Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 26 ottobre 2015, n. 42964
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 7355/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 11/06/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/06/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paola Filippi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore Avv.to (OMISSIS), sostituto processuali dell’Avv. (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza dell’11 giugno 2014, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 12 aprile 2013, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 15.000,00 di multa, oltre pene accessorie e oltre al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, liquidato in via definitiva in euro 1000,00 per ciascuna, in relazione: ai reati di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, articolo 600 ter c.p., comma 1, articolo 600 sexies c.p., commi 1 e 2, per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e anche in tempi diversi, in qualita’ di allenatore di una squadra dilettantistica, prodotto materiale pornografico utilizzandomi minorenni, con condotta consistita nel riprendere di nascosto le parti intime di questi mentre erano nudi all’interno degli spogliatoi, con l’aggravante di avere commesso il fatto in danno dei soggetti minori di 14 anni ed essendo la persona cui questi erano stati affidati per ragioni di educazione, istruzione, vigilanza e custodia (capo A); articolo 81 c.p., comma 2, articolo 600 quater c.p., commi 1 e 2, perche’, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e anche in tempi diversi, deteneva materiale pornografico ulteriore rispetto a quello di cui al capo A, realizzato mediante l’utilizzo di minore degli anni 18, all’interno della scheda di memoria della macchina fotografica, e dell’hard disk del computer; con l’aggravante dell’ingente quantita’ (capo B). Fatti contestati come commessi tra l'(OMISSIS).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si contesta la sussistenza del reato di cui al capo A, sul rilievo che le immagini di minori intenti a cambiarsi e a farsi la doccia nello spogliatoio dopo la partita di calcio riprese dall’imputato con una telecamera nascosta all’insaputa degli stessi non sarebbero materiale pedopornografico ai sensi dell’articolo 600 ter c.p.. La difesa premette alcune considerazioni circa la nozione di pedopornografia secondo la giurisprudenza di legittimita’, sostenendo che la stessa si riferirebbe solo a minori rappresentati in atteggiamenti di natura sessualmente esplicita. Ne’ la definizione di materiale pedopornografico contenuta nell’articolo 600 ter c.p., nuovo comma 7, potrebbe trovare applicazione nel caso di specie, essendo applicabile ai soli fatti commessi dopo l’ottobre del 2012. Secondo la difesa, sarebbe dunque necessario un atteggiamento consapevole del soggetto passivo, evidentemente insussistente nel caso in esame. E non si potrebbe ritenere – come invece fa la Corte d’appello – che la natura pedopornografica di una determinata immagine dipenda dall’effetto che essa puo’ produrre in capo a chi la osserva, non potendosi attribuire alcune rilevanza al presunto movente morboso dell’autore del fatto.
2.2. – In secondo luogo, sempre con riferimento al capo A dell’imputazione, si sostiene che mancherebbe il requisito dell'”utilizzo del minore” per la produzione del materiale credo pornografico. Secondo la difesa, per “utilizzo del minore” si intende un suo coinvolgimento diretto nella realizzazione del materiale pedopornografico, cioe’ un’interazione fra l’autore della condotta e il minore stesso; interazione che sarebbe esclusa in radice dalla natura della condotta posta in essere nel caso in esame, che potrebbe al piu’ configurare una lesione della privacy.
2.3. – Con un terzo motivo di doglianza, si deducono la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione in ordine alla presunta sussistenza di un pericolo concreto di diffusione delle immagini oggetto del capo A dell’imputazione. Non si sarebbe considerato, in particolare, che l’imputato ha solo un computer, senza alcun programma di file sharing e che le immagini da lui realizzate non erano contenute in cartelle di condivisione ma archiviate in hard disk esterni, non collegati in rete. Inoltre, non vi era stata alcuna condivisione del materiale con altre persone ne’ alcun contatto dell’imputato con soggetti riconducibili al mondo della pedofilia. La tesi della Corte d’appello, secondo cui un hard disk esterno per sua natura si presta strutturalmente e funzionalmente alla propagazione per via telematica, non coglierebbe nel segno, perche’ identificherebbe il rischio di diffusione del materiale con la mera archiviazione dello stesso. E sarebbe contraddittorio anche il riferimento operato dei giudici d’appello alla ripetitivita’ delle operazioni riproduttive, che nulla avrebbe a che vedere con la potenziale diffusione del materiale.
