Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 22 maggio 2014, n. 11361

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25571/2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) giusta procura del Dott. Notaio (OMISSIS) in CATANIA 6/6/2012, REP. n. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) SPA (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1121/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 07/08/2009, R.G.N. 684/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per Cassazione contro la s.p.a. (OMISSIS), nonche’ contro (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. avverso la sentenza del 7 agosto 2009, con cui la Corte d’Appello di Catania ha accolto parzialmente l’appello da lui proposto avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Mascalucia, la quale, investita da esso ricorrente di una domanda di risarcimento del danno sofferto a causa delle lesioni riportate in un sinistro stradale, avvenuto l'(OMISSIS) in (OMISSIS) tra il motociclo da lui condotto e quello condotto da (OMISSIS), aveva condannato costui in solido con l'(OMISSIS), quale sua assicuratrice per la r.c.a., al pagamento della somma complessiva di euro 102.229,25, oltre accessori a titolo di danno non patrimoniale.
p.2. La sentenza qui impugnata, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed accogliendo parzialmente l’appello, riconosceva al ricorrente l’ulteriore importo di euro 43.050,00, oltre a rivalutazione e interessi, come riconoscimento del “pregiudizio patrimoniale temporaneo” subito dal danneggiato nel periodo di malattia e convalescenza, a causa della perdita di introiti verificatasi nella sua attivita’ professionale per il tempo per cui era rimasto impedito dalle lesioni riportate ad un arto superiore. La Corte d’Appello, viceversa, confermava, per quanto ancora interessa, la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva riconosciuto il “danno futuro” di natura patrimoniale derivante dalla riduzione della capacita’ lavorativa specifica accertata nella misura del 18% con pronuncia passata in giudicato.
p.2. Al ricorso, che propone tre motivi, resisteva con controricorso soltanto l'(OMISSIS).
p.3. Con ordinanza del 16 novembre 2011, a seguito di trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., la Sesta Sezione civile di questa Corte, rilevato in adesione alla relazione depositata ai sensi di detta norma, che era nulla la notificazione del ricorso nei riguardi del (OMISSIS) e della s.p.a. (OMISSIS) in quanto figurava eseguita presso i difensori dei medesimi nel primo grado di giudizio, nonostante che essi fossero rimati contumaci in grado di appello.
p.4. L’ordine di rinnovo veniva ritualmente eseguito ed all’esito gli intimati non si costituivano. Veniva, quindi, fissata l’odierna udienza.
p.5. In vista di essa il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 2056, 1223, 1226, 2727 e 2729 c.c., nonche’ degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, con riferimento all’esclusione di qualsivoglia risarcimento per danno futuro”.
Nella illustrazione si riferisce in primo luogo che la sentenza di primo grado era stata appellata la’ dove aveva escluso la sussistenza in capo al ricorrente del “danno patrimoniale permanente” ai sensi dell’articolo 1223 c.c., sotto il profilo del decremento dei redditi dopo il sinistro in ragione della riconosciuta diminuzione della capacita’ lavorativa specifica e, di seguito, si rileva (ma senza che poi se ne tragga censura, almeno ai fini di questo motivo) che alla Corte catanese era stato richiesto ai sensi dell’articolo 184 bis c.p.c., (all’epoca vigente) di consentire l’acquisizione all’uopo delle dichiarazioni dei redditi effettuate dopo il sinistro.
La critica alla sentenza impugnata, quindi, viene svolta richiamando preliminarmente il processo motivazionale della sentenza impugnata ed evidenziando, in particolare:
a) che essa, dopo avere riconosciuto, sulla base di dati espressamente assunti con riferimento alle dichiarazioni dei redditi negli anni dal 1996 al 2001, cioe’ per i quattro anni anteriori al sinistro e per quello dell’incidente ed il successivo, il danno patrimoniale temporaneo, derivante dalle perdite subite durante lo stato di inabilita’ totale e parziale, ha negato il danno patrimoniale permanente premettendo che “il danneggiato deve rigorosamente fornire la prova del danno, non potendo invocare il potere equitativo del giudice, che, come noto, non puo’ supplire le carenze probatorie” e, quindi, aderendo alla valutazione della sentenza di primo grado con l’osservare che “peraltro, il primo giudice, con efficace argomentazione ha spiegato che, pur in presenza di postumi che possano ostacolare lo svolgimento di talune attivita’ professionali, e’ ben possibile che il danneggiato, concentrandosi su altre attivita’ rientranti nelle proprie competenze (per es., per restare al caso in esame, privilegiando la prestazione di consulenza, piuttosto che quella chirurgica), riesca ugualmente a non patire flessioni reddituali”;
b) che la Corte territoriale da quanto sub b) ha tratto la conseguenza che “ovviamente quanto svolto impone disattendersi le cospicue proiezioni di danno futuro, peraltro ancorate a stime di pura fantasia e di pregiudizio da perdita della clientela”.
