Incidente stradale

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 31 gennaio 2014, n. 2186

Svolgimento del processo

1. In data (omissis) P.G. rimaneva vittima di un incidente stradale. Citava quindi a giudizio, davanti al Tribunale di Grosseto, B.P. , conducente del mezzo antagonista, e la s.p.a. Tirrena di assicurazione, chiedendo il risarcimento dei relativi danni.
Il Tribunale dichiarava la responsabilità esclusiva del B. e condannava gli eredi del medesimo – T.L. e B.A. – unitamente alla società Tirrena di assicurazione, frattanto posta in liquidazione coatta amministrativa, al risarcimento dei danni in favore del P. ; condannava altresì la società Tirrena al pagamento in favore dell’INPS, a titolo di surroga, della somma di Euro 84.002,30.
2. Contro la sentenza del Tribunale proponeva appello principale la Fondiaria SAI s.p.a., quale impresa designata per la Toscana del FGVS, nonché appello incidentale la società Tirrena di assicurazione e T.L. , quest’ultima sollecitando una sentenza di condanna che riconoscesse a carico dell’impresa designata l’innalzamento del massimale in favore del danneggiato.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 12 gennaio 2007, in parziale accoglimento dell’appello della società Fondiaria, rigettava per incapienza la domanda di surroga proposta dall’INPS e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della T. , determinava in lire 277.500.000 il massimale minimo applicabile alla fattispecie, condannando la società Fondiaria al pagamento, in favore del P. , dell’ulteriore somma di lire 77.500.000, oltre rivalutazione e interessi, compensando le spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze propongono ricorso principale T.L. e B.A. , con unico atto affidato a due motivi.
Resistono con separati controricorsi P.G. e la Fondiaria SAI s.p.a., quest’ultima con atto contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Le ricorrenti principali resistono con controricorso al ricorso incidentale ed hanno presentato memoria.
L’INPS non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., siccome proposti contro la medesima sentenza.
2. Sempre in via preliminare è necessario esaminare l’eccezione, proposta nel controricorso del P. ed alla quale si sono associate anche le ricorrenti principali, secondo cui il ricorso incidentale della Fondiaria sarebbe inammissibile per irregolarità della procura speciale. Si sostiene, in proposito, che la procura difetterebbe del requisito della specialità e di ogni riferimento alla sentenza della Corte d’appello di Firenze che si va ad impugnare.
2.1. Tale eccezione non è fondata.
Costituisce giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte – alla quale si intende dare continuità in sede odierna – il principio per cui il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l’impugnazione si rivolge. La specialità del mandato, infatti, è con certezza deducibile quando dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità; il che accade nell’ipotesi in cui la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l’uso di formule normalmente adottate per il giudizio di merito e per il conferimento al difensore di poteri per tutti i gradi del procedimento (sentenze 31 marzo 2007, n. 8060, 9 maggio 2007, n. 10539, 3 luglio 2009, n. 15692, 13 dicembre 2010, n. 25137).
Nel caso in esame, la procura conferita a margine del ricorso della Fondiaria SAI, pur contenendo il riferimento ad attività processuali connesse con un giudizio di merito, forma un tutt’uno con il ricorso per cassazione, nel quale c’è un espresso riferimento alla sentenza n. 41 del 2007 della Corte d’appello di Firenze che si va ad impugnare; il che esclude la sussistenza del vizio lamentato.
3. Respinta tale eccezione preliminare, occorre procedere, in ordine logico, all’esame del ricorso incidentale della Fondiaria SAI, la quale lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza.
Osserva la società di assicurazione che i giudici di appello avrebbero del tutto omesso di pronunciarsi sull’eccezione – ritualmente formulata fin dall’atto di gravame – secondo cui la T. e la B. non erano legittimate ad impugnare la sentenza di primo grado per chiedere l’innalzamento del massimale in favore del danneggiato. Ciò perché, essendo l’obbligazione del FGVS risarcitoria e non indennitaria, unico soggetto legittimato a convenire in causa il Fondo – e, per esso, l’impresa designata – sarebbe il danneggiato e non anche il soggetto danneggiante assicurato. E, nel caso specifico, il P. aveva già ricevuto dal FGVS il massimale di assicurazione, dando atto che ogni ulteriore pretesa poteva essere rivolta soltanto contro gli eredi del danneggiante.
