Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 9 gennaio 2014, n. 194
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12631-2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) in (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante e amministratore delegato dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 98/2009 del TRIBUNALE di ROVERETO, depositata il 19/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12631-2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) in (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante e amministratore delegato dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 98/2009 del TRIBUNALE di ROVERETO, depositata il 19/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso al Tribunale di Bolzano del 2007, riassunto dinanzi al Tribunale di Rovereto dopo la dichiarazione di incompetenza territoriale, l’ing. (OMISSIS) convenne in giudizio la societa’ editrice ((OMISSIS) Spa) del quotidiano “(OMISSIS)”. Chiese il risarcimento del danno non patrimoniale per essere stato leso il diritto alla riservatezza mediante la pubblicazione sul suddetto quotidiano, e su una locandina collegata, di’ una propria foto tratta dal c.d. “cartellino fotosegnaletico”, in occasione del suo arresto per furto di energia elettrica.
Il Tribunale – con sentenza pronunciata mediante lettura del dispositivo (il 18 marzo 2009) e depositata il successivo 19 marzo – rigetto’ la domanda e compenso’ integralmente tra le parti le spese di lite.
2. Avverso la suddetta sentenza, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione con due motivi.
La societa’ editrice si difende con controricorso. Chiede, inoltre, la condanna del soccombente ex articolo 385 c.p.c., comma 4.
Il Tribunale – con sentenza pronunciata mediante lettura del dispositivo (il 18 marzo 2009) e depositata il successivo 19 marzo – rigetto’ la domanda e compenso’ integralmente tra le parti le spese di lite.
2. Avverso la suddetta sentenza, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione con due motivi.
La societa’ editrice si difende con controricorso. Chiede, inoltre, la condanna del soccombente ex articolo 385 c.p.c., comma 4.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente, va dichiarata l’ammissibilita’ del ricorso proposto avverso sentenza in unico grado, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 152, nella formulazione applicabile ratione temporis precedente alla modifica operata con il Decreto Legislativo n. 150 del 2011.
Invero, il giudice del merito, nel richiamare l’ordinanza emanata dal Tribunale di Bolzano, ha ricondotto l’azione nell’ambito dell’articolo 152 cit. e ha dichiarato manifestamente infondata, oltre che irrilevante, l’eccezione di incostituzionalita’ sollevata dalla convenuta in riferimento all’omissione dell’appello.
La societa’ convenuta non ha proposto su tale profilo ricorso incidentale.
1.1. Il ricorso e’ stato spedito anche al Garante in materia di protezione dei dati personali; la notifica non risulta perfezionata in mancanza dell’avviso di ricevimento. Il mancato perfezionamento della notifica e’ irrilevante, non essendo previsto un contraddittorio necessario nei suoi confronti; ne’ il Garante era stato parte del giudizio dinanzi al Tribunale.
2. Il Tribunale ha rigettato nel merito la domanda di risarcimento del danno con due argomentazioni alternative; la particolarita’ e’ che la seconda argomentazione e’ sviluppata sulla premessa della ipotetica negazione della prima.
In estrema sintesi, con la prima ha ritenuto non sussistente la lesione, mediante l’illecito trattamento del dato personale costituto dall’immagine, del diritto alla riservatezza; con la seconda, ammessa ipoteticamente la lesione del diritto, ha ritenuto la mancata allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito.
3. Con riferimento alla prima ratio decidendi, il Tribunale ha escluso che la foto pubblicata potesse qualificarsi come “foto segnaletica”, essendo stata privata dei numeri identificativi. Poi, in esito alla comparazione con altre foto prodotte in giudizio dal ricorrente, ha ritenuto che, pur essendo stata estratta da quelle segnaletiche (precisamente quella frontale) effettuate dalle forze dell’ordine in occasione dell’arresto, non fosse diversa dalla foto di qualunque documento di identita’. Equiparata la pubblicazione dell’immagine alla pubblicazione delle generalita’ identificative di un soggetto, ne ha ritenuto lecita la pubblicazione in occasione della notizia di un fatto penalmente rilevante, perche’ essenziale all’esercizio del diritto di cronaca. Ha riconosciuto i requisiti: della “essenzialita’” per l’identificazione della persona chiamata a rispondere del reato; della “pertinenza” pur in presenza di un reato non grave quale il furto, per via del contesto locale; della “continenza formale”, non trattandosi di immagine con ferri ai polsi o in condizioni che rendono palese lo stato di detenzione. In tal modo ha escluso l’illiceita’ nel trattamento dei dati personali e la lesione del diritto alla riservatezza.
