricorrente ed attiene alla scivolosità dello asfalto, che avrebbe determinato la perdita di controllo e non la intenzionale invasione della carreggiata.
A fronte di tale diversa ricostruzione dei fatti, appare evidente come il “fatto dannoso controverso” non sia mai stato pacifico tra le parti contrapposte, ed in particolare tra le assicurazioni costituite, e che la sentenza del tribunale, per quanto sintetica, abbia dapprima considerato le risultanze dei due verbali della polizia municipale gruppo (omissis), che hanno descritto la condotta della alfa romeo 164 che aveva invaso la corsia opposta scontrandosi con la Golf che procedeva regolarmente. La Consulenza tecnica modale, secondo la motivazione della sentenza, evidenzia la responsabilità del conducente R., che non procedeva a velocità moderata rispetto allo stato dei luoghi, e come lo stesso ammette, in relazione alla scivolosità del manto stradale, onde la causa del sinistro da cui derivano i danni al R. ed alla sua auto, non si pone in relazione alla situazione causale con il tamponamento preesistente, ma è eziologicamente collegata con la istintiva manovra di emergenza diretta alla propria salvezza, in presenza di una barriera improvvisa che rendeva impossibile il procedere nella propria corsia. La Corte motiva dunque sulla rottura del nesso di causalità con il primo incidente, di guisa che la res controversa è tra il conducente R. ed il suo antagonista, mentre non determina la responsabilità concorrente con gli automobilisti ed i loro solidali interessati dal tamponamento.
Le censure articolare nei motivi da due a sei attengono dunque ad un prudente e articolato apprezzamento delle prove in una situazione certamente complessa e con una consulenza tecnica che ha risentito delle difficoltà obbiettive, ma che resiste alle censure anche aspre che i ricorrenti le rivolgono. Il ricorso per tali motivi è infondato e in parte privo di autosufficienza, poichè le censure sono in parte implicite e in parte apodittiche e dunque resta difficile considerarle nella loro reale valenza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del grado, liquidate come in dispositivo in favore delle controparti costituite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rifondere alle parti costituite Euro 2200,00 per ciascuna, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori e spese generali come per legge.
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