Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 21 maggio 2014, n. 11265
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 3217 del 12.2.08 il tribunale di Roma ha definito l’opposizione dispiegata da B.R. in merito all’esecuzione immobiliare n. 96992, ai suoi danni intentata dall’INCE, cui sono succeduti la Banca Popolare di Novara ed il Banco Popolare di Verona e Novara scarl (d’ora in avanti BPVN), con intervento del Banco di Sardegna, la Banca di Credito Cooperativo di Roma ed il Monte dei Paschi di Siena – serv. Risc. Tributi.
Con la qui gravata pronuncia, in particolare:
– è stata dichiarata cessata la materia del contendere sull’opposizione agli atti esecutivi dispiegata dalla debitrice avverso l’ordinanza di decadenza dalla conversione, pronunziata per non avere ella, in un primo tempo ammessavi, versato le somme rideterminate con provvedimento successivo, di correzione di quello originaria, adottato su istanza di uno dei creditori e non in contraddittorio con lei;
– è stata rigettata, essendo stato calcolato come ancora sussistente un credito maggiore della somma oggetto della disposta conversione, l’opposizione della B. avverso i titoli azionati dal BPVN, fondata su diverse doglianze: tra cui quelle di usurarietà dei tassi, di nullità del contratto di mutuo per vizio del consenso, di nullità della clausola determinativa degli interessi, di nullità o annullabilità del mutuo stipulato in ECU, di indeterminatezza o indeterminabilità dei tassi, di anatocismo, di nullità degli interessi di mora per violazione del divieto di cumulo;
– è stato dichiarato estinto il giudizio tra opponente e Banco di Sardegna;
– è stata infine pronunciata condanna di essa B. alle spese dell’opposizione in favore del Banco Popolare di Verona e Novara scarl.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre, affidandosi a sei motivi, la B. ; degli intimati resiste con controricorso la Sagrantino Italy srl (già Minerva srl) e, per essa, la Pirelli Re Credit Servicing spa (già Credit Servicing spa), cessionaria pro soluto dei crediti di BPVN, azionati in via principale nella procedura esecutiva oggetto di opposizione. E, per la pubblica udienza del 19.3.14, la ricorrente deposita altresì memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., nella quale riferisce pure che, esauritasi la procedura con la definizione anche della fase distributiva, alcuna considerazione le sue doglianze hanno ricevuto dal giudice dell’esecuzione, che ha anzi liquidato le spese dei due giudizi di cognizione da lei intentati per importi di cui pare insinuare l’eccessività.
Motivi della decisione
2. In via assolutamente preliminare:
2.1. deve rilevarsi l’ininfluenza – e quindi la sua inidoneità a dar corso alle consuete verifiche di procedibilità – dell’erronea menzione della data di notifica della sentenza gravata, contenuta in ricorso: stando agli atti effettivamente versati, tale notifica si è avuta nei confronti della parte di persona, con pedissequo precetto ed evidentemente a fini meramente esecutivi, in data 12.4.08: essa è pertanto inidonea a far decorrere il termine c.d. breve per proporre impugnazione e non trova applicazione l’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ.;
2.2. deve ritenersi irrilevante che il contraddittorio in questa sede, pur trattandosi di opposizione anche agli atti esecutivi, non sia stato esteso anche alla Banca di Credito Cooperativo di Roma ed alla Banca Monte dei Paschi di Siena, litisconsorti necessari per giurisprudenza a dir poco consolidata; infatti, ogni attività volta a porre rimedio a quel vizio sarebbe superflua – nei confronti di tutti i soggetti, compresi quelli pretermessi – e contraria al principio di economia processuale, secondo quanto ormai reputa questa Corte non più solo in caso di inammissibilità del ricorso (Cass. Sez. Un., ord. 22 marzo 2010, n. 6826; fra le tante ad essa seguite: Cass. 18 gennaio 2012, n. 690; Cass. 25 gennaio 2012, n. 1032; Cass., ord. 8 novembre 2012, n. 19317; Cass. 17 giugno 2013, n. 15106; Cass. 30 agosto 2013, n. 19975; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1364), ma anche per quello di sua infondatezza (Cass. 29 febbraio 2012, n. 3132; Cass. 10 aprile 2012, n. 5695; Cass., ord. 18 luglio 2012, n. 12399; Cass., ord. 28 dicembre 2012, n. 23994; Cass. Sez. Un., 11 maggio 2013, n. 11523; Cass., ord. 24 maggio 2013, n. 13030).