3. 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione degli articoli 51 e 595 c.p.; degli articoli 2, 12, 19 e 137 del Testo Unico della privacy; dell’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti; del Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 26; dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; oltre a omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione.
Il motivo, che non contiene il c.d. quesito di fatto richiesto dalla costante giurisprudenza in riferimento al dedotto vizio motivazionale, ai sensi dell’articolo 366 bis. cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, si conclude con i quesiti di diritto che seguono, i quali sono elencati accorpati per comodita’ espositiva.
a) Se puo’ ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletiche, effettuate per le finalita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 26, ovvero se la pubblicazione violi l’articolo 19 del Testo Unico privacy e l’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Se puo’ ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletica sulla base dell’articolo 8 del codice deontologico, che autorizza foto di persone in stato di detenzione solo per motivi di interesse pubblico o per fini di giustizia o di polizia.
b) Se una foto segnaletica puo’ ritenersi confondibile con quelle dei documenti di identita’, data la diversa tecnica fotografica e lo stato di stress di chi e’ fotografato.
c) Se puo’ ritenersi “pertinente” la pubblicazione di foto di persona arrestata per furto di elettricita’.
Se puo’ ritenersi “continente” la pubblicazione della suddetta notizia con foto e locandina.
3.2. Le censure non hanno pregio.
Con i profili sub a) si assume – sostanzialmente – la violazione dell’articolo 12 del codice della privacy, dell’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti richiamato dallo stesso, dell’articolo 8 CEDU, sul presupposto della pubblicazione di una foto segnaletica, effettuata dalle forze dell’ordine.
Invece, il Tribunale ha escluso le caratteristiche delle foto segnaletica risultando, quella pubblicata, priva dei numeri identificativi.
Di conseguenza, anche considerando la foto segnaletica quale foto effettuata in stato di detenzione, per la cui pubblicazione sono richieste condizioni particolari dal codice deontologico (articolo 8, in particolo commi 2 e 3), alla ricorrenza delle quali e’ subordinata la liceita’ e la correttezza nel trattamento dei dati personali secondo le previsioni del codice della privacy (articolo 12), nella specie non puo’ ipotizzarsi la violazione delle suddette norme in mancanza del carattere di foto segnaletica e, quindi, di foto in “stato di detenzione”, della foto pubblicata. Mentre, proprio alle foto segnaletiche si riferiscono sia il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 19 marzo 2003, richiamato anche nella sentenza, sia la sentenza CEDU 11 gennaio 2005, richiamata dal ricorrente.
Con la censura sub b) si critica la valutazione in punto di fatto effettuata dal giudice del merito, secondo il quale, sulla base delle foto di comparazione, la foto tratta da quelle segnaletiche non era dissimile da un documento identificativo. Critica, svolta, peraltro senza un idoneo quesito di fatto. Con la conseguenza che ne e’ impedito il sindacato alla Corte di legittimita’.
Le censure sub c), che attengono alla diffusione di dati per finalita’ giornalistiche e ai limiti del diritto di cronaca a tutela del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali (articoli 137 e 2 codice privacy), prospettano essenzialmente il mancato rispetto dei limiti della pertinenza e della continenza.
Secondo la giurisprudenza di legittimita’, la diffusione dell’immagine di persona cui e’ attribuito un reato, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, e’ essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto (Cass. 18 marzo 2008, n. 7261) e, peraltro, il ricorso non mette in discussione il carattere di essenzialita’. Mentre, si limita a prospettare una diversa valutazione del limite della “pertinenza” e di quello della “continenza”, rispetto ai quali il Tribunale ha congruamente e logicamente argomentato in riferimento al rilievo a carattere locale anche di un reato non grave e al carattere “ordinario” della foto pubblicata.
In definitiva, il motivo va rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: “La pubblicazione su un quotidiano di una foto di persona arrestata, estratta dalle foto segnaletiche effettuate dalle forze dell’ordine ma priva dei numeri identificative propri delle foto segnaletiche, non costituisce foto di persona in stato di detenzione qualora il giudice l’abbia ritenuta non diversa dalle comuni foto identificative, con la conseguenza che per la liceita’ della pubblicazione della stessa non valgono le disposizioni previste dal codice deontologico dei giornalisti (articolo 8), richiamate dall’articolo 12 del codice della privacy; mentre, trattandosi della diffusione per finalita’ giornalistiche dell’immagine, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, di persona cui e’ attribuito un reato, la pubblicazione e’ essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto e deve rispettare, come nella specie accertato dal giudice del merito, gli ulteriori limiti della pertinenza e della continenza“.
