Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 30 settembre 2015, n. 39374
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza 23.1.2012 il Tribunale di Firenze, rigettando la richiesta di riesame, ha confermato il sequestro preventivo di un fabbricato in viale B. XX, in relazione ad alcune violazioni edilizie ipotizzate a carico di S.M. (legale rappresentante della società proprietaria dell’immobile), B.E. (direttore dei Lavori) e F.C. (esecutore). Agli indagati – quanto interessa – è stata contestata la violazione dell’art 44 lett. c) DPR n. 380/2001, per avere posto in essere, nelle rispettive qualità, una attività di “sostituzione edilizia” nell’immobile originariamente destinato a magazzino, mediante completa demolizione e successiva ricostruzione del complesso edilizio con modifica di sagoma e destinazione d’uso, avendo iniziato la realizzazione, mediante iniziale demolizione completa, di 50 appartamenti destinati a civile abitazione e uffici nonché 109 autorimesse, in assenza di permesso di costruire.
Secondo i giudici del riesame, gli indagati avevano realizzato una ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d’uso mediante opere strutturali e totali modificazioni rispetto al preesistente edificio con variazioni tra categorie non omogenee, sicché per tale intervento – definito di ampia portata – occorreva il permesso di costruire e non già la DIA (di cui essi erano in possesso), trattandosi di un organismo del tutto diverso. Hanno inoltre ritenuto privo di rilievo il parere 11.1.2012 della Commissione Edilizia osservando che esso riguarda solo la fedele ricostruzione della parte demolita, ma nulla dice del cambio di destinazione d’uso.
2. I difensori degli indagati B. e S. ricorrono per cassazione denunziando due censure:
2.1 Con una prima censura,, lamentano ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cpp, la violazione degli artt. 3 comma 1 lett. d), 22 e 44 DPR n. 380/2001 nonché 79 della legge regionale n. 1/2005. Rilevano innanzitutto che la demolizione ha interessato solo una parte dell’immobile (la campata centrale) come risulta dall’accertamento svolto il 26.9.2011 e richiamano all’uopo il parere della Commissione Edilizia rilasciato l’11.1.2012, ritenuto di importanza decisiva perché definisce con esattezza la natura e i caratteri dell’intervento, soprattutto nella parte in cui precisa che “per la parte demolita si può procedere alla fedele ricostruzione, mantenendo invariata la sagoma”: da ciò consegue – secondo i ricorrenti – la sottoposizione dell’intervento alla semplice DIA e quindi la sua legittimità. Osservano inoltre che l’immobile si trova in zona A (“Centro Storico fuori le mura”) ed è suscettibile di manutenzione (ordinaria o straordinaria) oppure di ristrutturazione. Analizzano poi il progetto allegato alla DIA nonché la normativa di riferimento nazionale (DPR n. 380/2001 art. 3 comma 1 lett. d) e regionale (legge regionale n. 1/2005 art. 79 comma 2 lett. d), osservando che la demolizione rappresenta un intervento minoritario rispetto alla consistenza dell’edificio, e quindi non è propedeutica ad una demolizione totale e quindi ancora una volta soggetta a DIA:a tale problematica il Tribunale – secondo i ricorrenti – non ha fatto alcun riferimento benché sollevata nel corso delle discussione.