3. Ciò posto, va pure premesso che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di cui all’art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69) l’art. 366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, con rigore l’interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079; Cass. 17 ottobre 2013, n. 23574). Né in contrario rilevano i recenti sviluppi della giurisprudenza di questa Corte: essa, se ammette una sostanziale riqualificabilità dei motivi erroneamente sussunti entro l’una o l’altra delle categorie di cui all’art. 360 cod. proc. civ., tanto fa a determinate e stringenti condizioni, quali la chiara esposizione, nel motivo stesso, di argomenti che rendano manifesta la sussunzione entro vizio diverso da quello esposto; né essa ha mai sconfessato la necessità, nel persistente regime dei quesiti, della separata e contemporanea formulazione, in caso di censure commiste, di quesiti di diritto e cc.dd. di fatto, al fine di renderne ammissibili ognuna.
Pertanto:
3.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità, da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v. : Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perché, in contrario, difetterebbero di decisività (sull’indispensabilità della pertinenza del quesito, per tutte, v. : Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
3.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680);
3.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione, nel medesimo motivo, di doglianze di violazione di norme di diritto e di vizio motivazionale, ma alla imprescindibile condizione che ciascuna sia accompagnata dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte: Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre 2011, n. 27649).
4. Vanno esaminati separatamente i sei motivi articolati dalla ricorrente, a cominciare dal primo.
4.1. Con esso (rubricato “illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 3 per violazione e/o falsa applicazione di norme regolamentari del processo violazione degli artt. 495-815-616 c.p.c. oltre che dell’art. 112 c.p.c.”) è formulato, in fine, il seguente quesito: dica la Ecc.ma Corte adita se, in presenza di un ricorso in opposizione avverso l’ordinanza di conversione ex art. 495 c.p.c. proposto ai sensi dell’art. 615 c.p.c., il Giudice debba eseguire l’accertamento del diritto di procedere ad esecuzione forzata degli opposti creditori alla data della proposta conversione o di precisazione dei crediti, come richiesto dal ricorrente in opposizione, ovvero alla data in cui venga depositata l’eventuale CTU ordinata, e dica, quindi la Ecc.ma Corte adita se tale comportamento costituisca violazione degli artt. 112 c.p.c. oltre che degli artt. 495, 615 e 616 c.p.c.”.
4.2. A confutazione della doglianza la controricorrente sostiene: la correttezza del rigetto delle contestazioni originarie, essendo motivata la spettanza delle somme contestate dall’opponente; l’inammissibilità della censura, poiché involgente un error in procedendo, a suo dire precluso dalla natura straordinaria del ricorso dispiegato; l’omessa indicazione degli elementi sulla cui base inferire la diversità della decisione finale se riferita alla data di presentazione dell’istanza di conversione; la spettanza di ulteriori somme anche dopo tale presentazione.
4.3. Il motivo, a prescindere dai consistenti dubbi di ammissibilità per non conformità del quesito che lo correda alla rigorosa giurisprudenza ricordata sub 3, è infondato.
4.4. Pur essendo le doglianze di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. ormai ammissibili pure nel ricorso straordinario per Cassazione, a seguito della riforma dell’ultimo comma di detta norma fin dal 2.3.06, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel senso di escludere la deducibilità, nell’opposizione all’esecuzione, di motivi sopravvenuti o nuovi (tranne il solo caso del venir meno del titolo esecutivo): sicché, impugnato un provvedimento relativo ad un’istanza di conversione, è indispensabile fare riferimento al momento della proposizione del ricorso con cui quell’impugnazione è stata dispiegata, rilevando i fatti nuovi o i motivi nuovi, rispettivamente, in sede di impugnazione del successivo atto del processo che non ne tenga conto (ovvero in sede di distribuzione), oppure in separata opposizione, se non preclusa ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ. (per tutte, ove altri richiami, v. Cass. 7 agosto 2013, n. 18761).
5. Va ora esaminato il secondo motivo di ricorso.
5.1. Con esso (rubricato “illegittimità della sentenza ex art…. 360 c.p.c. comma 3, per violazione e/o falsa applicazione del d.P.R. 7/1976 alla fattispecie contrattuale in esame e conseguente violazione dell’art. 1283 c.c.”) sono formulati, al termine, i seguenti quesiti: “Dica la Ecc.ma Corte adita se al contratto di mutuo ipotecario oggetto della fattispecie sia applicabile o meno la disciplina di cui al DPR 7/1976 in difetto di alcun presupposto che ne qualifichi la natura fondiaria”; “Dica la Ecc.ma Corte adita se un contratto di mutuo erogato a valere su provvista valutaria in ECU, possa beneficiare delle norme speciali di cui alla Legge sul credito fondiario, o debba essere regolamentato dalle norme sul credito ipotecario ordinario”.