4. Il giudice ha, poi, ritenuto che la mancata indicazione, anche a livello di mera allegazione, delle concrete conseguenze pregiudizievoli non patrimoniali subite per effetto della lesione del diritto vantato, costituisse “un altro motivo dirimente di rigetto della domanda” anche a non voler condividere il rigetto della domanda fondato sulla mancata lesione del diritto alla riservatezza mediante l’illiceita’ nel trattamento del dato personale costituito dall’immagine. In particolare, ha sottolineato che, secondo il ricorrente, il danno non patrimoniale conseguirebbe all’accertamento della lesione dell’interesse protetto, mentre secondo la Corte di legittimita’ non sarebbe risarcibile la sola lesione dell’interesse ma solo il c.d. danno conseguenza.
Quindi, ha escluso rilievo alla allegazione dubitativa dello stato di disoccupazione, persistente ad oltre due anni dalla pubblicazione della notizia, anche perche’ la stessa avrebbe potuto fondare, in ipotesi, solo una richiesta di danno patrimoniale.
4.1. Con il secondo motivo, si censura l’argomentazione suddetta del giudice e si deduce la violazione degli articoli 2050, 2059 e 2727 cod. civ.; dell’articolo 115 cod. proc. civ.; del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 15; unitamente a omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione.
Il motivo di censura e’ assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.
4.2. Presupposto delle argomentazioni del giudice e’ la ipotetica non condivisione della prima argomentazione, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di lesione del diritto all’immagine tutelato dall’ordinamento. Di conseguenza, il rigetto del primo motivo, con conseguente fondazione della sentenza impugnata sulla non esistenza della lesione di un diritto tutelato, assorbe completamente il secondo motivo di ricorso facendone venir meno il presupposto, sia pure ipoteticamente assunto. Solo l’accoglimento del primo motivo e il riconoscimento di un diritto leso avrebbe potuto far divenire rilevante la seconda argomentazione del giudice e la censura formulata nei confronti della stessa.
5. In conclusione, il primo motivo va rigettato e il secondo motivo e’ assorbito. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
5.1. Non ha pregio la richiesta, avanzata dalla societa’ controricorrente, di condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis.
Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimita’, affinche’ sussistano le condizioni per l’applicazione dell’articolo 385 c.p.c., u.c., – introdotto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 13 e poi abrogato dalla Legge n. 69 del 2009, per i giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore (4 luglio 2009) – occorre la dimostrazione, eventualmente in via indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno con colpa grave, intendendosi con tale formula la condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarieta’ di cui all’articolo 2 Cost., non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate” (Cass. 18 gennaio 2010, n. 654).
Nella specie, si verte in ipotesi di mera infondatezza della tesi sostenuta e la stessa controricorrente si limita a generiche deduzioni.
Invero, il giudice del merito, nel richiamare l’ordinanza emanata dal Tribunale di Bolzano, ha ricondotto l’azione nell’ambito dell’articolo 152 cit. e ha dichiarato manifestamente infondata, oltre che irrilevante, l’eccezione di incostituzionalita’ sollevata dalla convenuta in riferimento all’omissione dell’appello.
La societa’ convenuta non ha proposto su tale profilo ricorso incidentale.
1.1. Il ricorso e’ stato spedito anche al Garante in materia di protezione dei dati personali; la notifica non risulta perfezionata in mancanza dell’avviso di ricevimento. Il mancato perfezionamento della notifica e’ irrilevante, non essendo previsto un contraddittorio necessario nei suoi confronti; ne’ il Garante era stato parte del giudizio dinanzi al Tribunale.
2. Il Tribunale ha rigettato nel merito la domanda di risarcimento del danno con due argomentazioni alternative; la particolarita’ e’ che la seconda argomentazione e’ sviluppata sulla premessa della ipotetica negazione della prima.
In estrema sintesi, con la prima ha ritenuto non sussistente la lesione, mediante l’illecito trattamento del dato personale costituto dall’immagine, del diritto alla riservatezza; con la seconda, ammessa ipoteticamente la lesione del diritto, ha ritenuto la mancata allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito.
