Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 7 marzo 2016, n. 4377

Svolgimento del processo

1. Il (omissis) D.R.A. perse la vita per essere stato investito da un treno mentre, alla guida d’un autocarro, attraversava un passaggio a livello incustodito.
Nel 1998 i congiunti della vittima convennero dinanzi al Tribunale de L’Aquila la società FAS s.p.a. (proprietaria del convoglio, succeduta alla Gestione Governativa) e T.M. , conducente dello stesso. La FAS chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la Assitalia s.p.a..
2. Il Tribunale de L’Aquila con sentenza 9.11.2004 n. 793 rigettò la domanda, ritenendo sussistere una colpa esclusiva della vittima, per non avere diligentemente verificato il sopraggiungere del treno prima di attraversare il passaggio a livello.
3. La sentenza venne impugnata dai soccombenti e la Corte d’appello de L’Aquila, con sentenza 10.11.2011 n. 1065, riformò la decisione e accolse parzialmente la domanda, ritenendo sussistere un concorso di colpa della vittima del 50%.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla FAS, sulla base di 6 motivi.
Hanno resistito con controricorso i congiunti D.R. , e proposto ricorso incidentale basato su 3 motivi, cui ha resistito la FAS con controricorso.
Ha resistito altresì la Assitalia con controricorso al ricorso della FAS.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo del ricorso principale.
1.1. Col primo motivo di ricorso principale la FAS lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, come la Corte d’appello abbia ritenuto che quando il furgone condotto dalla vittima impegnò i binari dl treno, il treno “stava arrivando”. In realtà – sostiene la ricorrente – il giudice d’appello sarebbe giunto a tale conclusione male interpretando una prova testimoniale, dalla quale emergeva non già che il treno “stava arrivando”, ma che il treno “stava impegnando il passaggio a livello”.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio, ovvero quello anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134) può sussistere solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.
Questo vizio tuttavia non può dirsi sussistente solo perché il giudice non abbia preso in esame, nella motivazione della sentenza, alcune fonti di prova: infatti il giudice di merito, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Ove il giudice di merito faccia ciò, la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice del merito.
Da questi principi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito. Il sindacato della Corte è infatti limitato a. valutare se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha motivato la propria decisione di accoglimento della domanda facendo riferimento tanto alla prova testimoniale, quanto agli esiti della consulenza d’ufficio; e spiegando come, sebbene la vittima avesse attraversato i binari senza prestare la dovuta attenzione, una velocità più ridotta da parte del convoglio ferroviario avrebbe consentito di evitare l’impatto od attenuarne i danni.
Si tratta dunque d’una motivazione non inesistente, non illogica e non contraddittoria.
Stabilire, poi, se essa sia anche l’unica consentita dalle prove raccolte è questione non prospettabile in questa sede.
2. Il secondo motivo del ricorso principale.
2.1. Anche col secondo motivo di ricorso principale la FAS lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto, senza che vi fossero prove, che l’avvistamento del furgone da parte del conducente del treno avvenne “diversi secondi” prima dell’impatto.
2.2. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni già esposte al p.1.1..
3. Il terzo motivo del ricorso principale.
3.1. Col terzo motivo di ricorso la FAS deduce che la sentenza d’appello sarebbe contraddittoria, perché muove dalle stesse premesse del giudice di primo grado, per giungere a conclusioni diverse.
3.2. Il motivo è inammissibile, per le medesime ragioni già esposte al p.1.1..
4. Il quarto motivo del ricorso principale.
4.1. Col quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. Si lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 116 c.p.c.. Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe utilizzato un mero indizio (le dichiarazioni contenute in un atto del procedimento penale) per confutare le conclusioni del c.t.u., violando così l’art. 116 c.p.c..
4.2. Il motivo è inammissibile. Premesso che stabilire se e come sia avvenuto un sinistro ferroviario costituisce un accertamento di fatto e non una valutazione in diritto, in buona sostanza col motivo in esame la FAS lamenta che la Corte d’appello avrebbe attribuito valore probante ad un indizio che si sarebbe dovuto ritenere non decisivo.