5.2. Di tale censura la controricorrente lamenta: in primo luogo, l’inammissibilità, siccome introdotta dall’opponente in tempo successivo al deposito del ricorso, già rilevata nella gravata sentenza; in secondo luogo e comunque, l’infondatezza, ravvisandosi nella specie tutti gli elementi essenziali di un mutuo fondiario e non rilevando la presenza o meno delle speciali modalità di provvista dei fondi concesse dall’art. 8 del d.P.R. n. 7/76, né più con la normativa del 1976 imponendosi la stretta correlazione o corrispondenza tra operazioni passive di raccolta ed attive di impiego.
5.3. Il motivo è inammissibile:
– i quesiti che lo corredano sono privi di riferimenti alla fattispecie concreta;
– in disparte l’inammissibilità di una censura relativa all’interpretazione o qualificazione del contratto non articolata sulla violazione di specifici e specificamente indicati canoni ermeneutici, i quesiti medesimi non sono pertinenti alla ratio decidendi di espressa affermazione dell’applicabilità della disciplina per volontà delle parti (così testualmente esprimendosi la sentenza gravata: “in ogni caso si rileva che nello stesso contratto di mutuo… è… richiamata l’applicabilità della disciplina di cui ai mutui fondiari”), non resa oggetto di alcuna specifica valida censura;
– non è nei quesiti dato alcun cenno delle ragioni per i quali andrebbe, evidentemente anche solo in astratto, esclusa la stessa sussumibilità nella disciplina del credito fondiario di un mutuo in ECU.
6. Va ora esaminato il terzo motivo di ricorso.
6.1. Con esso [rubricato “Illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 5) per omessa e/o contraddittoria motivazione in relazione alla qualificazione del contratto di mutuo come contratto aleatorio – vizio nel consenso del mutuatario all’assunzione dell’alea – vizio di presupposizione – sussistenza di una alea contrattuale ordinaria – illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 3) per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1467 c.c. – art. 112 c.p.c.”] sono formulati, in fine, i seguenti quesiti: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se la permanenza della Lira italiana nel Sistema Monetario Europeo che ha determinato oscillazioni valutarie di questa nei confronti dell’ECU di appena il 12% (svalutazione) in circa 15 anni, costituisca presupposto imprescindibile della stipula del contratto di mutuo de quo da parte della ricorrente, come tale idoneo ad escludere il ricorrere di una fattispecie contrattuale aleatoria per volontà delle parti”; “Dica l’Ecc.ma Corte adita se dall’analisi del contratto di mutuo, si evince una libera espressione di volontà della parte mutuataria in relazione alla tipologia di provvista valutaria meramente eventuale in contratto, e se si evince una possibilità di svincolarsi dagli obblighi nascenti dal contratto di mutuo, una volta iscritta la contestuale ipoteca volontaria in favore dell’istituto”.
6.2. Replica la controricorrente, in via preliminare, per l’inammissibilità della doglianza, sotto il triplice profilo del difetto di autosufficienza in relazione alle clausole pattizie contestate, della carenza di indicazione delle regole di ermeneutica contrattuale violate e della novità in Cassazione della questione sulla presupposizione dell’appartenenza della lira allo SME. Ma sviluppa poi la tesi dell’infondatezza della tesi avversaria, per essere stati compiutamente indicati, nella concreta espressione della volontà contrattuale, risultante sia dal mutuo che dal successivo atto di erogazione e quietanza a saldo, i precisi elementi variabili per la determinazione dell’importo delle singole rate semestrali, così entrambe le parti assumendo i rischi delle fluttuazioni del rapporto di cambio ed accettandone l’imprevedibilità intrinseca, con conseguente radicale esclusione di un’alea rilevante ai fini della sopravvenuta eccessiva onerosità.
6.3. Il terzo motivo – in disparte i seri dubbi sulla sua ammissibilità, per carenza di c.d. quesito di fatto sulle doglianze di vizio motivazionale e per non conformità dei quesiti di diritto ai requisiti di cui sub 3.2, nonché in quanto con essi si invoca una diversa interpretazione e qualificazione del contratto, con ricostruzione di una diversa od effettiva volontà delle parti, senza indicare le regole ermeneutiche che sarebbero state violate ed inoltre, in violazione del n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ., senza riprodurre nel testo del ricorso le clausole contrattuali che si assumono malamente interpretate e gli atti dei gradi di merito in cui la questione è stata posta – è infondato.