p.1.1. La critica viene, quindi, svolta sostenendo che erroneamente la Corte etnea si sarebbe rifiutata di far luogo all’applicazione del criterio di valutazione equitativa del danno ex articolo 1226 c.c., richiamato dall’articolo 2056 c.c., pretendendo che il (OMISSIS) fornisse rigorosamente la prova del danno senza considerare che detta normativa consente di liquidare il danno persino senza bisogno di prova, ma prima ancora omettendo di considerare elementi probatori esistenti.
In particolare sarebbe stato violato l’articolo 115 c.p.c., per non essere state poste a fondamento della decisione nozioni di fatto di comune esperienza, sulla base dei dati certi coperti dal giudicato interno, costituiti dall’essere il (OMISSIS) un chirurgo odontoiatra che aveva patito gravi lesioni all’arto superiore, sofferto una inabilita’ temporanea del 50% per oltre sei mesi, postumi di invalidita’ permanente del 24% e di invalidita’ lavorativa specifica nella misura del 18%. La “comune esperienza”, infatti, ad avviso del ricorrente “postula che menomazioni dell’intensita’ di quelle subite dal (OMISSIS) incidano sicuramente sulla carriera di un chirurgo – specie se odontoiatra – e ne diminuiscano lo sviluppo e gli introiti futuri in misura rilevante.
La Corte territoriale avrebbe per la stessa ragione violato anche le norme degli articoli 2727 e 2729 c.c., rifiutandosi di desumere su base presuntiva la diminuzione della capacita’ di guadagno.
Si riprende, quindi, l’argomento della violazione del potere di liquidazione equitativa, per avere la Corte di merito asserito che esso non potrebbe supplire alle carenze probatorie, la’ dove il suo presupposto e’ proprio quello della impossibilita’ rigorosa di una prova dell’ammontare del danno e, quindi, si evoca Cass. n. 1690 del 2008 come relativa a fattispecie sorprendentemente simile a quella oggetto della controversia. Di tale decisione si richiama un ampio brano motivazionale siccome giustificativo dell’esistenza di una presunzione per cui un danno da invalidita’ permanente non riconducibile alla categoria delle c.d. micro permanenti determina una riduzione della capacita’ di guadagno futuro del danneggiato, salvo il superamento con una prova contraria.
Si argomenta, quindi, che nel caso di specie non solo non ricorreva alcuna prova contraria, ma il ricorrente aveva anzi offerto “prove significative della riduzione subita nel tempo a cagione della menomazione, quali, ad esempio, i dati relativi ai redditi dei periodi riportati nella sentenza di appello come elementi non controversi (a pag. 7)”.
p.2. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116, 184 bis (nel testo al tempo vigente) e 359 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – Error in procedendo per erronea ovvero omessa valutazione delle prove acquisite; il tutto, con riferimento all’esclusione del dedotto danno futuro”.
Si lamenta che la Corte etnea, pur avendo dato rilievo ai dati reddituali sia anteriori, sia successivi all’evento in funzione della liquidazione del danno patrimoniale per perdita di introiti durante il periodo di inabilita’ totale e parziale, non li avrebbe poi considerati ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza del danno patrimoniale futuro, affermando a torto che il motivo di gravame si era risolto in un mero teorema privo di prove.
Con riferimento alla denunciata violazione dell’articolo 184 bis, si lamenta che nell’atto di appello – alla pagina 7 – era stato richiesto di acquisire i CUD successivi al 2001, in quanto documenti che in primo grado non avrebbero potuto prodursi perche’ di formazione successiva alla scadenza del termine per le deduzioni probatorie di cui all’articolo 184 c.p.c..
p.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e con riferimento alla prova del chiesto danno futuro”.