3. Con riferimento alla prima ratio decidendi, il Tribunale ha escluso che la foto pubblicata potesse qualificarsi come “foto segnaletica”, essendo stata privata dei numeri identificativi. Poi, in esito alla comparazione con altre foto prodotte in giudizio dal ricorrente, ha ritenuto che, pur essendo stata estratta da quelle segnaletiche (precisamente quella frontale) effettuate dalle forze dell’ordine in occasione dell’arresto, non fosse diversa dalla foto di qualunque documento di identita’. Equiparata la pubblicazione dell’immagine alla pubblicazione delle generalita’ identificative di un soggetto, ne ha ritenuto lecita la pubblicazione in occasione della notizia di un fatto penalmente rilevante, perche’ essenziale all’esercizio del diritto di cronaca. Ha riconosciuto i requisiti: della “essenzialita’” per l’identificazione della persona chiamata a rispondere del reato; della “pertinenza” pur in presenza di un reato non grave quale il furto, per via del contesto locale; della “continenza formale”, non trattandosi di immagine con ferri ai polsi o in condizioni che rendono palese lo stato di detenzione. In tal modo ha escluso l’illiceita’ nel trattamento dei dati personali e la lesione del diritto alla riservatezza.
3. 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione degli articoli 51 e 595 c.p.; degli articoli 2, 12, 19 e 137 del Testo Unico della privacy; dell’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti; del Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 26; dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; oltre a omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione.
Il motivo, che non contiene il c.d. quesito di fatto richiesto dalla costante giurisprudenza in riferimento al dedotto vizio motivazionale, ai sensi dell’articolo 366 bis. cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, si conclude con i quesiti di diritto che seguono, i quali sono elencati accorpati per comodita’ espositiva.
a) Se puo’ ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletiche, effettuate per le finalita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 26, ovvero se la pubblicazione violi l’articolo 19 del Testo Unico privacy e l’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Se puo’ ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletica sulla base dell’articolo 8 del codice deontologico, che autorizza foto di persone in stato di detenzione solo per motivi di interesse pubblico o per fini di giustizia o di polizia.
b) Se una foto segnaletica puo’ ritenersi confondibile con quelle dei documenti di identita’, data la diversa tecnica fotografica e lo stato di stress di chi e’ fotografato.
c) Se puo’ ritenersi “pertinente” la pubblicazione di foto di persona arrestata per furto di elettricita’.
Se puo’ ritenersi “continente” la pubblicazione della suddetta notizia con foto e locandina.
3.2. Le censure non hanno pregio.
Con i profili sub a) si assume – sostanzialmente – la violazione dell’articolo 12 del codice della privacy, dell’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti richiamato dallo stesso, dell’articolo 8 CEDU, sul presupposto della pubblicazione di una foto segnaletica, effettuata dalle forze dell’ordine.
Invece, il Tribunale ha escluso le caratteristiche delle foto segnaletica risultando, quella pubblicata, priva dei numeri identificativi.
Di conseguenza, anche considerando la foto segnaletica quale foto effettuata in stato di detenzione, per la cui pubblicazione sono richieste condizioni particolari dal codice deontologico (articolo 8, in particolo commi 2 e 3), alla ricorrenza delle quali e’ subordinata la liceita’ e la correttezza nel trattamento dei dati personali secondo le previsioni del codice della privacy (articolo 12), nella specie non puo’ ipotizzarsi la violazione delle suddette norme in mancanza del carattere di foto segnaletica e, quindi, di foto in “stato di detenzione”, della foto pubblicata. Mentre, proprio alle foto segnaletiche si riferiscono sia il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 19 marzo 2003, richiamato anche nella sentenza, sia la sentenza CEDU 11 gennaio 2005, richiamata dal ricorrente.
Con la censura sub b) si critica la valutazione in punto di fatto effettuata dal giudice del merito, secondo il quale, sulla base delle foto di comparazione, la foto tratta da quelle segnaletiche non era dissimile da un documento identificativo. Critica, svolta, peraltro senza un idoneo quesito di fatto. Con la conseguenza che ne e’ impedito il sindacato alla Corte di legittimita’.