2.4. – In quarto luogo, si deduce la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza delle conclusioni del consulente medico-legale di parte circa l’assenza di significato sessuale delle immagini per l’imputato. Non si sarebbe considerato che egli ha un problema fisico, costituito da una “fimosi serrata” e che egli non aveva mai attribuito un diretto significato sessuale alle immagini che ritraevano i minori nello spogliatoio. Cio’ escluderebbe in campo all’imputato un movente di natura sessuale.
2.5. – In relazione al reato di cui al capo B d’imputazione, si deducono – con un quinto motivo di doglianza – l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, nonche’ la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che le immagini scaricate da Internet e raffiguranti i minori avessero natura pedopornografica. Si tratterebbe, invece, di immagini prive di contenuto sessualmente esplicito, trattandosi di fotografie di ragazzini nudi o in costume, scorrettamente ritenute dalla Corte d’appello come propulsive dell’eccitamento sessuale dell’imputato.
2.6. – In sesto luogo, si deducono la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione, nonche’ l’erronea applicazione dell’aggravante dell’ingente quantita’. Vi sarebbe stata, ad avviso della difesa, una impropria somma fra il materiale realizzato con le riprese nello spogliatoio e quello definitivamente cancellato, che invece sarebbe stato ritenuto recuperabile da parte dell’imputato. Non si sarebbe considerato, inoltre, che il capo dell’imputazione fa espresso riferimento al solo materiale diverso da quello realizzato nello spogliatoio. Del resto, il consulente tecnico avrebbe chiarito che i file cancellati non erano quelli presenti nel cestino del computer ma erano file irrecuperabili, se non con la tecnica del “file carving”.
2.7. – Per il caso in cui la Corte di cassazione ritenesse rientrante nella nozione di materiale pedopornografico anche quello raffigurante i minori intenti a lavarsi e a cambiarsi in uno spogliatoio, senza che gli stessi fossero implicati in attivita’ sessuali e senza alcuna interazione con l’imputato, si propone questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 600 ter c.p., comma 1, con riferimento alla violazione dei principi costituzionali di offensivita’ e tassativita’ (articolo 25 Cost., comma 2, e articolo 27 Cost.), per le ragioni esposte con i motivi di ricorso.
2.8. – Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza di fronte a questa Corte, si ribadiscono le considerazioni gia’ svolte nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso e’ infondato.
3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si contesta la sussistenza del reato di cui al capo A, sul rilievo che le immagini di minori intenti a cambiarsi e a farsi la doccia nello spogliatoio dopo la partita di calcio riprese dall’imputato con una telecamera nascosta all’insaputa degli stessi non sarebbero materiale pedopornografico ai sensi dell’articolo 600 ter c.p. – e’ infondato.
3.1.1. – La censura sollevata dal ricorrente comporta la necessita’ di individuare la nozione di pornografia minorile. Come gia’ chiarito da questa Corte (con l’ampia disamina contenuta nelle sentenza sez. 3, 6 febbraio 2013, n. 5874; sez. 3, 27 gennaio 2015, n. 19191), il legislatore, sia nella relazione al disegno di legge che durante i lavori parlamentari (Legge n. 269 del 1998, e legge di modifica n. 38 del 2006), ha evitato di fornire una definizione di pornografia minorile, lasciando all’interprete di valutare, di volta in volta, il carattere pornografico del materiale. La giurisprudenza di legittimita’, con la sentenza sez. 3, 4 marzo 2010, n. 10981, ha indicato, con precisione, i criteri di individuazione del materiale pornografico minorile, ritenendo che il delitto di pornografia minorile sia configurabile esclusivamente quando il materiale medesimo ritragga o rappresenti visivamente un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale puo’ essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica. Tanto premesso, va ricordato che, secondo il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell’Infanzia, sulla vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia rappresentante bambini, stipulato a New York il 6 settembre 2000 e ratificato dall’Italia con la legge 11 marzo 2002, n. 46, si intende per pornografia minorile “qualsiasi rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad attivita’ sessuali esplicite, concrete o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali a fini soprattutto sessuali”. Sulla stessa linea si colloca la definizione contenuta nella decisione quadro del Consiglio Europeo n. 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, secondo la quale si intende per “bambino” una persona d’eta’ inferiore ai diciotto anni, e per “pornografia infantile” un materiale che ritrae o rappresenta visivamente: “1) un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o dell’area pubica; 2) una persona reale che sembra essere un bambino, implicata o coinvolta nella suddetta condotta; 3) immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta” (articolo 1). Entrambe le definizioni, quindi, sottolineano due elementi essenziali della pornografia: quello della rappresentazione di una figura umana e quello dell’atteggiamento sessuale della figura rappresentata. E il giudice italiano, nell’applicazione dell’articolo 600 ter c.p., deve fare riferimento alla nozione comunitaria di pedopornografia fornita dall’articolo 1 della decisione quadro 2004/68/GAI, cosi’ adottando un’interpretazione secundum legem, che conferisca alla fattispecie penale un significato costituzionalmente compatibile col principio di determinatezza, laddove richiede alla pedopornografia (e in genere alla pornografia) una connotazione esplicitamente sessuale. In altri termini si richiede, per la configurabilita’ del reato, la presenza di “fotografie ritraenti immagini di minori in pose sessualmente equivoche” che non necessariamente consistono nella rappresentazione di atti sessuali attivi o passivi che vedano coinvolta la giovane vittima (v. anche sez. 3, 3 marzo 2010, n. 21392).