Su tale eccezione di difetto di legittimazione attiva, ribadita anche in comparsa conclusionale, la Corte di appello non si sarebbe pronunciata, incorrendo nel lamentato vizio di omissione.
3.1. Tale motivo è infondato.
Si rileva, innanzitutto, che le modalità di formulazione del medesimo sono ai limiti dell’inammissibilità, poiché la società Fondiaria dichiara (p. 4 del controricorso) di avere “tempestivamente eccepito la carenza di legittimazione attiva della signora T. ”, senza specificare dove e come tale contestazione sarebbe avvenuta; di tale incertezza costituisce riflesso anche il quesito di diritto formulato alla p. 8 del controricorso, evidentemente alquanto generico.
Tuttavia, anche volendo trascurare simili dati formali dell’atto, assume rilievo decisivo che il profilo del presunto difetto di legittimazione attiva delle odierne ricorrenti principali è stato posto soltanto in sede di comparsa conclusionale in appello, come la stessa parte implicitamente finisce col riconoscere alla pag. 5 del proprio scritto difensivo, nel quale si riporta uno stralcio di quella comparsa, senza alcun riferimento ad atti precedenti (analogamente, alla p. 7 del controricorso si richiama l’eccezione “ritualmente proposta”, senza specificare dove tale “rituale” proposizione avrebbe avuto luogo, se non nella comparsa conclusionale).
Trattandosi di questione posta tardivamente, non sussiste la lamentata omissione di pronuncia.
4. Si deve, a questo punto, procedere all’esame del ricorso principale.
5. Col primo motivo di tale ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 12 e 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, degli artt. 1 e 5 della direttiva 84/5/CEE del 30 dicembre 1983, degli artt. 19 e 21 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, e dei principi di diretta applicazione delle norme comunitarie da parte del giudice nazionale.
Rileva la ricorrente che, in base alla citata direttiva, lo Stato italiano era tenuto ad innalzare il massimale minimo di assicurazione fino alla somma di 350.000 ECU (pari a lire 630 milioni) per ciascuna vittima. All’adeguamento della normativa interna lo Stato era obbligato entro il 31 dicembre 1987, con applicazione delle nuove norme entro il 31 dicembre 1988. Tali scansioni temporali erano da ritenere vincolanti ed inderogabili; tuttavia lo stesso art. 5 della direttiva consentiva di aumentare gli importi fino alla data del 31 dicembre 1990, a condizione, però, che nel termine del 31 dicembre 1987 fossero state aumentate le garanzie di almeno la metà della differenza tra gli importi in vigore al 1 gennaio 1984 (75 milioni) e gli importi di cui all’art. 1, paragrafo 2 (cioè 630 milioni di lire). La normativa comunitaria, pertanto, consentiva lo slittamento al 31 dicembre 1990 solo a condizione che si fosse rispettata la prima scadenza (31 dicembre 1987) per l’innalzamento del minimo intermedio.
Non avendo lo Stato italiano compiuto il dovuto adeguamento entro il 31 dicembre 1987, non poteva fruire dell’ulteriore rinvio fino al 31 dicembre 1990; ne consegue – secondo le ricorrenti – che, non potendo operare la proroga suddetta, la normativa Europea doveva essere immediatamente applicata, con conseguente individuazione del massimale minimo in lire 630 milioni e non in quello di lire 277.500.000 applicato dalla Corte d’appello.