Vi si censura, sotto il profilo del vizio motivazionale, la contraddittorieta’ e l’illogicita’ di argomentazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, avendo per un verso dato atto della sussistenza di documentazione e di prove relative ai redditi del ricorrente e del relativo decremento ai fini dell’accertamento del danno patrimoniale durante l’inabilita’, e, per altro verso, affermato l’assenza delle stesse prove in relazione all’esame della questione del danno futuro e permanente nell’erroneo presupposto del non poter ricorrere al potere equitativo. Il vizio motivazionale si anniderebbe anche nell’adesione all’argomento del giudice di primo grado circa la possibilita’ di concentrazione su talune delle attivita’ professionali rientranti nelle competenze del (OMISSIS), perche’ se pure sarebbe vero che “un soggetto possa persino migliorare la propria capacita’ reddituale cambiando mestiere o professione (che, la professione del chirurgo e’ quella di operare mentre la prestazione del consulente attiene al clinico), cio’ non consente di presumere che siffatta ipotesi appartenga all’id quod plerumque accidit, essendo invece, riferibile a fenomeni eccezionali”. Sicche’ la Corte territoriale sarebbe incorsa in una vera e propria forzatura, perche’ essa, pur avendo accertato la sussistenza del danno ne avrebbero escluso il rilievo individuando un modo del tutto ipotetico ed astratto con cui il ricorrente avrebbe potuto evitare la perdita della capacita’ di guadagno inibitagli dalla sofferta menomazione.
p.4. Con il quarto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, con riferimento al regolamento delle spese processuali”, per avere la Corte regolato le spese del giudizio in base alla parziale soccombenza attribuita erroneamente al ricorrente, che “pero’ confida nell’accoglimento del ricorso e, pertanto, nell’annullamento anche del capo di tale capo di sentenza”: si tratta, dunque, in realta’, di un “non motivo”, dato che si auspica che la statuizione sulle spese cada per effetto dell’accoglimento di alcuno o di tutti i primi tre motivi, il che accadrebbe in via automatica.
p.5. I primi tre motivi di ricorso possono trattarsi congiuntamente atteso che concernono sotto distinti profili, in iure e – sebbene asseritamente sotto il profilo motivazionale articolo 360 c.p.c., ex n. 5, il terzo – il mancato riconoscimento del danno futuro.
L’apprezzamento dei tre motivi, peraltro, dev’essere condotto considerando tutta la motivazione della sentenza impugnata sul punto.
Essa si e’ cosi’ articolata: “Le risultanze in atti confermano la correttezza della decisione del primo giudice circa l’insussistenza di un danno patrimoniale permanente, dipendente dall’invalidita’ lavorativa specifica. Dai redditi sopra riportati va escluso possa trarsi il convincimento che i redditi professionali del (OMISSIS), quando nel 2000 incorse nell’incidente stradale, fossero in logaritmica ascesa, come invece oggi si sostiene. Dopo i primi tre anni di naturale consolidazione professionale, infatti il predetto stazionava attorno ai euro 38.000 l’anno; difatti, il reddito del 1999 e’ inferiore di alcune centinaia di euro rispetto a quello dell’anno precedente. Di talche’ l’ipotesi dell’inarrestabile crescita, troncata dall’incidente, non solo appare poco probabile, ma trova precisa smentita negli stessi dati reddituali richiamati dall’appellante. Affermato cio’, il ragionamento del tribunale, peraltro non criticato precipuamente dall’appellante, il quale, dati alla mono, ha verificato che proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate, sia nel 2000, che nel 2001, il (OMISSIS) non ha patito flessione di capacita’ reddituale di sorta, appare condivisibile. Di conseguenza deve reputarsi un mero teorema, privo di riscontri plausibilita’, la pretesa che dal fatto sia derivato al (OMISSIS) un pregiudizio patrimoniale permanente. Ne’, la detta constatazione, fondata su dati probatori certi e non controversi, puo’ essere ribaltata sulla base del mero asserto che una invalidita’ del 18% incidente sulla vita lavorativa debba, intuitivamente, procurare un danno patrimoniale. Nella detta materia, il danneggiato deve rigorosamente fornire la prova del danno, non potendo invocare il potere equitativa del giudice, che, come noto non puo’ supplire alle carenze probatorie. Per altro, il primo giudice, con efficace argomentazione, ha spiegato che, pur in presenza di postumi che possano ostacolare lo svolgimento di talune attivita’ professionali, e’ ben possibile che il danneggiato, concentrandosi su altre attivita’ rientranti nelle proprie competenze (per es., per restare al caso in esame, privilegiando la prestazione di consulenza, piuttosto che quella chirurgica), riesca ugualmente a non patire flessioni reddituali. Ovviamente, quanto svolto impone disattendersi le cospicue proiezioni di danno futuro, peraltro ancorate a stime di pura fantasia e di pregiudizio da perdita della clientela”.