2.2 Col secondo motivo i ricorrenti deducono le stesse violazioni di legge indicate nella precedente censura ed in più la violazione degli artt. 7.5 e 8 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore nonché dell’art. 170 del regolamento edilizio comunale. In particolare osservano che il cambio di destinazione d’uso su cui si è soffermato il Tribunale deve invece ritenersi conforme agli strumenti urbanistici. Riportano il contenuto dell’art. 10 dei DPR n. 380/2001 e, quanto alla potestà regionale in materia prevista dall’ultimo comma di tale disposizione, richiamano gli artt. 77 e 78 della legge n. 1/2005 per concludere che gli interventi di ristrutturazione implicanti modifica della destinazione d’uso non richiedono il rilascio del permesso di costruire. A tal fine invocano anche il contenuto degli artt. 7 e 8 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore che qualificano tra gli interventi di ristrutturazione anche quelli finalizzati al mutamento di destinazione d’uso.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati
L’articolo 10 comma 1 lett. c) del DPR n. 380/2001 assoggetta a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino determinate opere (ivi specificamente indicate) ovvero, anche quegli interventi senza opere “nelle zone omogenee A” che comportino “mutamenti della destinazione d’uso”.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato che in tema di reati edilizi, gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire sia nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico sia nel caso in cui, se eseguiti nei centri storici, comportino il mutamento della destinazione d’uso all’interno di una stessa categoria omogenea; diversamente, se eseguiti fuori dei centri storici, gli stessi sono eseguibili in base a denuncia di inizio attività (DIA) qualora comportino il mutamento della destinazione d’uso all’interno di una stessa categoria omogenea (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 9894 del 20/01/2009 Cc. dep. 05/03/2009 Rv. 243102; Sez. 3, Sentenza n. 5712 dei 13/12/2013 Cc. dep. 05/02/2014 Rv. 258686; Sez. 3, Sentenza n. 39897 del 24/06/2014 Ud. dep. 26/09/2014 Rv. 260422).
I ricorrenti riconoscono che sia stata eseguita una ristrutturazione edilizia e che vi sia stato mutamento di destinazione d’uso, ma ritengono che anche in tal caso il titolo richiesto non è il permesso di costruire, ma la semplice DIA, come consentito dalla legge regionale toscana n. 1/2005 all’art. 79 comma 2 lett. d) in mancanza di una demolizione “totale”, anche perché il cambio di destinazione è conforme agli strumenti urbanistici. Ritengono che, secondo la previsione dell’ultimo comma dell’art. 10 DPR n. 380/2001 spetti alle regioni di stabilire quali mutamenti sono subordinati a permesso di costruire o a DIA e che nel silenzio della previsione dell’art. 79 comma 2 lett. d) della citata legge regionale, le ristrutturazioni comportanti modifica dei destinazione d’uso in Toscana non sono soggette al previo rilascio dei permesso di costruire. La tesi non è condivisibile.
La questione di diritto sottoposta al Collegio riguarda evidentemente la competenza concorrente in materia di governo del territorio: ebbene, – per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, rientrano «nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza Corte Cost. n. 259/2014, punto 3.1 del Considerato in diritto; sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali» (così la sentenza n. 309 del 2011), sicché la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo Stato (sentenze n. 102 e n. 139 del 2013). Più specificamente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 309 del 2011, occupandosi di una legge della Regione Lombardia, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio in quanto definiva come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, in contrasto con il principio fondamentale stabilito (“allora”) dall’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001.
Da quanto esposto, discende che la potestà legislativa della Regione Toscana, nella materia di legislazione concorrente (quella relativa appunto al governo dei territorio), non poteva incidere su principi fondamentali, come quello di cui oggi si discute, riservati alla legislazione dello Stato (art. 117 comma 3 Cost.) e quindi errano i ricorrenti nel fondare la legittimità dell’intervento su una potestà legislativa regionale intervenuta su una normativa di “principio” riservata alla legislazione statale.
Nel caso di specie, è assolutamente pacifico (v. ricorso pagg. 4 e 5) che l’immobile si trova in “zona A” (Centro Storico fuori le mura) e che vi è stato un mutamento di destinazione d’uso (da commerciale a residenziale) e ciò è sufficiente per ritenere necessario il previo rilascio del titolo abilitativo.
E’ comunque il caso di aggiungere – ma solo per mera completezza – che la legge regionale n. 1/2005 invocata dai ricorrenti è stata di recente abrogata dall’art. 254 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) che ha disciplinato nuovamente le trasformazioni urbanistiche ed edilizie soggette a permesso di costruire (art. 134), le opere ed interventi soggetti a SCIA (art. 135) e l’attività edilizia libera (art. 136), prevedendo, in particolare, il permesso di costruire anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia ricostruttiva (v. art. 134 comma 1 lett. h n. 2).
Si rivela pertanto corretta l’ordinanza impugnata laddove ha ritenuto necessario, in presenza di una ristrutturazione implicante mutamento della destinazione d’uso, il permesso di costruire.
Il ricorso va perciò rigettato.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15.4.2015.
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