5.1. Il motivo è fondato.
Preliminarmente occorre confermare la giurisprudenza di questa Corte su due aspetti rilevanti: 1) il danno risarcibile dal FGVS ai sensi dell’art. 21, terzo comma, della legge n. 990 del 1969 – norma applicabile alla fattispecie ratione temporis – va individuato con riferimento all’epoca del sinistro ed al provvedimento allora vigente, e non con riferimento alla data del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa o a quella della decisione (sentenze 1 agosto 2001, n. 10490, e 10 marzo 2006, n. 5233); 2) il FGVS va ricondotto tra quegli organismi o enti nei cui confronti può essere invocata l’applicazione diretta di una direttiva comunitaria rispetto alla quale lo Stato sia inadempiente, pur trattandosi di un effetto c.d. orizzontale, ossia riguardante rapporti tra privati; ciò in quanto detto ente è stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse pubblico, ossia l’interesse sociale a non lasciare prive di risarcimento le vittime della strada. Ne consegue che, nei rapporti tra il FGVS ed i privati, il giudice nazionale è tenuto ad applicare una direttiva non attuata, eventualmente disapplicando le contrastanti norme interne (sentenza 23 gennaio 2002, n. 752, confermata dalla successiva sentenza 5 dicembre 2003, n. 18642).
5.2. Tanto premesso, per una piena comprensione della vicenda in esame, occorre ricordare alcuni fondamentali passaggi normativi.
Secondo l’art. 21, terzo comma, della legge n. 990 del 1969, in caso di liquidazione coatta amministrativa dell’impresa assicuratrice del danneggiante, il danno è risarcito entro i limiti indicati nella tabella A allegata alla legge; ciò in considerazione della natura risarcitoria e non indennitaria di tale obbligazione.
Com’è noto, l’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5 CEE del Consiglio (del 30 dicembre 1983), richiamata dalle ricorrenti principali, ha imposto l’innalzamento del massimale, in caso di una sola vittima, fino alla soglia minima di 350.000 ECU (pari a lire 630 milioni, calcolando lire 1.800 per un ECU, v. sentenza n. 18642 del 2003, cit.).
Il successivo art. 5, comma 1, della direttiva così dispone:
“Gli Stati membri modificano le loro disposizioni nazionali per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 1987. Essi nei informano immediatamente la Commissione”.
Il comma 2 dell’art. 5 stabilisce che le disposizioni così modificate trovino applicazione “entro il 31 dicembre 1988”.
L’art. 5, comma 3, della direttiva così dispone:
“In deroga al paragrafo 2,
b) Gli altri Stati membri dispongono di un termine fino al 31 dicembre 1990 per aumentare gli importi di garanzia sino agli importi previsti dall’art. 1, paragrafo 2. Gli Stati membri che si avvalgono di questa facoltà devono, entro il termine di cui al paragrafo 1, aumentare le garanzie di almeno la metà della differenza tra gli importi di garanzia in vigore al 1 gennaio 1984 e gli importi prescritti all’art. 1, paragrafo 2”.
Ora, lo Stato italiano ha provveduto ad una completa attuazione di tale direttiva soltanto con il d.P.R. 9 febbraio 1990, entrato in vigore a partire dal 1 luglio 1990, cioè in una data successiva rispetto a quella del sinistro per cui è causa; sicché tale decreto non è applicabile al caso in esame. In tale provvedimento il massimale per ogni persona danneggiata è stato innalzato a lire 700 milioni, andando perciò oltre la soglia minima imposta dalla direttiva.
Prima di tale provvedimento, però, il massimale risarcitorio per ogni persona danneggiata era pari a lire 75 milioni alla data del 1 gennaio 1984 (in base al d.P.R. 22 luglio 1983, n. 357), innalzato a lire 100 milioni (col d.P.R. 4 agosto 1984, n. 517) e poi a lire 200 milioni (col d.P.R. 9 aprile 1986, n. 124); soglia, quest’ultima, vigente alla data del 31 dicembre 1987.
5.3. Il punto sul quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi è costituito dalla necessità di stabilire quale fosse il massimale minimo di assicurazione da porre a carico del FGVS, e quindi della società designata, in relazione all’incidente per cui è causa, avvenuto in una data antecedente a quella di entrata in vigore del d.P.R. 9 febbraio 1990 ma comunque ampiamente successiva a quella di entrata in vigore della direttiva citata, che pone a carico degli Stati membri un obbligo di adeguamento. In particolare occorre stabilire, dal testo complessivo dell’art. 5 della direttiva, come vadano interpretate le due date di scadenza fissate nel primo e terzo comma (31 dicembre 1987 e 31 dicembre 1990) e quali conseguenze debbano trarsi in considerazione del fatto che l’adempimento dello Stato italiano è avvenuto entro il 31 dicembre 1990, ma senza rispettare la data del 31 dicembre 1987 per il c.d. adeguamento intermedio.