p.5.2. Dalla riportata motivazione emergono alcune affermazioni che non risultano sottoposte a critica dal ricorrente in alcuno dei tre motivi.
p.5.2.1. La prima e’ quella concernente l’esclusione dell’esistenza di un danno patrimoniale futuro da c.d. lucro cessante, nella specie prospettato sotto il profilo dell’arresto della capacito’ di crescita della produttivita’ reddituale dell’attivita’ lavorativa del (OMISSIS).
I tre motivi non censurano la motivazione della sentenza impugnata sotto tale profilo e, dunque, deve ritenersi formata cosa giudicata interna sul fatto che l’attivita’ professionale del (OMISSIS) non fosse destinata a determinare una aumento della sua capacita’ reddituale, onde i redditi futuri che in ipotesi egli avrebbe potuto produrre e sui quali andava valutata la possibile incidenza negativa della diminuzione della capacita’ lavorativa specifica debbono ritenersi proporzionalmente equivalenti a quelli che egli produceva all’epoca del sinistro, semmai con l’aggiornamento dei relativi valori all’aumento generale del costo della vita.
Ne segue che il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro di cui discutono i motivi e’ limitato esclusivamente al profilo del danno, derivante non gia’ dalla perdita della potenzialita’ lavorativa in funzione dell’aumento del reddito, bensi’ dalla perdita della capacita’ di mantenere lo stesso livello di reddito esistente al tempo del sinistro.
p.5.2.2. La motivazione sopra riportata evidenzia, poi, un’altra considerazione che nello svolgimento della critica di cui ai tre motivi viene del tutto ignorata: si tratta della condivisione del ragionamento del Tribunale – che, peraltro, adombrando forse un difetto di specificita’ del motivo ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., ma non e’ detto espressamente, si assume “non criticato precipuamente dall’appellante” – la’ dove aveva verificato che non vi era stata alcuna flessione del reddito del (OMISSIS) ne’ nel 2000 ne’ nel 2001 proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate in dipendenza della inabilita’ assoluta e di quella parziale, che furono rispettivamente, per come la sentenza dice nel riferire del primo motivo di appello, non piu’ oggetto di discussione, pari a 233 ed a 188 giorni.
E’ proprio sulla condivisione di tale rilievo del primo giudice che la Corte territoriale appoggia la successiva affermazione che doveva reputarsi mero teorema privo di riscontro e plausibilita’ la deduzione del danno patrimoniale permanente, nonche’ quella che tale constatazione non era ribaltabile in ragione del mero asserto che un’invalidita’ del 18% della capacita’ lavorativa dovesse determinare danno patrimoniale futuro.
p.6. Ora, l’apprezzamento della forza di resistenza della motivazione della Corte siciliana alle critiche prospettate con i motivi deve aver luogo verificando se tali critiche possano reputarsi fondate, la’ dove non hanno posto in discussione che non fosse stata data prova, per un verso di una forza espansiva della capacita’ reddituale al momento del sinistro, e, per altro verso non hanno censurato la condivisione da parte di quella Corte dell’avviso del Tribunale, la’ dove Esso aveva rilevato che nell’anno 2000, quello del sinistro, e nell’anno successivo, nei quali si era distribuita l’inabilita’ totale e parziale del (OMISSIS), costui non aveva accusato una diminuzione di reddito proporzionale alle giornate non lavorate per quello stato.