In tale quadro e’ intervenuta la Legge 1 ottobre 2012, n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a (OMISSIS), e di adeguamento delle norme interne. Tale legge con l’articolo 4, comma 1, lettera h), ha modificato il testo dell’articolo 600 ter c.p., inserendovi, all’ultimo comma, la definizione di pornografia minorile come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo di un minore degli anni diciotto coinvolto in attivita’ sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”. Tale definizione appare ispirata a un maggiore rigore, rispetto alle definizioni che la giurisprudenza ha mutuato dal previgente quadro normativo, perche’, pur essendo temperata dal riferimento agli “scopi sessuali” ricomprende nel concetto di pedopornografia anche la sola rappresentazione degli organi sessuali e non piu’ l’esibizione lasciva degli stessi (sez. 3, 20 novembre 2013, n. 3110, rv. 259317).
3.1.2. – Venendo al caso in esame, deve rilevarsi che la nuova, piu’ rigorosa, formulazione dell’ultimo comma dell’articolo 600 ter c.p., non puo’ trovare applicazione, ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4, perche’ i fatti sono contestati come commessi tra il 2010 e il 2011 e, quindi, prima dell’entrata in vigore della Legge n. 172 del 2012.
Nondimeno, va osservato che la Corte d’appello ha correttamente richiamato e applicato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ sulla base della disciplina previgente, evidenziando che il materiale pornografico in sequestro e’ costituito da diverse fotografie e film che ritraggono minori infraquattordicenni nudi ed e’ connotato dal carattere lascivo dell’esibizione dei genitali o della zona pubica o dalla rappresentazione di atteggiamenti sessualmente allusivi. Tale documentazione fotografica e’ analiticamente esaminata in sentenza, laddove si evidenzia che dalla stessa emerge una paziente e impegnata ricerca dei momenti in cui i ragazzi assumono posizioni che si concretizzano in atteggiamenti lascivi ed eroticamente eccitanti, pur se non volontariamente assunti dalle giovani vittime. Ne’ la definizione di pedopornografia a cui si e’ fatto richiamo richiede i requisiti della consapevolezza del soggetto passivo, dell’interazione di questo con il soggetto attivo, o dell’assunzione volontaria di pose eroticamente eccitanti, essendo la stessa ancorata strettamente al solo dato oggettivo (per una fattispecie analoga, v. sez. 3, 27 gennaio 2015, n. 19191).
3.2. – Da quanto appena osservato deriva l’infondatezza anche del secondo motivo di doglianza, perche’ con esso la difesa sostiene – adottando un erroneo presupposto interpretativo – che il carattere pedopornografico della rappresentazione presuppone necessariamente un’interazione consapevole fra l’autore della condotta e il minore rappresentato.
3.3. – Parimenti infondato e’ il terzo motivo di ricorso, con cui si deducono la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione in ordine alla presunta sussistenza di un pericolo concreto di diffusione delle immagini oggetto del capo A dell’imputazione.
Deve premettersi, sul punto, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sez. 3, 11 marzo 2010, n. 17178, rv. 246982; sez. 3, 12 marzo 2015, n. 16340, rv. 263355), le nozioni di “produzione” ed “esibizione” – cui faceva riferimento l’articolo 600 ter c.p., nella versione previgente e cui fa attualmente riferimento l’articolo 600 ter c.p., comma 1, n. 1), nel testo introdotto dalla Legge n. 172 del 2012, articolo 4, comma 1, lettera h), n. 1), – richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e la destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi. La disposizione richiede, dunque, non l’effettiva diffusione o divulgazione del materiale pornografico, ma solo la possibilita’ concreta che il materiale sia diffuso o divulgato.