6.4. Infatti, il mutuo in ECU è pienamente valido come contratto aleatorio per espressa e libera volontà delle parti, che hanno deciso di riferirsi a quello come equiparato ad una valuta estera, ove non sia adeguatamente contestato (come non lo è, nella specie, per quanto detto), che la volontà stessa sia stata viziata.
Al riguardo, va esclusa già solo in astratto la configurabilità di un’eccessiva onerosità sopravvenuta nel caso di mutuo riferito, pure solo in parte, a valuta non nazionale, quand’anche dalle peculiari caratteristiche dell’ECU: in tal caso, l’alea di un contratto che, a norma dell’art. 1467 cod. civ., comma secondo, non legittima la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle regolari normali fluttuazioni del mercato; in simile ipotesi, infatti, le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, hanno assunto un rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, rendendo il contratto di mutuo, sotto tale profilo, aleatorio in senso giuridico, e non solo economico, sotto il (mero) profilo della convenienza: Cass. 7 ottobre 2013, n. 22808; Cass. 21 aprile 2011, n. 9263; Cass. 17 luglio 2003, n. 11200; Cass. 25 novembre 2002, n. 16568.
7. Va ora esaminato il quarto motivo di ricorso.
7.1. Con esso (rubricato “illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 5 – per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero la indeterminatezza della clausola determinativa degli interessi ultralegali ex art. 1284 comma 3 c.c. – illegittimità della sentenza ex art…. 360 c.p.c. comma 3 per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346 – 1418 c.c. in combinato disposto – art. 112 c.p.c”) sono formulati, in fine, i seguenti quesiti: “Dica l’Ecc.ma Corte adita, se la clausola contrattuale determinativa del tasso di interessi contenuta nel contratto condizionato di mutuo del 9/11/89, che richiama parametri ed elementi indicati e precisati solo successivamente nell’atto di quietanza del 26/1/90, sia viziata di nullità per indeterminatezza e/o indeterminabilita dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. e 1418 c.c.”; “Dica l’Ecc.ma Corte adita, se la clausola contrattuale determinativa del tasso di interessi contenuta nell’art. 3 dell’atto di erogazione e quietanza costituisca clausola di rinvio agli usi sul mercato delle Eurovalute e come tale sia inficiatile di nullità”.
7.2. La controricorrente ribatte per l’idoneità delle pattuizioni dell’atto di erogazione e quietanza, espressamente previste come integrative nel contratto di mutuo, a fornire tutti gli elementi o parametri di determinazione, oltretutto qualificati dal giudice del merito come oggettivamente individuabili ed articolati su criteri e/o modalità di calcolo prestabiliti ed intrinseci al documento contrattuale.
7.3. Anche tale motivo – a non voler considerare i dubbi di ammissibilità, per carenza di c.d. quesito di fatto sulle doglianze di vizio motivazionale e per non conformità dei quesiti di diritto ai requisiti di cui sub 3.2, nonché in quanto involgenti la qualificazione del contenuto contrattuale senza le sole ammesse doglianze in tema di ermeneutica e con le stesse carenze formali già riscontrate al precedente punto 6.3 – è infondato.
7.4. Invero, in astratto è sempre possibile il rinvio alla determinazione di un atto pattizio successivo, mentre, in concreto, la qui gravata sentenza espressamente motiva sul fatto che i riferimenti sono puntuali a fonti di informazione obiettive: con asserzione non resa oggetto, se non altro stando al tenore dei quesiti, di specifica e puntuale censura e pertanto non revocabile in dubbio (per casi analoghi, tra le molte, v. Cass. 16 gennaio 2014, n. 753, ovvero Cass. 19 febbraio 2014, n. 3968).