p.6.1. Le critiche, una volta considerata la motivazione e particolarmente i due aspetti accennati, appaiono prive di pregio nella parte in cui imputano alla Corte territoriale di aver considerato le risultanze reddituali degli anni dal 1996 al 2001 ai fini dell’accoglimento del motivo di appello relativo al riconoscimento del danno patrimoniale durante il temporaneo stato di invalidita’ totale e parziale e di non averle considerate invece ai fini del danno patrimoniale futuro: e’ vero, infatti, che, avallando il ragionamento del primo giudice, i giudici d’appello hanno considerato proprio quei redditi e lo hanno fatto condividendo il rilievo della non incidenza della diminuzione della capacita’ lavorativa specifica proporzionalmente al minor periodo lavorato.
p.6.2. La doglianza relativa al non avere la Corte dato rilievo alla richiesta di produzione delle dichiarazioni reddituali (CUD) successive al 2001, basata sulla invocazione della loro ammissibilita’ ai sensi dell’articolo 184-bis in quanto trattavasi di documenti formatasi dopo la scadenza delle preclusioni probatorie in primo grado e’ prima inammissibile e poi manifestamente infondata.
L’inammissibilita’ deriva dal fatto che il ricorrente si limita a dire di averla formulata nell’atto di appello e fornisce al riguardo l’indicazione specifica, che questa Corte riscontra nell’atto di appello alla pagina sette, per come indicato. Senonche’, nulla si dice del se detta richiesta, sulla quale neppure si precisa se la Corte ebbe a provvedere, venne mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni. Ne consegue che, non essendo dimostrato che la richiesta rimase oggetto del dovere decisorio della Corte territoriale, non e’ lecito lamentarsi in questa sede che non essa sia stata accolta, perche’ non e’ stato dedotto che quella Corte ne era stata investita ed essa non fosse stata abbandonata all’atto di precisare le conclusioni.
p.6.3. L’infondatezza della doglianza deriverebbe comunque gradatamente perche’ la detta richiesta non avrebbe potuto essere accolta.
Se anche fosse vero e dimostrato che i CUD si erano formati dopo la non meglio specificata preclusione istruttoria della non identificata udienza ex articolo 184 c.p.c., (vigente durante il giudizio di primo grado), si dovrebbe rilevare che, propri perche’ formatisi dopo di essa, non erano in alcun modo soggetti alla rimessione in termini di cui all’articolo 184 bis c.p.c., ed avrebbero potuto prodursi senza bisogno di essa, dato che quella norma, come ogni mezzo di rimessione in termini serviva a consentire lo svolgimento di un’attivita’ ormai preclusa, ma possibile prima del formarsi della preclusione ed impedita in concreto per causa non imputabile alla parte. Ne segue che la produzione sarebbe potuta avvenire gia’ nel giudizio di primo grado per tutti i CUD redatti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni di quel giudizio, che dall’esame della sentenza presente nel fascicolo di parte del ricorrente, risulta essere avvenuta il 28 giugno 2005 (essendo stata, poi, la sentenza pronunciata il 22 dicembre 2005). Viceversa, non sarebbe potuta avvenire in appello, stante il divieto dell’articolo 345 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis) e meno che mai attraverso il meccanismo dell’articolo 184 bis. Semmai in appello si sarebbero potute produrre le dichiarazioni dei redditi successive alla detta udienza di precisazione delle conclusioni.
La censura dev’essere, dunque, rigettata.
E’ appena il caso di rilevare che la sentenza di primo grado, nel rigo ottavo della sua pagina quindici, dopo che nella pagina precedente e nei righi precedenti ha svolto le considerazioni sui redditi dal 1996 al 2001, espressamente osserva che “nessuna documentazione e’ stata prodotta relativamente agli anni successivi”.
p.6.4. A questo punto resta da procedere all’apprezzamento della parte della motivazione su cui si accentra la residua critica espressa dai tre motivi.