In merito a tale allegazione sarà sufficiente ricordare come questa Corte da oltre mezzo secolo viene ripetendo che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione” (Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523; in seguito, ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214).
5. Il quinto motivo del ricorso principale.
5.1. Col quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. Si lamenta, in particolare,.la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c..
Deduce che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2697 c.c., condannando la FAS in assenza di prova del nesso di causa tra la condotta del macchinista ed il sinistro.
5.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, per le medesime ragioni indicate al 4.2.
6. Il sesto motivo del ricorso principale.
6.1. Col sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c..
Si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c..
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello non si è pronunciata sulla domanda di garanzia proposta dalla FAS nei confronti della Assitalia, ritenendola abbandonata; tuttavia il giudice d’appello avrebbe aggiunto, nella motivazione della sentenza, che il Tribunale sulla domanda di garanzia non si era pronunciato ritenendola “assorbita”.
Deduce quindi la FAS che la Corte d’appello non aveva il potere di “qualificare” la decisione del giudice di primo grado sulla domanda di garanzia come “assorbimento” piuttosto che come rigetto.
6.2. Il motivo è manifestamente inammissibile.
La sentenza d’appello non contiene alcuna statuizione sul rapporto contrattuale tra FAS ed Assitalia, e quel che la FAS ha inteso impugnare col sesto motivo del suo ricorso non è che un mero obiter dictum.
7. Il primo motivo del ricorso incidentale.
7.1. Col primo motivo di ricorso incidentale B.M.L. , D.R.C. , D.R.F. , D.V.F. e De.Ro.Fa. (d’ora innanzi, per brevità, “i congiunti D.R. “), lamentano un vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Si deduce, al riguardo, che la Corte d’appello non, si è pronunciata sulla domanda di condanna della FAS ex art. 2050 c.c..
7.2. Il motivo è manifestamente infondato: la Corte d’appello ha infatti preso in esame, alle p. 7-8 della sentenza, il problema della invocabilità dell’art. 2050 c.c. nei confronti del gestore del servizio ferroviario.
8. Il secondo motivo del ricorso incidentale.
8.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Si deduce, al riguardo, che nel ritenere la colpa concorrente della vittima la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione viziata, sotto tre profili:
(1) non avrebbe considerato la conformazione dei luoghi;
(2) non avrebbe considerato che il passaggio a livello non era conforme alle prescrizioni del codice della strada;
(3) non avrebbe adeguatamente valutato la c.t.u., là dove ha ritenuto il treno avvistabile da parte dell’automobilista.
8.2. Il motivo è inammissibile.
Ad onta della prospettazione del vizio di motivazione, infatti, i ricorrenti incidentali si diffondono a proporre questioni squisitamente di merito, concernenti il contenuto, il significato e la valutazione delle prove.
Valgono, dunque, anche in questo caso le ragioni di inammissibilità già esposte al p.1.1..
9. Il terzo motivo del ricorso incidentale.
9.1. Col terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Si deduce, al riguardo, che la Corte d’appello non avrebbe motivato adeguatamente la stima del danno non patrimoniale acquisito dai congiunti della vittima jure haereditario (ovvero patito dalla vittima tra le lesioni e la morte), né quella del danno non patrimoniale jure proprio da uccisione del congiunto.
9.2. Il motivo è fondato, in ambedue i profili in cui si articola.
9.2.1. Nel liquidare il danno non patrimoniale patito da De.Ro.Fl. nelle more tra l’investimento e la morte, la Corte d’appello ha così motivato: “tenuto conto della giovane età della vittima, della lunghezza del ricovero e dell’esito fatale dell’incidente, il complessivo danno (…) può essere liquidato in via equitativa (…) in Euro 100.000”.
Quello che precede, tuttavia, è solo un simulacro di motivazione.
Il danno non patrimoniale patito da chi, dopo essere stato ferito, sopravviva quodam tempore per poi venire a mancare, può in tesi consistere:
– sia nel danno biologico temporaneo (invalidità temporanea), da liquidare in via equitativa de die in diem, a prescindere dalla circostanza che la vittima sia stata cosciente o meno;
– sia nell’ansia, nell’angoscia o nella paura provata da chi, lucidamente, si avveda di stare per morire e ne provi il conseguente e comprensibile tormento, da liquidare ovviamente soltanto a chi, nel periodo di sopravvivenza, abbia avuto consapevolezza della propria sorte.