La Corte d’appello, applicando correttamente tali principi, contrasta in modo adeguato i rilievi difensivi, che sono basati sulla considerazione che l’imputato ha solo un computer, senza alcun programma di file sharing e che le immagini da lui realizzate non erano contenute in cartelle di condivisione ma archiviate in hard disk esterni, non collegati in rete. La stessa Corte evidenzia, infatti, che l’hard disk esterno per sua natura si presta strutturalmente e funzionalmente alla propagazione del suo contenuto e che le immagini si trovavano su diversi supporti digitali portatili. A tale elemento aggiunge quelli della catalogazione del materiale, della ripetitivita’ delle operazioni riproduttive e delle modalita’ particolarmente insidiose delle riprese, che denotano certamente l’esistenza di un contesto organizzato almeno embrionale.
3.4. – Le considerazioni svolte sub 3.1.1. si attagliano pienamente anche al quarto motivo di ricorso, con cui si deduce la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza delle conclusioni del consulente medico-legale di parte circa l’assenza di significato sessuale delle immagini per l’imputato e circa i problemi che l’imputato stesso aveva all’apparato genitale. Si tratta infatti – come visto – di un profilo del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato, perche’ riferito al “movente” del reato e al significato che le immagini avevano soggettivamente per l’imputato e non alla natura oggettiva delle immagini stesse, unico elemento rilevante ai fini della loro qualificazione come pedopornografiche.
Ne deriva l’infondatezza anche di tale doglianza.
3.5. – Inammissibile, per genericita’, e’ il quinto motivo di ricorso, riferito al reato di cui al capo B d’imputazione, con cui si deducono l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, nonche’ la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che le immagini scaricate da Internet e raffiguranti i minori avessero natura pedopornografica.
La difesa si limita, infatti, a contestare, in via di fatto e senza alcun puntuale riferimento critico agli atti di causa, la motivazione della sentenza impugnata, asserendo che le immagini sarebbero prive di contenuto sessualmente esplicito. E cio’, a fronte dell’analitica descrizione delle immagini stesse contenuta nella sentenza d’appello, la quale esplicita che si tratta di ragazzi e bambini nudi, con i genitali e le natiche in vista, in posizioni provocanti e propulsive dell’eccitamento sessuale (pag. 4 della sentenza).
3.6. – Anche il sesto motivo di impugnazione – con cui si lamentano la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione, nonche’ l’erronea applicazione dell’aggravante dell’ingente quantita’ – e’ inammissibile. In particolare, vi sarebbe stata, ad avviso della difesa, una impropria somma fra il materiale realizzato con le riprese nello spogliatoio e quello definitivamente cancellato, che invece sarebbe stato ritenuto recuperabile da parte dell’imputato.
Si tratta di un assunto generico, perche’ del tutto sganciato da puntuali riferimenti a dati quantitativi relativi al numero dei file che – secondo la difesa – sarebbero cancellati e irrecuperabili. Tale assunto e’, comunque, puntualmente smentito dalla Corte d’appello, la quale evidenzia che – anche facendo riferimento alle sole immagini diverse da quelle realizzate dall’imputato clandestinamente all’interno dello spogliatoio – le stesse sono numerosissime e si trovano su diversi supporti digitali.
3.7. – Manifestamente infondata e’ la questione di legittimita’ costituzionale che la difesa propone, in via subordinata, per il caso in cui la Corte di cassazione ritenesse rientrante nella nozione di materiale pedopornografico anche quello raffigurante i minori intenti a lavarsi e a cambiarsi in uno spogliatoio, senza che gli stessi fossero implicati in attivita’ volutamente sessuali e senza alcuna interazione consapevole con l’imputato. Nessun contrasto sussiste, infatti, tra l’articolo 600 ter c.p., comma 1, e gli evocati parametri, rappresentati dai principi costituzionali di offensivita’ e tassativita’ (articolo 25 Cost., comma 2, e articolo 27 Cost.). E’ sufficiente qui richiamare quanto gia’ chiarito sub 3.1.1. circa la piena rispondenza nell’interpretazione del concetto di pedopornografia data dalla giurisprudenza di questa Corte ai richiamati principi. Si e’ infatti adottata un’interpretazione secundum legem, che conferisca alla fattispecie penale un significato costituzionalmente compatibile col principio di determinatezza, proprio laddove richiede alla pedopornografia una connotazione esplicitamente sessuale, anche se su un piano strettamente oggettivo e, cioe’, anche a prescindere dalle motivazioni o dall’eccitazione sessuale del soggetto attivo nonche’ dalla volontarieta’ degli atteggiamenti e delle posizioni assunte dal soggetto passivo.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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