8. Va ora esaminato il quinto motivo di ricorso.
8.1. Con esso (rubricato “illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 3 per violazione e/o falsa applicazione della L. 7/3/96 n. 108 in combinato disposto con la L. 24/2001 – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18152 c.c. – illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 5 per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero l’efficacia spiegata dallo jus superveniens nei rapporti in corso”) sono formulati, in fine, i seguenti quesiti: “Dica l’Ecc.ma Corte adita se gli interessi maturati in un contratto di mutuo a tasso variabile possano essere legittimi nella misura del 51%, 150% o 500% annuo, per il solo fatto di essere stati anteriormente pattuiti alla imperativa norma sull’usura, ma soprattutto se possano ritenersi efficaci ed esigibili per lo stesso motivo, seppur superiori ai limiti introdotti dalla norma imperativa sopravvenuta”; “Dica l’Ecc.ma Corte adita se la maturazione degli interessi, pur determinata da un titolo giudiziale passato in giudicato, possa ritenersi svincolata dalla disciplina sopravvenuta restrittiva, nel senso che la maturazione debba avvenire nel rispetto della disciplina antiusura, indipendentemente da quanto risulta nel decreto ingiuntivo”.
8.2. Ad esso sobriamente ribatte la controricorrente invocando la giurisprudenza di questa Corte in ordine all’irretroattività della normativa c.d. antiusura, in forza della “legge n. 24/2000” (ma, recte, 24/2001).
8.3. Tale motivo – in disparte i seri dubbi sulla sua ammissibilità, per carenza di c.d. quesito di fatto sulle doglianze di vizio motivazionale e per non conformità dei quesiti di diritto ai requisiti di cui sub 3.2 e per la loro non pertinenza con la ratio decidendi della gravata sentenza, fondata sull’applicabilità della normativa di interpretazione sopravvenuta – è infondato.
8.4. È invero consolidata la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla ribadita insensibilità del giudicato alla sopravvenuta normativa c.d. antiusura, anche e del resto in virtù dello specifico intervento normativo di interpretazione autentica del 2001 (legge 28 febbraio 2001, n. 24, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394, concernente interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura) in ordine al riferimento della nozione – e delle conseguenze – di usurario ai soli interessi dipendenti da pattuizioni successive alla data di entrata in vigore della legge 108/96 (tra le moltissime, da ultimo, v. Cass. 19 febbraio 2014, n. 3968).
8.5. Né può giovare alla ricorrente la giurisprudenza di merito o quella di legittimità da ultimo invocata, in quanto essa, ammesso per un momento che possa leggersi nel senso voluto dalla ricorrente, non solo non si fa carico degli argomenti di cui al consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, ma neppure si attaglia al caso concreto, ovvero alle dimostrate peculiarità di esso.
9. Va ora esaminato il sesto motivo di ricorso.
8.1. Con esso [rubricato “illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c. comma 3) per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. – art. 92 c.p.c. – art. 112 c.p.c.”] è formulato, in fine, il seguente quesito: “Dica l’Ecc.ma Corte adita, se costituisca violazione degli artt. 91, 92 e 112 c.p.c. la circostanza che il Giudice che revoca l’ordinanza nel corso del giudizio di impugnazione promosso con ricorso, finalizzato alla revoca dell’ordinanza, dichiari cessata la materia del contendere e condanni l’opponente allrintegrale refusione delle spese di lite in favore dell’opposto”.
9.2. Ad esso ribatte la controricorrente argomentando per l’insindacabilità del potere del giudice del merito di disporre la compensazione delle spese, pure nel caso di soccombenza reciproca, peraltro non ricorrente.
9.3. Il motivo è destituito di fondamento: in disparte la genericità della formulazione del quesito, in termini tali da non potersi riferire alla peculiarità della fattispecie e segnatamente alla complessità dell’opposizione, la causa introdotta dalla B. si articolava anche su numerosi motivi di contestazione nel merito delle pretese creditorie e l’opponente, su queste ultime, è stata soccombente sotto ogni profilo; pertanto, del tutto giustificata è la sua condanna alle spese, in relazione – con tutta evidenza – ad una valutazione complessiva della soccombenza stessa.
10. Il ricorso, dovendo qualificarsi inammissibile il secondo motivo ed essendo infondati gli altri, è respinto.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste ad integrale carico della soccombente ricorrente.
Infine, nonostante la sicura gravità delle espressioni – nella memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ. – sulla qualificazione (se non offensiva, quanto meno eccessiva ed ingiustificata, perché non accompagnata dall’adduzione dell’utile esperimento dei pure ammessi rimedi impugnatori) delle liquidazioni delle spese di lite come “regalia”, ritiene il Collegio non legittimata a dolersi ai sensi degli artt. 88 e seguente cod. proc. civ. la controparte, riferendosi esse ad una condotta del giudice delle relative opposizioni.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna B.R. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, in pers. del leg. rappr.nte p.t. e nella qualità indicata in controricorso, liquidate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per spese.
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