La critica coglie nel segno, ma non si presta a giustificare la cassazione della sentenza, perche’ il suo dispositivo appare conforma a diritto ed e’ dunque solo necessario far luogo a mera correzione della motivazione, possibile se si considerano per un verso i punti fermi sopra evidenziati, che non sono stati oggetto di critica da parte del ricorrente, e, per altro verso l’ora acquisita certezza che il ricorrente avrebbe potuto produrre gia’ in primo grado i CUD dei quali instava infondatamente la produzione tramite la rimessione in termini in appello.
p.6.4.1. Va premesso che il principio di diritto sul quale e’ fermo l’orientamento della Corte in punto di danno patrimoniale futuro da perdita della capacita’ lavorativa specifica e’ certamente quello, richiamato nell’illustrazione del primo motivo dal ricorrente, cioe’ da Cass. n. 1690 del 2008 nel senso che “Il danno patrimoniale futuro, nel caso di fatto illecito lesivo della persona, e’ da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, puo’ avvalersi anche delle presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacita’ di lavoro specifica, se essa e’ di una certa entita’ e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entita’ (cosiddette micropermanenti, le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), e’ possibile presumersi che anche la capacita’ di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima gia’ svolga un’attivita’ o presumibilmente la svolgera’, in quanto prova presuntiva essa potra’ essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacita’ di lavoro specifico, non vi e’ stata alcuna riduzione della capacita’ di guadagno e che, quindi, non e’ venuto a configurarsi in concreto alcun danno patrimoniale“.
Il principio e’ stato ribadito da ultimo da Cass. n. 2644 del 2013, che si e’ cosi’ espressa: “Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, e’ da valutare su base prognostica ed il danneggiato puo’ avvalersi anche di presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacita’ di lavoro specifica, se essa e’ di una certa entita’ e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entita’, e’ possibile presumere che anche la capacita’ di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima gia’ svolga un’attivita’ o presumibilmente la svolgera’; tuttavia, l’aggravio in concreto nello svolgimento dell’attivita’ gia’ svolta o in procinto di essere svolta deve essere dedotto e provato dal danneggiato“.
A sua volta Cass. n. 26534 del 2013 ha cosi’ statuito: “Il grado di invalidita’ permanente determinato da una lesione all’integrita’ psico-fisica non si riflette automaticamente, ne’ tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacita’ lavorativa specifica e, quindi, di guadagno della stessa. Tuttavia, nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidita’ permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacita’ lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice puo’ procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno puo’ avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorche’ possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepira’ un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio“.
p.6.4.2. Ebbene, l’affermazione della Corte territoriale che la mera esistenza di uno stato invalidante del 18% riguardo alla capacita’ lavorativa specifica non puo’ essere considerata idonea a dimostrare il danno patrimoniale futuro in via automatico e’ certamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
p.6.4.3. Non lo e’, viceversa, l’affermazione consequenziale che “Nella detta materia, il danneggiato deve rigorosamente fornire la prova del danno, non potendo invocare il potere equitativa del giudice, che, come noto non puo’ supplire alle carenze probatorie”.
E’ sufficiente osservare che, venendo in rilievo nella specie una invalidita’ certamente non riconducibile al concetto della lesione micropermanente l’affermazione della Corte territoriale risulta erronea, per la ragione che lo stato invalidante del 18% certamente evidenziava come evidenzia in via presuntiva la sua idoneita’ a determinare un danno patrimoniale nella futura attivita’ del (OMISSIS).
Come tale l’affermazione dev’essere corretta.
p.6.4.4. Tanto comporta, tuttavia, che il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere esistente per presunzione la prova nell’an dell’esistenza di un danno patrimoniale futuro, ma non giustifica la cassazione della sentenza, perche’, come si dira’ fra breve, quel giudice si trovava comunque in una situazione nella quale il (OMISSIS) non aveva assolto all’onere di provare il quantum del danno.
p.6.4.5. Anche l’affermazione con cui il giudice d’appello ha escluso la sussistenza nell’an del danno in discorso ipotizzando, come quello di primo grado, che il (OMISSIS) avrebbe potuto indirizzare la sua attivita’ professionale privilegiando le prestazioni di consulenza piuttosto che quelle di chirurgia, e’ affermazione scorretta in iure, sia perche’ frutto di una valutazione non assistita da alcuna logica e, quindi, inidonea ad assurgere a presunzione ai sensi dell’articolo 2729 c.c., sia perche’ fuoriesce del tutto dall’ambito anche di quanto esigibile ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 2, dal danneggiato da lesione personale incidente sulla propria attivita’ professionale, tenuto conto che il modo di svolgimento di essa anteriore al sinistro e’ quello su cui si deve parametrare il danno futuro, per l’assorbente ragione che la lesione della capacita’ lavorativa specifica si correla all’attivita’ nel modo in cui essa veniva svolta e considerato che non e’ condotta esigibile che la successiva attivita’ si debba estrinsecare indirizzandosi diversamente, con mortificazione della professionalita’ del danneggiato.