Le censure sub c), che attengono alla diffusione di dati per finalita’ giornalistiche e ai limiti del diritto di cronaca a tutela del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali (articoli 137 e 2 codice privacy), prospettano essenzialmente il mancato rispetto dei limiti della pertinenza e della continenza.
Secondo la giurisprudenza di legittimita’, la diffusione dell’immagine di persona cui e’ attribuito un reato, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, e’ essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto (Cass. 18 marzo 2008, n. 7261) e, peraltro, il ricorso non mette in discussione il carattere di essenzialita’. Mentre, si limita a prospettare una diversa valutazione del limite della “pertinenza” e di quello della “continenza”, rispetto ai quali il Tribunale ha congruamente e logicamente argomentato in riferimento al rilievo a carattere locale anche di un reato non grave e al carattere “ordinario” della foto pubblicata.
In definitiva, il motivo va rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: “La pubblicazione su un quotidiano di una foto di persona arrestata, estratta dalle foto segnaletiche effettuate dalle forze dell’ordine ma priva dei numeri identificative propri delle foto segnaletiche, non costituisce foto di persona in stato di detenzione qualora il giudice l’abbia ritenuta non diversa dalle comuni foto identificative, con la conseguenza che per la liceita’ della pubblicazione della stessa non valgono le disposizioni previste dal codice deontologico dei giornalisti (articolo 8), richiamate dall’articolo 12 del codice della privacy; mentre, trattandosi della diffusione per finalita’ giornalistiche dell’immagine, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, di persona cui e’ attribuito un reato, la pubblicazione e’ essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto e deve rispettare, come nella specie accertato dal giudice del merito, gli ulteriori limiti della pertinenza e della continenza“.
4. Il giudice ha, poi, ritenuto che la mancata indicazione, anche a livello di mera allegazione, delle concrete conseguenze pregiudizievoli non patrimoniali subite per effetto della lesione del diritto vantato, costituisse “un altro motivo dirimente di rigetto della domanda” anche a non voler condividere il rigetto della domanda fondato sulla mancata lesione del diritto alla riservatezza mediante l’illiceita’ nel trattamento del dato personale costituito dall’immagine. In particolare, ha sottolineato che, secondo il ricorrente, il danno non patrimoniale conseguirebbe all’accertamento della lesione dell’interesse protetto, mentre secondo la Corte di legittimita’ non sarebbe risarcibile la sola lesione dell’interesse ma solo il c.d. danno conseguenza.
Quindi, ha escluso rilievo alla allegazione dubitativa dello stato di disoccupazione, persistente ad oltre due anni dalla pubblicazione della notizia, anche perche’ la stessa avrebbe potuto fondare, in ipotesi, solo una richiesta di danno patrimoniale.
4.1. Con il secondo motivo, si censura l’argomentazione suddetta del giudice e si deduce la violazione degli articoli 2050, 2059 e 2727 cod. civ.; dell’articolo 115 cod. proc. civ.; del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 15; unitamente a omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione.
Il motivo di censura e’ assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.
4.2. Presupposto delle argomentazioni del giudice e’ la ipotetica non condivisione della prima argomentazione, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di lesione del diritto all’immagine tutelato dall’ordinamento. Di conseguenza, il rigetto del primo motivo, con conseguente fondazione della sentenza impugnata sulla non esistenza della lesione di un diritto tutelato, assorbe completamente il secondo motivo di ricorso facendone venir meno il presupposto, sia pure ipoteticamente assunto. Solo l’accoglimento del primo motivo e il riconoscimento di un diritto leso avrebbe potuto far divenire rilevante la seconda argomentazione del giudice e la censura formulata nei confronti della stessa.
5. In conclusione, il primo motivo va rigettato e il secondo motivo e’ assorbito. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
5.1. Non ha pregio la richiesta, avanzata dalla societa’ controricorrente, di condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis.
Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimita’, affinche’ sussistano le condizioni per l’applicazione dell’articolo 385 c.p.c., u.c., – introdotto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 13 e poi abrogato dalla Legge n. 69 del 2009, per i giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore (4 luglio 2009) – occorre la dimostrazione, eventualmente in via indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno con colpa grave, intendendosi con tale formula la condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarieta’ di cui all’articolo 2 Cost., non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate” (Cass. 18 gennaio 2010, n. 654).
Nella specie, si verte in ipotesi di mera infondatezza della tesi sostenuta e la stessa controricorrente si limita a generiche deduzioni.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della societa’ controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della societa’ controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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