Bisogna decidere, in altre parole, se lo slittamento dell’adeguamento fino al 31 dicembre 1990 potesse avvenire indipendentemente dal rispetto del termine intermedio, oppure no.
A tale quesito la Corte d’appello ha dato, in sostanza, risposta positiva. Essa ha interpretato le norme nel senso di una concessione agli Stati membri di un duplice termine, quello del 31 dicembre 1987 per il parziale adeguamento e quello del 31 dicembre 1990 per il pieno adeguamento. Ciò premesso – e dando per pacifico che lo Stato italiano non avesse rispettato il primo termine – la Corte territoriale ha ritenuto che i due termini fossero tra loro svincolati, di talché il rispetto del primo non era condizione per lo slittamento del secondo, ma costituiva solo una anticipazione di parte degli effetti definitivi. Per cui è pervenuta alla conclusione che l’applicazione diretta della norma comunitaria imponesse di fissare il massimale per il sinistro in questione nella somma di lire 277.500.000, pari alla metà della differenza tra lire 630 milioni (massimale imposto dalla direttiva entro il 31 dicembre 1990) e lire 75 milioni (massimale vigente al 1 gennaio 1984).
La Corte fiorentina, in sostanza, ha calcolato il massimale secondo il criterio di cui all’art. 5, comma 3, lettera b) , della direttiva pur non essendo intervenuto il necessario adeguamento, da parte dell’Italia, entro il 31 dicembre 1987.
6. Tale interpretazione non è condivisa da questa Corte regolatrice.
6.1. Ed invero, l’attenta lettura della normativa comunitaria – da compiere alla luce del criterio fondamentale per cui le parole della legge hanno una loro intrinseca coerenza e non dicono nulla di più e nulla di meno di ciò che è necessario – dimostra che l’art. 5 è costruito secondo una precisa scansione temporale.
Il comma 1 – come si è detto – impone l’obbligo per gli Stati membri di conformarsi alla direttiva entro il 31 dicembre 1987, con modifiche da applicare entro il 31 dicembre 1988 (comma 2). Gli Stati membri, tuttavia, hanno la facoltà (comma 3, lettera b) di aumentare gli importi di garanzia fino alla soglia prevista (630 milioni) entro il 31 dicembre 1990, ma in tal caso devono aumentare le garanzie, entro il 31 dicembre 1987, della metà della differenza tra gli importi fissati al 1 gennaio 1984 e gli importi fissati dall’art. 1, comma 2.
È evidente – proprio in ossequio al principio per cui la legge non parla invano – che il rispetto dell’innalzamento del massimale fino alla soglia intermedia suddetta costituisce una condizione per poter fruire dello slittamento al 31 dicembre 1990. Se così non fosse, il termine del 31 dicembre 1987 risulterebbe inutiliter datum, il che non può essere. E, d’altra parte, la norma comunitaria si preoccupa di usare due verbi diversi: obbligo di conformarsi nel paragrafo 1, e obbligo di aumentare nel paragrafo 3; è evidente, dunque, che l’obbligo di adeguamento doveva comunque essere rispettato entro la prima data. Soltanto in caso di rispetto del termine del 31 dicembre 1987 agli Stati membri è stata consentita una diluizione degli effetti nel tempo: un primo aumento e poi quello completo e definitivo. Il tutto per comprensibili ragioni di carattere economico alle quali il legislatore comunitario ha dimostrato di non essere insensibile.
In base a quanto detto fin qui, un elemento è certo, e cioè che lo Stato italiano era inadempiente già alla data del 31 dicembre 1987; poiché il massimale alla data del 1 gennaio 1984 era fissato in lire 75 milioni, mentre alla data del 31 dicembre 1987 era fissato in lire 200 milioni, l’aumento intermedio era stato pari a lire 125 milioni, ossia inferiore a quello imposto dall’art. 5, comma 3, lettera b) , che doveva essere pari ad almeno lire 211.500.000 (ossia la metà della differenza tra lire 630 milioni e lire 75 milioni).