p.6.4.6. Anche la censura di tale motivazione comporta, pero’, soltanto la correzione della motivazione della sentenza e non la sua cassazione, perche’ riguarda il profilo dell’esistenza del danno nell’an.
p.6.4.7. Sciogliendo a questo punto la riserva espressa sopra, si deve, infatti, osservare che la sentenza non puo’ essere casata, perche’ il giudice di rinvio, a seguito della cassazione, si verrebbe trovare in una situazione nella quale, pur dovendosi prendere atto che il danno de quo era ed e’ assistito da una prova presuntiva nell’an, dovrebbe constatare che non lo era come non lo sarebbe nel quantum. Ne’ alla deficienza probatoria potrebbe rimediarsi attraverso l’esercizio del potere di cui all’articolo 1226 c.c., perche’ nella specie non si verserebbe in una situazione nella quale “il danno non puo’ essere provato nel suo preciso ammontare”.
Invero, nella specie, essendo il (OMISSIS) un soggetto esercente attivita’ lavorativa professionale ed avendo continuato tale attivita’, poiche’ egli lamenta il danno patrimoniale futuro (o meglio quello successivo alla cessazione dell’inabilita’ temporanea dopo il 2001 per gli anni successivi per i quali potrebbe estrinsecare la sua attivita’ lavorativa), la prova del quantum del danno avrebbe potuto e dovuto darsi da lui dimostrando una contrazione del suo reddito patrimoniale a partire da quella data, quale elemento idoneo ad evidenziare anche per il futuro il pregiudizio da diminuzione della redditivita’ dell’attivita’. Senonche’ egli non ha fornito tale prova e non la potrebbe fornire in un eventuale giudizio di rinvio, dato che, come s’e’ veduto, i CUD che avrebbe dovuto produrre in primo grado e che voleva produrre in appello, non possono entrare nel processo.
Il principio di diritto che viene allora in rilievo e’ il seguente: “Fermo il principio secondo cui il danno patrimoniale futuro, nel caso di fatto illecito lesivo della persona, e’ da valutare su base prognostica ed il danneggiato, tra le prove, puo’ avvalersi anche delle presunzioni semplici, con la conseguenza che, una volta provata la riduzione della capacita’ di lavoro specifica, se essa e’ di una certa entita’ e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entita’ (cosiddette micropermanenti, le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), e’ possibile presumere che anche la capacita’ di guadagno di una vittima che eserciti gia’ attivita’ lavorativa risulti ridotta nella sua proiezione futura – peraltro non necessariamente in modo proporzionale – salvo superamento di tale presunzione per effetto di prova contraria, deve, tuttavia, ritenersi che, la presunzione copra solo l’an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, e’ onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro dando prova di quali siano stati i suoi redditi. In mancanza di tale prova, il giudice – salvo che per le circostanze concrete, non imputabili al danneggiato, sia impossibile o difficile la dimostrazione di tale contrazione – non puo’ esercitare il potere di cui all’articolo 1226 c.c. perche’ esso riguarda solo la quantificazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produca reddito e, dunque, possa dimostrare di quanto il reddito sia diminuito“.
E’ appena il caso di rilevare che nel caso di specie e’ palese che non e’ stata allegata ne’ ricorre una situazione di impossibilita’ o difficolta’ del (OMISSIS), quale soggetto esercente attivita’ lavorativa, di dimostrare la contrazione dei redditi (ed anzi egli ha proprio invocato tardivamente, come s’e’ veduto, nel giudizio di merito, la produzione di documenti in appello a tale scopo). Ne segue che una cassazione con rinvio non potrebbe che costringere la Corte di merito, sebbene correggendo i suoi errori motivazionali, ad applicare il detto principio di diritto e negare l’esercizio del potere di liquidazione equitativa.
p.7. I primi tre motivi di ricorso sono, dunque, rigettati. Del quarto s’e’ detto che non era un vero e proprio motivo.
Le due correzioni di motivazione prospettate e l’affermazione dei principi appena enunciati giustificano la compensazione delle spese per giusti motivi, giusta il paradigma dell’articolo 92 applicabile ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese nel rapporto fra ricorrente e resistente.

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