Tanto l’uno, quanto l’altro danno, vanno ovviamente liquidati in via equitativa: ma la liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. non può sbiadirsi in un responso oracolare, né svilirsi al livello di un frettoloso calcolo ragionieristico del tutto sganciato dalle specificità del caso concreto.
È, infatti, principio pacifico e risalente nella giurisprudenza di questa legittimità (a partire almeno da Sez. 3, Sentenza n. 357 del 13/01/1993, Rv. 480259, in motivazione) quello secondo cui il giudice chiamato a liquidare il danno non patrimoniale derivante da una lesione della salute deve adottare un criterio in grado di garantire due principi:
(a) da un lato, assicurare la parità di trattamento a parità di danno, attraverso l’adozione di un criterio standard uniforme;
(b) dall’altro, garantire adeguata considerazione alle specificità del caso concreto, attraverso la variazione in più od in meno del parametro standard. Nel motivare le ragioni della propria decisione, pertanto, il giudice di merito deve:
(a) indicare quale sia il parametro standard adottato; come sia stato individuato e quali ne siano i criteri ispiratori e le modalità di calcolo;
(b) indicare se nel caso di specie, per quanto dedotto e provato dalle parti, sussista la necessità di variare in più od in meno il criterio standard.
La motivazione con la quale il giudice di merito giustifica la liquidazione del danno non patrimoniale alla salute deve dunque essere tale da rendere comprensibile l’iter logico, giuridico e matematico seguito dal giudice (ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 6088 del 20/03/2006, Rv. 590613).
Nel caso di specie, invece, non uno di questi pacifici precetti è stato rispettato dalla Corte d’appello de L’Aquila.
La motivazione da questa adottata, infatti, non ha spiegato:
(a) se la vittima sia stata cosciente o meno nel lasso di tempo tra l’infortunio e la morte;
(b) quale criterio abbia inteso adottare per liquidare il danno da invalidità biologica temporanea;
(c) quale criterio abbia inteso adottare per liquidare (l’eventuale) danno da lucida agonia;
(d) se nel caso di specie sussistevano o meno peculiarità tali da variare in aumento o in diminuzione la misura standard del risarcimento.
9.2.2. Identico a quello appena censurato è il vizio motivazionale che la sentenza impugnata presenta, nella parte in cui ha inteso liquidare il danno non patrimoniale patito in via diretta dagli attori, in conseguenza della morte del loro parente.
Sul punto, infatti, la sentenza così motiva:
“il complessivo danno non patrimoniale subito dal coniuge e dai due figli (che convivevano col defunto, che avevano 40, 15 e 11 anni rispettivamente, che hanno con lui condiviso la pena del ricovero e la sofferenza del decesso, e poi subito la perdita del rapporto parentale) può essere liquidato (…) in Euro 50.000 ciascuno, ed il danno subito dai genitori e dalla sorella del D.R. in Euro 30.000 ciascuno”.
Anche in questo caso la Corte d’appello non ha indicato quale sarebbe la misura standard posta a base del calcolo; come sia stata individuata; e se e come sia stata variata per tenere conto delle specificità del caso concreto.
9.3. La sentenza deve dunque essere cassata con rinvio alla Corte d’appello de L’Aquila, la quale nel riesaminare l’appello dei congiunti della vittima sanerà la mende motivazionali sopra indicate, provvedendo a spiegare:
– quale sia la misura standard adottata per liquidare tanto il danno patito dalla vittima primaria, nelle due diverse manifestazioni sopra ricordate, quanto il danno patito dai suoi congiunti;
– come sia stata determinata tale misura;
– se e perché si sia ritenuto nel caso di specie di variare o meno la suddetta misura.
10. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
(-) rigetta il ricorso principale;
(-) accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello de L’Aquila, in diversa composizione;
(-) rimette al giudice del merito la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

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