6.2. Deve pertanto affermarsi che l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di conformazione entro la data del 31 dicembre 1987 non è stato retroattivamente sanato dal rispetto del successivo termine del 31 dicembre 1990, perché la possibilità di fruire dello slittamento era subordinata ad una condizione che non sussisteva alla data del 31 dicembre 1987. Ne consegue che il mancato rispetto del termine intermedio di adeguamento determina l’immediata applicazione dei massimali di cui all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva in questione (norma suscettibile di applicazione diretta); nel caso in esame, in presenza di una sola vittima, il massimale è di lire 630 milioni. Il sinistro, come si è detto, si colloca in una data – appunto l’8 maggio 1990 – nella quale era ormai certo il mancato rispetto del termine del 31 dicembre 1987 e, d’altra parte, non erano ancora applicabili i massimali di cui al d.P.R. 9 febbraio 1990, in quanto destinati ad entrare in vigore il 1 luglio 1990.
7. L’odierna decisione non è in contrasto con i già citati precedenti di questa Corte, quanto invece in linea di continuità con i medesimi.
Non è in contrasto con la sentenza n. 10490 del 2001, la quale ha osservato che la direttiva in esame non poteva applicarsi ad un sinistro avvenuto nel 1984, poiché a quella data lo Stato italiano non era ancora da considerare inadempiente (analogamente, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16238, per un sinistro del 1986).
Nemmeno è in contrasto, però, con la sentenza n. 18642 del 2003, che costituisce il precedente più prossimo al caso in esame e che è stata più volte invocata a sostegno dell’impugnata sentenza.
Nella pronuncia ora richiamata, infatti, la Corte era stata sollecitata dal ricorso del FGVS a verificare se il risarcimento – liquidato in lire 220 milioni – fosse o meno superiore rispetto al massimale consentito; e la sentenza si è limitata a riconoscere che la suddetta liquidazione, non avendo superato la metà della differenza tra l’importo in vigore al 1 gennaio 1984 (75 milioni di lire) e l’importo minimo imposto dalla direttiva in esame (630 milioni di lire), non era illegittima. Ma di certo essa non ha affrontato ex professo la questione odierna, cioè non ha stabilito quale massimale minimo fosse da applicare in relazione ad un sinistro verificatosi in una data nella quale era ormai certo che lo Stato italiano non avesse rispettato il termine del 31 dicembre 1987 per l’adeguamento della normativa interna.
8. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, col quale si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione delle medesime disposizioni già indicate a proposito del primo motivo, ma sotto un diverso profilo, pervenendo ad una determinazione del massimale in misura comunque inferiore a quella che questa Corte ha ritenuto corretta a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
9. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, mentre va respinto il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata è cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi al seguente principio di diritto:
“L’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5 CEE del Consiglio, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione degli autoveicoli, impone ai medesimi di innalzare il massimale di assicurazione fino alle soglie minime ivi indicate. Il successivo art. 5, comma 1, dispone l’obbligo di conformazione per gli Stati membri entro il 31 dicembre 1987, ovvero (comma 3, lettera b) entro la data del 31 dicembre 1990 ma solo a condizione, in tale ultima ipotesi, che entro il 31 dicembre 1987 fossero state aumentate le garanzie di almeno la metà della differenza tra gli importi in vigore alla data del 1 gennaio 1984 e gli importi di cui all’art. 1, comma 2. Pertanto, avendo lo Stato italiano adeguato la propria normativa soltanto col d.P.R. 9 febbraio 1990, entrato in vigore il 1 luglio 1990, senza rispettare l’obbligo di adeguamento intermedio di cui all’art. 5, comma 3, lettera b), della direttiva stessa, esso deve considerarsi inadempiente a decorrere dal 31 dicembre 1987; ne consegue che, per i sinistri verificatisi fino al 30 giugno 1990, il massimale minimo di assicurazione, applicabile anche nei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, si deve individuare applicando direttamente i valori di cui all’art. 1, comma 2, della direttiva n. 84/5 CEE (nella specie, in presenza di una sola vittima, il massimale è pari a lire 630 milioni)”.
Il Giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

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